Esiste un luogo, nel territorio un tempo noto come Castelli Cusiani, la cui memoria è associata a un crimine rimasto impunito. I protagonisti di questa storia, che per rispetto delle persone coinvolte e dei parenti ancora in vita non chiamerò coi loro veri nomi, si svolsero però molto tempo prima che il nome di Castelli Cusiani venisse adottato.
C’era dunque un giovane che aveva sedici anni e faceva l’apprendista da un sarto in un paese sulla collina. Tutte le mattine risaliva la strada e la discendeva la sera. Era una via nuova, costruita da pochi decenni per consentire il passaggio di carri e carrozze.
Circa a metà si trovava una grande pietra, accanto a una piccola sorgente. I più anziani ricordavano che sull’altura soprastante esisteva un antico castello dei guelfi novaresi. Un giorno però erano giunti i loro nemici ghibellini che in tutto il contado andavano distruggendo le fortezze nemiche. Benché fosse costruito in cima a una roccia scoscesa il castello, non si sa se con l’inganno o il tradimento, fu preso. I suoi difensori, che si erano arresi con la promessa di aver salva la vita, furono passati a fil di spada e i loro corpi lasciati in pasto agli animali.Una storia lugubre, che non poteva non richiamare altre ancora più inquietanti presenze. I vecchi infatti sussurravano che, nonostante l’edicola dedicata alla Madonna che vi era stata scavata, in alcune notti dell’anno attorno al masso, posto all’incrocio di tre strade, le streghe si radunassero per incontrare qualcuno di cui nessuno osava pronunciare il nome nemmeno in pieno giorno, figuriamoci quando le ombre del Monte Avigno cominciavano ad allungarsi sulla piana.I giovani però non ascoltano mai i racconti dei vecchi, tanto più quando essi sono oscure parole intrise di superstizione. Così l’apprendista se ne tornava a casa tutte le sere con le mani in tasca fischiettando, senza temere nessuno in questo o nell’altro mondo. Così diceva, almeno.Una sera però giunse a casa più tardi del solito e con il viso stravolto. Senza nemmeno cenare s’infilò nel letto. La mattina dopo non si alzò proprio, lamentando grandi dolori alla pancia. I suoi cominciarono a preoccuparsi, ma era gente povera e non avevano modo di pagare il dottore. Così le cose andarono sempre peggio. Arrivò la febbre e dal delirio in cui il ragazzo si dibatteva, cominciarono a emergere incerti frammenti di una possibile verità.Un pezzo dopo l’altro, mettendo ordine tra parole sconnesse, grida e improvvisi silenzi, i suoi parenti ricostruirono l’accaduto.Quella sera, tornando dal laboratorio, il giovane apprendista aveva visto una carrozza, ferma accanto al masso. Pensò che gli occupanti si fossero fermati per bere quell’acqua deliziosa e fece per andare oltre, ma si sentì chiamare. Vide un uomo molto elegante, con mantello, bastone e cilindro che gli sorrideva, offrendogli dei cioccolatini.Nessuno aveva mai visto delle simili delizie da quelle parti. Come resistere a una simile offerta? Ma chi era quell'uomo misterioso? Cosa contenevano quei dolciumi? Quale era stata la contropartita per averli? Nessuno poté mai saperlo, perché il disgraziato giovane, tra atroci dolori, spirò portando con sé il suo segreto.