di Alberto Gasparetto
Quando manca ormai poco più di un semestre alle elezioni presidenziali, il sistema politico della Repubblica Islamica vede sempre più marcata la polarizzazione fra le due principali forze di regime, quella facente capo alla Guida della Rivoluzione Ali Khamenei e quella stretta attorno al Presidente Mahmoud Ahmadinejad. La tornata elettorale per rinnovare i 290 deputati del Majlis (Parlamento) della scorsa primavera ha confermato la vis preponderante della fazione principalista di Khamenei, che ormai controlla tutte le istituzioni fondamentali del Paese. Un dominio che non sta più solo sulla carta (la Costituzione emendata nel 1989 assegna già alla Guida le prerogative più estese), ma che è potere di fatto.
Il sistema politico iraniano
La Repubblica Islamica è un singolarissimo animale politico che vede al suo interno la convivenza di istituzioni che fanno appello a due differenti tipi di legittimità: quella politica, il cui principio di legittimazione è la sovranità popolare, e quella religiosa, che invece fa risiedere in Dio e nei principi islamici il fondamento della propria autorità e del proprio consenso.
Le istituzioni religiose sono, per dettato della Carta costituzionale, sovraordinate a quelle di natura politica. Dall’interazione fra queste scaturisce una dialettica spesso conflittuale che può sfociare in uno scontro capace di paralizzare il sistema. In particolare, la storia della Repubblica Islamica ha conosciuto spesso la contrapposizione fra la Guida e il Presidente. Normalmente, in presenza di comunione di intenti, ovvero di condivisione di fini e valori, regna la pace; pertanto, l’efficiente funzionamento del sistema non è minacciato. Viceversa, se questa condizione viene a mancare, com’è accaduto soprattutto durante l’era della Presidenza Khatami, il conflitto esplode in tutta la sua prorompenza.
L’altra linea di conflittualità che attraversa il sistema politico iraniano contrappone il Parlamento, titolare della funzione di rappresentanza della sovranità popolare, ed il Consiglio dei Guardiani, istituzione religiosa formata da 12 membri, sei religiosi nominati dalla Guida e sei laici nominati dal vertice del potere giudiziario (a sua volta designato dalla Guida). Esso ha il potere di sindacare l’idoneità dei candidati che si presentano alle elezioni e di bocciare tutti coloro che non sono “graditi” al regime. Ha inoltre il potere di vagliare la legittimità dei provvedimenti adottati dal Parlamento, ricorrendo alla Costituzione ed alle norme islamiche quali parametro di legittimità, fungendo da camera alta. Generalmente, la lotta fra istituzioni concorrenti si è sempre risolta a favore di quelle religiose su quelle politiche. A dirimere gli eventuali conflitti fra Majlis e Consiglio dei Guardiani è preposto il Consiglio di discernimento, altro organo religioso controllato dalla Guida.
L’attuale congiuntura politica interna
In seguito alle contestate elezioni presidenziali del 2009, che hanno visto la riconferma di Ahmadinejad e il diretto sostegno di Khamenei, le due figure hanno intrapreso due percorsi divergenti. L’attuale stallo politico al vertice del regime si può spiegare come il tentativo da parte di Ahmadinejad di dare una spallata alla vecchia nomenklatura, parte della quale (il cosiddetto fronte “riformista”) è stata fatta fuori per effetto dell’imposizione del verdetto elettorale attraverso l’uso della forza e la repressione di piazza. Primo presidente non clericale dopo Bani-Sadr, Ahmadinejad è espressione del “potere degli elmetti”, provenendo dalle fila dei Pasdaran (le Guardie della Rivoluzione) in cui aveva fatto ingresso attorno alla metà degli anni Ottanta, in piena guerra contro l’Iraq. L’ex sindaco di Tehran rappresenta (o, per lo meno fino a qualche tempo fa, è stato rappresentante di) una forza del Paese che negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore peso nella gestione politica, economica e militare del paese. Sotto le mentite spoglie di un processo di liberalizzazione, infatti, i Pasdaran hanno progressivamente acquisito il controllo di settori chiave dell’economia iraniana attraverso un processo in cui lo Stato affida la gestione dei servizi a società formalmente distinte dalle Guardie della Rivoluzione e, tuttavia, ad esse legate a doppio filo. E così, i Pasdaran si trovano oggi ad amministrare l’industria militare, petrolifera e del gas, le costruzioni, le telecomunicazioni e l’economia sommersa.
Lo scontro al vertice ha poi riguardato la nomina di alcuni reggenti di ministeri considerati fondamentali, quali ad esempio gli Esteri, il Petrolio e soprattutto l’Intelligence e la Sicurezza nazionale. Se a capo dei primi due Ahmadinejad è riuscito ad imporre uomini di sua fiducia (rispettivamente Ali Akbar Salehi nel dicembre 2010 e Rostam Ghasemi nell’agosto del 2011), al contrario ha fallito nel tentativo di rimuovere il titolare del terzo, cioè di quel Ministero che, fra le altre cose, è preposto alla verifica dell’esito delle elezioni – che è rimasto sotto la guida di Heydar Moslehi.
