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La politica iraniana

Creato il 15 marzo 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

La politica iraniana
Qualsiasi persona di buon senso può vedere ciò che sta accadendo intorno a noi. Alla luce di ciò, sono giunto alla conclusione che tagliare il bilancio della Difesa sarebbe un grave errore (…) Tutti questi cambiamenti hanno implicazioni strategiche per la sicurezza nazionale dello Stato di Israele, per la nostra capacità di affrontare le nuove sfide e l’instabilità (…) L’esercito israeliano è lo scudo del Paese, ed è per questo che dobbiamo aumentare i nostri mezzi di difesa”.

Sono questi alcuni stralci del discorso del Premier israeliano, Binyamin Netanyahu, in occasione della presentazione dell’aumento della spesa militare: le politiche di sicurezza e difesa sembrano così restare per Tel Aviv le priorità indiscusse, nonostante il dilagare della crisi economica e sociale.

In effetti, alla luce di quest’ultima, da mesi negli ambienti governativi si era evidenziata la necessità di ridurre le spese militari e di riutilizzare le risorse recuperate in misure di welfare. Attualmente Israele spende annualmente per la propria sicurezza 14 miliardi di dollari (3 dei quali finanziati direttamente da Washington). In più occasioni, lo stesso Netanyahu, insieme con il Ministro della Difesa Ehud Barak, aveva manifestato inizialmente l’intenzione di ridurre il budget della difesa, accogliendo le istanze presentate a tal proposito sia dalla Commissione Trajtenberg, che – incaricata dallo stesso governo israeliano e sulla base degli studi dell’economista Manuel Trajtenberg – raccomandava una riduzione del rendiconto della difesa pari almeno a 700 milioni di dollari, sia dalFondo Monetario Internazionale.

In particolare, il FMI ha sollecitato il governo a concentrarsi sulla riduzione del debito pubblico e a limitare le spese militari – veri macigni della crescita israeliana – e a trovare nuovi modi per aumentare le entrate aggiuntive dello Stato. Il rapporto pubblicato lo scorso 13 febbraio, inoltre, afferma che comunque l’economia di Israele rimane forte e ha elogiato il governo per i suoi due anni di bilanci sani e la Banca Centrale per aver tagliato i tassi di interesse. Ma, come continua il Report, “il compito più arduo è di abbassare il debito pubblico dal 75% del PIL al 60%”, a causa dell’aumento della spesa militare e del declassamento delle proiezioni di crescita. Anche secondo l’OCSE, il PIL di Israele è destinato a crescere solo del 2,9% nel 2012, accelerando al 3,75% nel 2013: dati nettamente inferiori alle aspettative del 4,7% previste dalla Bank of Israel e dal Dicastero delle Finanze.

Anche Yuval Steinitz, Ministro incaricato per quest’ultimo, ha affermato che sarebbe utile tagliare almeno il 2% annuo del rendiconto generale dell’IDF per riutilizzare quelle risorse in misure sociali utili, accusando, per di più, il titolare della Difesa di “non attuare una trasparente politica sui bilanci”. Barak, invece, ha tenuto a sottolineare come il bilancio della difesa dal 1986 ad oggi abbia subito drastiche decurtazioni, incidendo sempre meno sul PIL nazionale, passando dal 17% al 6% attuale.

La politica iraniana

Spesa militare di Israele. Fonte: CIA World Factbook

I tagli alla difesa, in un Paese come Israele, hanno tuttavia sollevato forti critiche da parte dei militari, tanto che il governo, in maniera quasi straordinaria, e nonostante l’opposizione solitaria di Steinitz, l’8 gennaio scorso ha annunciato un aumento del budget della difesa di 700 milioni di dollari. Lo Stato maggiore dell’esercito ritiene, per di più, ancora insufficiente l’ultimo aumento del budget – come ad esempio affermato dal Generale di brigata Guy Tzur o dal Capo di Stato maggiore dell’esercito Benny Gantz, che hanno ritenuto utile un aumento della spesa militare di ulteriori 7 miliardi di shekels (circa 1,8 miliardi di dollari) – e ha attaccato i leader della protesta estiva, sottolineando come una riduzione delle risorse militari potrebbe minare seriamente non solo la sicurezza nazionale ma anche l’esistenza stessa di Israele. Secondo i militari, gli stanziamenti aggiuntivi al bilancio militare israeliano sono necessari anche per finanziare i programmi di acquisizione di nuove armi e mezzi, come dimostrano i recenti accordi firmati dal governo israeliano con le aziende italiane Alenia-Aermacchi e Finmeccanica e il gruppo coreano-statunitense Golden Eagle.

La politica di sicurezza e difesa di Tel Aviv si lega ancora una volta a doppio filo, dunque, con la sua politica estera, soprattutto oggi che il contesto mediorientale è profondamente cambiato ed Israele si trova parzialmente isolato. Nel corso dell’ultimo anno Tel Aviv ha perso le alleanze pluriennali con Egitto e Turchia, i suoi confini vengono minacciati a nord da Hezbollah in Libano e a sud-ovest da Hamas e Jihad Islamica nella Striscia di Gaza – gruppi e movimenti che hanno ricevuto armi e addestramento dai pasdaran iraniani – ed, infine, la minaccia del nucleare iraniano è sentita sempre più realistica come dimostra anche la recente decisione di Teheran di aumentare il proprio budgetmilitare, per il biennio 2012-13, raggiungendo la cifra considerevole di 90 miliardi di dollari.

Pertanto una riduzione o, quanto meno, un contenimento della spesa militare – a maggior ragione dopo l’incontro alla Casa Bianca tra Netanyahu e Obama in cui quest’ultimo ha lasciato intendere come le priorità strategiche degli USA si stiano spostando dal tradizionale contesto mediorientale verso l’Asia Centro-Orientale – non sembra poter essere davvero attuabile nel breve periodo.

* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)


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