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Premio della Giuria al Festival di Cannes 2012, e non solo questo appunto merita d'esser fatto, quando si parla di una commedia dal retrogusto amaro, dal tono pacato ma come poche altre, capricciosa e commovente.
Mi piaceva introdurre così, il film di Ken Loach, La parte degli angeli. Perché la prima immagine che torna a farmi sorridere e a intenerirmi un po', è quella di un gruppo di ragazzi in tuta. Gli sfigati, quelli condannati all'etichetta del delinquente senza possibilità di riscatto. E invece non sarà così per colui che ha saputo riempire questo affresco un po' dolce, un po' aspro nelle verità dell'uomo che lo fa ipocrita e pregiudizievole.
Infatti il film parla di loro e per loro. Robbie è il protagonista, ma la sua vita non è poi così diversa da quella degli altri compagni, conosciuti al centro di recupero dei lavori socialmente utili. Un passato difficile per tutti, un presente complicato dai segni lasciati sulla pelle e sull'anima, quelli che attirano gli sguardi spietati e indifferenti della gente. Forse per Robbie esiste davvero una possibilità di salvezza, e il responsabile del gruppo, Rhino, sarà il primo a capirlo. Aprirà gli occhi al ragazzo, il quale sta per diventare padre e non può permettersi altri errori. Nonostante le botte e i vari tentativi di allontanare Robbie, da parte del padre della compagna, il riscatto si fa possibilità concreta.
A rendere La parte degli angeli una commedia apprezzabile, è l'originalità della storia. Anche se a me sarebbe bastato solamente ammirare quella Scozia incantevole, tra il grigio delle strade e il verde della campagna. Fino ad arrivare alle cantine prestigiose, all'interno delle quali ricchi appassionati di whisky, pagherebbero qualunque cifra, pur di possedere la botte piena. Ma la bellezza di Glasgow e Edimburgo, da sola, non avrebbe fatto del film un piccolo gioiellino di umanità. Loach lo fa spesso, perché gli è a cuore la questione sociale, i problemi legati ai disperati, talvolta, tentativi di cambiare vita. Colorare questo dramma, con qualcosa che ai più, può sembrare azzardato, come un bicchiere di whisky di troppo, è l'arma vincente del film.
Robbie troverà il riscatto nel whisky, ebbene sì. Il suo particolare talento gustativo, che lo porta a riconoscere con facilità ciò che il bicchiere propone, gli farà realizzare "il colpo" della sua vita. Con l'aiuto dei suoi compagni, tutti contraddistinti dall'ingenuità che solo un bambino appena venuto al mondo possiede, riesce a trovare un lieto fine per sé, e per loro. Commuove la storia di questi uomini senza un'apparente possibilità di salvezza, il loro modo di muoversi e stare in piedi. La sensazione che qualunque cosa tocchino distruggano, cadendo a terra in mille pezzi. Arriva un punto in cui chi guarda, provi quella sensazione lì, di un coccio rotto per mano altrui. Loach compie il miracolo. Rimette insieme i pezzi e spinge su ciò che realmente può salvarci la vita.
Per Robbie è la paternità, il salto per eccellenza nel mondo dei "grandi". Non meno importante, quel talento appena scoperto. La consapevolezza di avere non troppe chance, e la convinzione di andare avanti con tenacia, nonostante tutto. E' qui che ci salviamo. E' qui che troviamo la strada. E' qui, la nostra "parte degli angeli".
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