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La passione rossonera per la politica

Creato il 13 ottobre 2012 da Calcioromantico @CalcioRomantico

K’akhaber K’aladze appende le scarpette al chiodo nel maggio 2012 dopo dodici anni in Italia, di cui dieci al Milan di Berlusconi. La passione rossonera per la politicaDecide di darsi alla politica e la sua carriera pare a dir poco fulminea: passano soli cinque mesi dal suo addio al calcio e diventa già vicepremier nonché Ministro dello Sviluppo Regionale e delle Infrastrutture nella sua Georgia. Sostiene il miliardario Bidzina Ivanishvili, neopremier al 153esimo posto tra le persone più ricche del mondo (Berlusconi è al 169esimo), e il suo partito “Sogno georgiano”. Ivanishvili a occhio e croce ha già in sé qualche caratteristica del berlusconismo: imprenditore che entra in politica, sfrutta – anche – il calcio per ottenere consensi ed è soprattutto intimo di Putin, il presidentissimo russo sfidato nel 2008 da Saakašvili (a capo della Repubblica georgiana) per la questione dell’Ossezia del sud. “La politica è meglio del calcio, l’elezione è meglio di una finale di Champions”, ha dichiarato K’aladze; non si fa fatica a credergli, vista la facilità con cui ha ottenuto questi incarichi. 

Di recente un ex compagno di squadra di K’aladze, Andrij Ševčenko, rossonero dal 1999 al 2006 e poi nel 2008/2009, è “sceso in campo” (mutuando il tormentone proprio di Berlusconi), e come il patron del Milan ha pensato subito bene di atteggiarsi a perseguitato e accerchiato, visto che sono stati avanzati sospetti sullo sfruttamento della sua immagine per togliere voti agli elettori che sostengono Julija Tymošenko. L’ex presidentessa, condannata a 7 anni per abuso di potere e che ora subirà un nuovo processo per malversazione ed evasione fiscale, ha una popolarità altissima che i sondaggi stimano attorno al 40%. A osteggiarla, tra gli altri, ci sarà Natalija Korolevs’ka, sostenuta proprio da Ševčenko, con il suo movimento “Avanti Ucraina” (che qualcuno traduce in “Forza Ucraina” non senza malizia) che probabilmente non riuscirà a ottenere la leadership, ma che con l’appoggio dell’ex calciatore quasi sicuramente riuscirà a entrare in Parlamento superando il 5% di soglia di sbarramento.

K’aladze e Ševčenko però non sono i primi ex milanisti a “scendere in campo”: il primo è stato Gianni Rivera, anche se ha vestito la maglia rossonera quando Berlusconi ancora costruiva palazzine con finanziamenti di chissà chi. Il golden boy Pallone d’oro 1969, dal 1987 si è reso protagonista di un trasformismo da politico navigato. Inizialmente nella DC, ha aderito al Patto Segni nel 1994 diventando anche deputato, per poi ricoprire gli incarichi di segretario alla Presidenza della Camera nel 1994 e poi sottosegretario alla Difesa per le due legislature dell’Ulivo, 1996 e 2001. Ha aderito a Rinnovamento Italiano di Dini e ai Democratici di Prodi, tramite cui è poi entrato nella Margherita. Dopo un’esperienza al Parlamento Europeo sempre con l’Ulivo, e un adesione al movimento Rosa per l’Italia di Tabacci e Baccini, nel 2011 decide di sostenere Letizia Moratti alle comunali di Milano, ottenendo ben 20 voti.

Nel 2004 tocca a Weah candidarsi alle elezioni presidenziali nella sua Liberia. Sembrava una vittoria facile la sua, visto che in patria è un’icona con tanto di statua a sua immagine installata a Monrovia. Inizialmente restio a intraprendere una carriera politica, l’ex

La passione rossonera per la politica
calciatore, rossonero dal 1995 al 2000, ha poi cambiato idea; ha aperto un’emittente televisiva privata –  casualmente chiamata Channel Five [1] – e si è messo in gioco nonostante l’inesperienza e nonostante non abbia conseguito nemmeno il diploma di istruzione superiore, circondandosi peraltro di consiglieri accusati di corruzione, esponenti tipici della disastrata politica africana. Al primo turno è stato il candidato più votato con il 28,3% dei consensi. Al ballottaggio però probabilmente ha prevalso il buonsenso e l’ha spuntata Ellen Johnson-Sirleaf, la prima donna a capo di uno stato africano, premio Nobel per la pace nel 2011 oltre che unica personalità liberiana di spicco a osteggiare realmente il despota Charles Taylor, al potere dal 1997 al 2003. Peraltro nel 2000 Weah, nell’ambito dell’impegno per la liberazione di quattro giornalisti inglesi arrestati in Liberia con l’accusa di spionaggio, aveva dichiarato di essere “in buoni rapporti” con Taylor, poi accusato di crimini contro l’umanità.

Tornando in Italia rimane da citare il caso di Giovanni Galli, portiere rossonero dal 1986 al 1990 (proprio all’inizio dell’era Berlusconi), candidatosi a sindaco di Firenze con il PDL (e il placet di Sivio in persona) nel 2009 contro quel Matteo Renzi che all’epoca ancora chiamavano “l’Obama del PD”. Arrivato al ballottaggio con il 32% delle preferenze, è stato poi sconfitto al secondo turno in cui Renzi ha ottenuto il 60%. È divenuto quindi capogruppo PDL al consiglio comunale del comune di Firenze, per poi lasciare il partito di Berlusconi fondando la “Lista Galli – cittadini per Firenze”. Attualmente è consigliere comunale; niente di che quindi, ma almeno è innocuo, visto che la sua attività principale pare comunque essere quella di opinionista a Mediaset.

È superfluo, a questo punto, sottolineare quanto poco sia possibile parlare di passione o tantomeno vocazione politica. Nei casi di K’aladze e Ševčenko pare si tratti più di sfruttamento da parte di terzi della loro immagine e della loro fama conseguite per meriti sportivi, ma detto ciò rimane difficile pensare che i diretti interessati disdegnino un così facile passaggio dalla panchina alla poltrona, dallo stadio al palazzo. Weah paradossalmente sembra ancora più idolatrato in patria di quanto non lo siano K’aladze e Ševčenko, ma ha pagato inesperienza e ambiguità, non gli è bastata la filantropia da prima pagina. E per fortuna, aggiungiamo. Per quanto riguarda i casi italiani possiamo tralasciare Rivera che comunque ai suoi tempi è stato un episodio abbastanza isolato, ché nell’Italia della Prima Repubblica non c’era molto spazio per chi non si faceva la gavetta nelle sezioni di partito, sporche o pulite che siano state. Con l’avvento del berlusconismo però è iniziata anche l’epoca dell’outsider, del non politico che si mette in gioco dicendo di essere fuori dalle malate dinamiche di partito. E chi meglio di un calciatore dispone di risorse economiche e di notorietà tali da potersi buttare in politica? Magari col partito del presidente della squadra per cui giocavi (Galli docet)? Certo, si può dire che non c’è differenza tra un calciatore e una Nicole Minetti a caso, oppure si può dire che non è detto che tutti i calciatori siano ignoranti, ma questi precedenti ci sembra che rischino di diventare pericolosi: lo vorreste, che so, un Gattuso in Parlamento? Noi no. Ma nemmeno un Ambrosini eh.

daniele

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[1] Il nome Channel Five è davvero casuale, deriva dal criterio di assegnazione delle frequenze della TV liberiana. A volte le coincidenze sono proprio esilaranti.


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