L’esito delle elezioni parlamentari della scorsa primavera, infine, ha fornito un’indicazione della probabile tendenza del rapporto di forze al vertice del potere. La fazione dei conservatori stretti attorno a Khamenei ha sbaragliato la concorrenza, ottenendo circa i tre quarti dei seggi. I riformisti sono, com’è noto, fuori dai giochi; i loro rappresentanti (Moussavi e Karroubi) si trovano agli arresti domiciliari dal febbraio 2011 e, al momento, niente fa ritenere che la partita decisiva che si giocherà nella prossima primavera riguarderà anche loro. La fazione di Ahmadinejad ha fallito in modo rovinoso certamente a causa del lavoro di obliterazione operato sui suoi candidati dal Consiglio dei Guardiani. Se si escludono i Pasdaran, i cui vertici hanno peraltro operato l’endorsement a favore di Khamenei, le principali istituzioni del Paese sono ormai interamente controllate dalla Guida. In realtà, parte dell’insuccesso elettorale del Presidente va probabilmente ascritto anche alle scarse performance del governo in materia economica, essendo stato eliminato il sistema di sussidi statali allo scopo di venire incontro alle richieste formulate dalle istituzioni economiche internazionali. Le famiglie iraniane, che grazie a quei sussidi campavano, hanno certamente avvertito il colpo.
Le pressioni sul versante internazionale
Se a questa situazione si somma la serie di eventi occorsi negli ultimi mesi sul versante internazionale si può azzardare, con discreta certezza, la probabile affermazione di un candidato vicino a Khamenei. Ahmadinejad non ha la forza per imporre un concorrente a lui incline. Da tempo si vocifera che questa figura potrebbe essere il suo consigliere ed amico Esfandiar Rahim Mashaei, con un’operazione che ricorderebbe molto da vicino quella attuata dal tandem Putin-Medvedev nella vicina e strategicamente alleata Russia. Mashaei è inviso all’establishment clericale conservatore per le ripetute esaltazioni del passato pre-islamico della nazione persiana, per alcune dichiarazioni di distensione nei rapporti con Israele e per l’attacco ai principi del velayat-e faqih, su cui si regge tutta la legittimità interna del regime. Posizioni inconciliabili con quelle del clero vicino a Khamenei (che è comunque numericamente di gran lunga inferiore a quello “non impegnato” politicamente) che hanno suscitato addirittura il risentimento e l’anatema dell’ormai ex-mentore di Ahmadinejad, l’influente Ayatollah Mesbah-Yazdi.
La delicata situazione siriana e le continue minacce di un attacco militare da parte di Israele (non impossibile ma comunque abbastanza improbabile) rendono assai caute le mosse dei due avversari in politica estera. Il rinnovato dialogo sul nucleare con le potenze occidentali riattivato all’inizio di quest’anno, non ha ancora portato ad una soluzione del problema. Lo scopo, confermato dal un “nulla di fatto” seguito ai vari step, sembra semmai quello di guadagnare tempo approfittando dello stallo a livello internazionale. Tema, quello dell’energia nucleare a scopi pacifici, su cui entrambi i contendenti puntano, mostrando una non voluta comunione di interessi che andrebbe interpretata più come un motivo di risveglio dell’orgoglio nazionale che come un tema da sfruttare per una polemica orientata a catturare, sotto la bandiera della religione, il consenso regionale contro Israele.
Nel frattempo, il nuovo round di sanzioni voluto dall’Occidente finisce per colpire non il regime (il reale obiettivo) ma la popolazione e la sua classe media. Questo esito avrà certamente ripercussioni più negative su Ahmadinejad e il suo governo che su Khamenei, il quale ha inoltre tratto beneficio dal recentissimo vertice tenutosi a Tehran del Movimento dei Non Allineati per isolare sempre più il rivale e accreditare, sotto la sua guida, l’Iran come potenza di riferimento per tutti quei Paesi che intendono porre il bando alla proliferazione delle armi nucleari. Il successo del vertice è stato confermato sia dalla folta presenza a livello di Capi di Stato e/o di Governo di partner anche regionali, tra cui l’Egitto del Presidente Morsi, sia dalla condanna formulata da Israele che avverte sempre più la minaccia dell’isolamento dal contesto di appartenenza e l’abbandono, almeno in questa fase, da parte dell’alleato americano.
Conclusione
Le principali vicende di politica interna degli ultimi tre anni, vale a dire dalla repressione del movimento dell’Onda verde e dalla riconferma di Ahmadinjead alla presidenza, hanno visto divergere le due principali istituzioni del regime. Anche sotto la bandiera della religione – in gioco non vi sono solo due visioni differenti del ruolo dell’Islam nella Repubblica Islamica ma anche due interpretazioni contrapposte della dottrina del Dodicesimo Imam – e certamente sul versante della politica economica, si sta combattendo un’aspra battaglia che ha come posta in gioco il potere.
La partita sembra essere destinata ad un esito scontato, con la vittoria del fronte di Khamenei. In realtà nessuno conosce il peso reale che Ahmadinejad esercita tra le masse (il quorum partecipativo alle ultime elezioni parlamentari si è assestato al 64%), né il vero consenso di cui gode fra le fila e i ranghi dei Pasdaran, probabilmente il vero ago della bilancia in questo gioco. A contrapporsi, nell’immediato futuro, potrebbero proprio essere il potere degli elmetti, in costante ascesa negli ultimi anni, e quello dei turbanti, ormai abbarbicati al potere e per ciò stesso invisi a larghi strati di una popolazione giovane, noncuranti delle dispute di carattere teologico e maggiormente interessati alla realizzazione dei propri bisogni esistenziali.
Con il fronte riformista fuori gioco (i cui capi in realtà sono solo un’altra faccia del regime), il popolo iraniano e la generazione dei giovani nata dopo la Rivoluzione che ha conosciuto solo l’attuale tipo di regime dovrà trovare nuove forme di organizzazione da contrapporre al potere degli Ayatollah. Tuttavia, data l’assenza di queste stesse forme di organizzazione, l’esito della sfida così come espresso nelle righe sopra non sembra poter essere facilmente messo in discussione.
* Alberto Gasparetto è PhD Candate in Science Politics and International Relations (Università di Torino)
L’articolo è apparso originariamente sul blog Iranian foreign policy and the Middle East al seguente link. BloGlobal lo riceve e lo divulga.