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“In quanto al titolo “La Porta sul buio”, vi chiederete che cosa voglia significare. Ebbene, vuol dire, come aprire una porta sull’ignoto, su ciò che non conosciamo e che perciò molte volte ci inquieta, ci fa paura. Ma per me vuol dire anche altre cose. Può capitare, ed è capitato una volta, anche una sola volta nella vita di una persona, di chiudersi una porta alle spalle e trovarsi in una stanza buia…, cercare l’interruttore della luce e non trovarlo… Provare ad aprire la forma e non riuscirci. E dover restare lì, al buio… Soli… Per sempre. Ebbene, alcuni dei protagonisti delle nostre storie si sono chiusi alle spalle questa porta fatale.”
- Dario Argento nell’introduzione agli episodi de “La Porta sul buio” -.
Enzo Cerusico/Commissario Giordani nell’episodio “Il Tram” :-“C’è anche il criminale intelligente, magari ha belle macchine, ville, lusso, può anche sembrare una persona per bene, compie delitti anche lui, eccome, solo che quando andiamo a vedere ci mostra le mani e sono sempre bianche, pulite, immacolate.”
In quei primi anni ’70 l’exploit registico di Argento fu tale per cui la Rai TV gli commissionò e fece realizzare 4 episodi di 60’ ciascuno da programmare alla maniera di un “Alfred Hitchcock Presents”, con una breve introduzione di Argento stesso, grazie alla quale e agli ascolti altissimi che fecero gli episodi, divenne un volto conosciuto e inconfondibile per moltissimi telespettatori. Venuta subito dopo l’enorme successo commerciale in Italia ma anche all’estero e negli Stati Uniti della famosa e già più volte menzionata “Trilogia degli animali, o zoologica” comprendenti “L’Uccello dalle piume di cristallo” (1969), “Il Gatto a nove code” (1971), e “Quattro mosche di velluto grigio” (1971), la mini serie avrebbe dovuto richiamare e riportare il tipo di stile e di trame dei suoi film sul piccolo schermo, pur con tutti gli evidenti limiti della televisione dell’epoca in termini di rappresentazione della violenza. Ciò nonostante la Rai dell’epoca soprattutto se raffrontata a quella cortigiana di oggi era ancora capace di sperimentare e di proporre prodotti diversi e per molti versi coraggiosi, al vasto pubblico. Certo Argento dovette scontrarsi con cose assurde di quei tempi, come ad esempio il divieto di usare coltelli o comunque armi da taglio nelle scene di omicidio (anche perché udite udite richiamanti la chiara simbologia fallica della psicologia) e, più in generale di mostrare quella violenza che è l’essenza stessa del suo modo di intendere visivamente il thriller.
Ma riuscendo a non tirarsi troppo indietro Argento impose di mostrare delle scene violente come mai prima di allora si erano viste sugli schermi televisivi italiani, e certamente adatte a essere commercializzate all’estero, realizzando un prodotto giallo-thriller davvero quasi all’altezza dei suoi thriller cinematografici; anche per questa qualità innegabile si coniò il termine di "Hitchcock all’italiana".
I quattro episodi sono imperniati su trame all’apparenza angosciose e improbabili ma invece ben possibili, e quasi sempre da quell’impianto intrinsecamente claustrofobico che è un po’ l’ossessione primaria di Argento.
Con la possibilità di lavorare anche col mezzo televisivo tramite una serie televisiva –seppur di soli quattro episodi- il regista romano si avvicinò ancor più alla diversificazione di attività creative che il suo modello hitchcockiano aveva pioneristicamente intrapreso alla televisione americana fin dagli anni ’50 e per tutti i ’60 appunto con le celeberrime serie “Alfred Hitchcock Presenta” (The Alfred Hitchcock Presents) e “L’Ora di Hitchcock” (The Alfred Hitchcock Hour), e quindi anche per Argento la possibilità di cimentarsi felicemente con la serialità. Molto più felicemente che negli anni ottanta con i vari telefilm e mini segmenti della trasmissione su Raidue “Giallo” (’87) di Enzo Tortora, dal titolo “Turno di notte” e “Gli Incubi di Dario Argento”. Nel 1973 però, alla messa in onda degli episodi certamente i vertici della Rai avranno avuto i sudori freddi di fronte all’audacia e alla loro avanguardia oltre che alla per loro incomprensibile sperimentazione di nuovi modi di ripresa e linguaggio, ma soprattutto, di fronte alle proteste di alcuni telespettatori in particolare per il primo episodio ritenuto molto violento (“Il Vicino di casa” diretto dal fido braccio destro e co-sceneggiatore di Argento, Luigi Cozzi) -e meno male che non c’era ancora il pernicioso Moige- che determinarono una stretta di controlli preventivi della messa in onda dei successivi episodi, onde bloccarli o meno. Il successo di pubblico però fu innegabile e anche se non –fortunatamente- ancora in tempi di “audience” si è stimato che diversi milioni di italiani videro gli episodi alle prime messe in onda, e tra questi sicuramente vi furono anche moltissimi degli spettatori che avevano determinato il successo di pubblico cinematografico dei film di Argento e che poterono ritrovarvi l’interessantissimo tentativo di trasferirvi le sue idee e le sue storie cinematografiche, anche nuove e da poter essere riprese e sviluppate in altri successivi thriller cinematografici.
