[Articolo di Lucrezia Modugno pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]
Questo pensiero è condivisibile, ma la novità, ciò che è diverso dal solito, può anche spaventare o non essere accettato. Essere pionieri nell’introdurre una nuova tecnica o una nuova weltanschauung può essere arduo.
Nel mondo dell’Arte, la difficoltà dell’inizio colpisce ambiti differenti e passa da quelli più alti, che riguardano la teoria e i manifesti che l’accompagnano, alla possibilità spicciola di poter vivere del proprio lavoro di artista.
Molti dei movimenti artistici, oggi considerati dei classici della Storia dell’Arte, sono stati profondamente osteggiati e condannati pubblicamente dalla critica. L’Ottocento è stato il secolo in cui per la prima volta ci si ribellava alla correttezza formale delle Accademie di Belle Arti. Essere i primi a muoversi contro quello che era il potere costituito del mondo artistico è costato molto agli artisti, in termini anche economici, ponendoli di fronte a grandi difficoltà riguardo la possibilità di continuare il proprio lavoro.
Il movimento Impressionista, ad esempio, ha faticato non poco ad emergere. Le opere di Monet, Renoir, De Nittis e Degas furono ripetutamente rifiutate dalle esposizioni ufficiali dei Salon parigini e, solo nel 1874, per volere del famoso fotografo francese Nadar, ebbero la possibilità di realizzare una mostra collettiva con 165 opere, un catalogo e un biglietto d’entrata, al numero 35 del Boulevard des Capucines. La Societè anonyme des artistes, peintres, sculpteurs, graveurs, questo era il nome del gruppo, ebbe, così, la sua possibilità di farsi notare. L’impegno degli artisti e del loro mecenate si risolse, però,
in un fallimento.
La critica fu dura. L’articolo di Louis Leroy, apparso su Le Chiarivari del 25 aprile 1875, descrive come «Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin, premiato sotto diversi governi» impazzì letteralmente a causa della visione dei dipinti: a ogni tela la mente di Vincent perdeva sempre di più il contatto con la realtà e fu lui, secondo il racconto di Leroy che lo accompagnava durante la visita, a definire, per la prima volta, con il termine “impressionista” i dipinti esposti, prendendo spunto dal titolo di un’opera di Monet, Impressione. Levar del sole (1872). La critica si rivolse soprattutto alla mancanza di definizione delle forme e alla giustapposizione delle pennellate.
Non c’erano linee di contorno, mancava quasi del tutto il disegno: l’immagine aveva senso solo nel suo insieme.
Non tutti gli articoli apparsi sui giornali in quel periodo furono negativi, ma la maggior parte ripeteva gli stessi giudizi scritti un decennio prima, recensendo le opere di quei pittori che gli Impressionisti consideravano come propri maestri. Racconti di svenimenti di donne per bene davanti alle tele di Courbet e di Manet e resoconti di folle che si accalcavano attorno a quei quadri scandalosi erano all’ordine del giorno.
Cambiando scenario, intorno al 1850, a Londra, c’era stato un certo fermento davanti al lavoro degli artisti della Confraternita dei Preraffaelliti. Si trattava di un gruppo di giovani allievi della Royal Academy, che scelsero di discostarsi dalla convinzione che l’Arte avesse trovato la sua dimensione corretta solo da Raffaello in poi, in particolare con la sua Trasfigurazione (1518-20), considerata da loro un caso d’insincerità compositiva e ostentazione delle capacità tecniche. Le recensioni dei dipinti esposti non furono negative fin da subito: ci fu un generico apprezzamento per le opere, di tema storico, letterario e di carattere religioso; nacque anche un certo interesse per la sigla PRB posta accanto alla firma sulle tele: incuriosiva molto perché dal significato oscuro. In occasione di una seconda esposizione, il significato delle tre lettere, Pre-Raphaelite Brotherhood, fu chiarito da Dante Gabriel Rossetti, esponente del gruppo, e la polemica prese posto sui giornali che raccoglievano le recensioni delle esposizioni. Essere una Confraternita, che richiamava alla memoria il mondo cattolico in un Paese anglicano, aver realizzato dipinti di tema religioso e biblico, come Ecce Ancilla Domini (1849-1850) di D. G. Rossetti, furono all’origine delle accuse di papismo. Successivamente, le critiche si spostarono sulla pretesa di voler violare i principi affermati di composizione e di bellezza dell’arte moderna, rifacendosi alla sincerità dell’arte prerinascimentale. Charles Dickens scrisse delle parole durissime su Cristo nella casa dei genitori (1849-1850) di John Everett Millais, quello stesso artista che, nel 1896, diventò presidente della Royal Academy.
Solo l’intervento di John Ruskin, considerato il più autorevole tra i critici d’arte inglese, riuscì a ribaltare l’opinione del pubblico e degli addetti ai lavori, decretando la fortuna della PRB.
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