Se si prova a fare la lista delle grandi vergogne italiane ci si trova di fronte ad un elenco interminabile, troppo lungo persino limitandosi alla mera indicazione degli ambiti sociali, economici, politici degli scandali italiani. Eppure di queste innumerevoli vergogne ce n'è una, a mio avviso, maggiormente intollerabile e che dovrebbe destare la più alta indignazione (indignazione che certo da sola non basta ma, per richiamarsi a Stéphane Hessel, è la premessa di ogni azione di radicale trasformazione): l'ignavia, la passività, l'inerzia di tutti coloro che dovrebbero battersi – perché ne hanno l'interesse e il bisogno, perché sono consapevoli del dominio dell'ingiustizia, perché sono oppressi - per rivoltare come un calzino questo Paese per renderlo migliore. Non parlo degli onesti e delle persone genericamente di buona volontà da contrapporre, in una visione manichea di buoni e cattivi, alle 'caste' e agli 'oppressori'. Parlo di tutti coloro che sono consapevoli che per cambiare questo Paese serve costruire un sistema diverso dal punto di vista sociale, economico, politico, dei comportamenti personali. E che questa alternativa passa dal far prevalere il bene comune sugli interessi individuali, il controllo collettivo della ricchezza e dell'economia sull'egoismo del profitto.
I mafiosi, i corrotti, gli speculatori, le caste di ogni genere e bandiera, coloro che si sono venduti al sistema, gli imprenditori che nonostante tutto continuano a macinare profitti (anche grazie al precariato e al lavoro nero, alla libertà di inquinare, all'evasione fiscale) fanno il proprio 'mestiere' ma tutti quelli che sono convinti che questa trasformazione è indispensabile e nonostante ciò restano inerti e passivi sono doppiamente colpevoli. Ed altrettanto colpevoli sono coloro che pensano che il rinnovamento possa passare per un Civati o un Barca come se gli antifascisti avessero pensato, negli anni della Resistenza, di poter porre alla propria testa un Giuseppe Bottai o un Galeazzo Ciano. Non penso ad una rivoluzione cruenta e da combattere con le armi o con i forconi, penso ad un grande lavoro di elaborazione politica e culturale, di individuazione di efficaci strategie di comunicazione, per l'organizzazione di una rete estesa e diffusa di attivisti e volontari in grado, attraverso azioni concrete, di incontrare e parlare con le persone, quelle oppresse dalla povertà e dall'ingiustizia, violentate nella possibilità di realizzare pienamente e liberamente la propria vita ed il proprio talento. Mi indigno nel vedere i Rodotà, i Gallino, i Zagrebelsky – tra i più lucidi ed autorevoli critici del 'sistema' - che continuano a dialogare con il PD e che invitano a votare centrosinistra. Mi indigno a vedere coloro che hanno fatto dell'impegno politico la propria vita e credono nella necessità di un'alternativa che non riescono a trovare un terreno comune di azione e di lotta. E' illusorio pensare alle grandi masse che spontaneamente riescono a ribellarsi e a rovesciare questa situazione: la storia ci insegna che servono organizzazioni e sovrastrutture politiche in grado di guidarli. Ce lo dimostra anche la storia recente italiana: i milioni di lavoratori che manifestarono al Circo Massimo su iniziativa della CGIL di Cofferati e che riuscirono a sventare, in quel momento, il tentativo di scardinare l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ce lo dimostra il successo – per quanto discutibile ed estraneo alla sinistra – del Movimento di Beppe Grillo, strutturato secondo logiche 'leniniste', in grado di interpetare alle ultime elezioni il disagio diffuso tra gli italiani. Esiste per la Sinistra un modello politico a cui ispirarsi e da seguire, in quella Grecia così vicina all'Italia dal punto di vista geografico, sociale e culturale, ed è quello di Syriza: un partito di sinistra radicale nato dall'unione di tanti piccoli movimenti e formazioni politiche, in grado di coniugare la ferma opposizione, nel Parlamento e nelle piazze, alle politiche di massacro sociale all'azione di penetrazione nel tessuto vivo della Società. “Cambiare si può”, “Se non era quando” erano solo vuoti slogan oppure valgono ancora qui e ora?
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