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La passione, di Carlo Mazzacurati

Creato il 07 ottobre 2010 da Dallenebbiemantovane

Come al solito, quando scrivo una recensione cinematografica devo resistere alla tentazione di andare a sbirciare cos'hanno scritto su Mymovies e altri siti del genere.
Che dire? Non sarebbe onesto spacciarlo per capolavoro. Ci sono le stesse inconcludenze nella sceneggiatura e nei dialoghi già notate ne La lingua del santo, per esempio.
Silvio Orlando è perfetto, la Smutniak pure, non parliamo poi di Battiston che da quando l'ho visto a teatro è il mio idolo, e qui per la prima volta sfrutta il fisico per caratterizzare in senso tragicomico il suo personaggio, quando nel finale sarà costretto a sostituire il primattore della sacra rappresentazione nel ruolo di Gesù.
Occasione stramancata invece per Corrado Guzzanti, scelto forse per richiamare il pubblico televisivo ma per nulla in sintonia con il resto dei protagonisti: da quando guardo Boris ho visto un sacco di gente, compreso lo stesso Guzzanti, interpretare attori "cani" come si dice in gergo nella soap opera Gli occhi del cuore 2, ma qui il nostro straparla, esagera, e quando esageri non fai ridere per niente.
Però, ribadisco, il problema vero è la sceneggiatura inconcludente, priva di tempi comici ma nemmeno decisamente drammatica quando servirebbe, sicché tutto resta sulla tonalità malinconica così cara al regista ma già vista e stravista.
Quando arriva il climax dell'intreccio, cioè la sacra rappresentazione stessa, né si ride né ci si commuove, e sì che di momenti topici da sfruttare ce ne sarebbero a iosa. Non solo, ma purtroppo in più momenti, compreso l'acquazzone Gesù e i ladroni crocifissi, non può non venire in mente Amici miei, dove invece l'effetto comico era crudele e irresistibile (seguito, come ricorderete, da un altro pezzo indimenticabile, la seduzione della Maddalena la cui virtù viene "salvata" dall'alluvione del '66).
Lo so che la Cecchi d'Amico e tutti gli altri sono morti da un pezzo, ma non si può non vedere nella totale crisi del regista Gianni Dubois il coma profondo in cui versa quasi tutto il cinema italiano attuale.
Lasciamo perdere il produttore volgare e l'attricetta televisiva prepotente che lo angariano.
Trascuriamo per un attimo anche il fatto che non sono necessariamente i registi a dover scrivere soggetti e sceneggiature per i loro film.
Con Dubois resta tuttavia la penosa impressione di una confessione di impotenza creativa che neanche la storia inventata sul momento, quello della ragazza incinta che parte per cercare il fidanzato musicista in tournée nei paesi nordici, riscatta.
Peccato, insomma.
 


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