Dei quattro, gli episodi diretti da Argento furono due: “Il Tram” (con lo pseudonimo di Sirio Bernadotte, che è anche l’episodio migliore), con Enzo Cerusico nel ruolo del Commissario Giordani (grande incontro tra i due che sfocierà per lui nel ruolo da co-protagonista del successivo “Le Cinque giornate” [‘73]), Paola Tedesco (Giulia), Pierluigi Aprà (Roberto Magli), Emilio Marchesini (Marco Roviti), e gli immancabili feticci argentiani Corrado Olmi (Morini), Fulvio Mingozzi (poliziotto), Gildo Di Marco (passeggero con la barba), Tom Felleghi (passeggero), Salvatore Puntillo (passeggero), Luciana Lehar (passeggera), Marcello Fusco (passeggero), Pietro Zardini (passeggero), Maria Tedeschi (passeggera), e “Testimone oculare” firmato dal suo assistente Roberto Pariante e interpretato da Marilù Tolo (splendida, anche lei ritornerà ne “Le Cinque giornate” e all’epoca era una delle tante donne della vita di Argento), Riccardo Salvino (Guido Leoni), Glauco Onorato (bravo e affidabile come sempre, Commissario Rocchi), Altea De Nicola (Anna), Gino Pagnani, mentre gli altri due sono affidati alla regia del fido Luigi Cozzi il primo e Mario Foglietti il secondo, e sono “Il Vicino di casa” con Aldo Reggiani/Luca (il bravissimo Casoni proveniente da “Il Gatto a nove code”). Laura Belli (Stefania), Mimmo Palmara (Il vicino), Alberto Atenari; e “La Bambola” con Robert Hoffmann (Dottore) che abbiamo già visto anche recente proprio da queste parti in “Spasmo” (’74) di Lenzi, Mara Venier (Daniela Moreschi), Gianfranco D’Angelo (Commissario), Pupo De Luca (Vice Commissario), Umberto Raho (Psichiatra), Erika Blanc (Elena Moreschi), Maria Teresa Albani (locandiera), Luciano Bonanni (cliente del bar). Si riformava in pratica il team di lavoro che già aveva dato così buona prova di sé in “Quattro mosche di velluto grigio”, in quanto proprio in quel film Pariante era stato l’aiuto regista di Argento mentre Cozzi era l’assistente alla regia e coautore del soggetto con lo stesso Foglietti e Argento. Importante anche l’incontro avvenuto in quest’occasione tra Argento e il celebre compositore e pianista jazz Giorgio Gaslini alle musiche che sarà fondamentale tra “Le Cinque giornate” e “Profondo rosso”.
Il Vicino di casa
Due giovani coniugi si trasferiscono con il figlio appena nato in una nuova casa sul mare del litorale laziale. Non possono immaginare che proprio appena al loro trasferimento il loro vicino di casa ha assassinato la moglie.
Questo è stato l’episodio che venne trasmesso per primo; denso d’atmosfere angosciose e di quella claustrofobica tipicamente argentiana, quasi di svolgimento in tempo reale che è quello dell’arco di una notte, sempre in interno che è l’appartamento, e senza ancora telefono e luce allacciati, ubicato dentro ad una palazzina vicino ad una spiaggia, mentre ovviamente l’auto della coppia per un guasto è inutilizzabile. Caratteristica dell’episodio è la scenografia scarna dell’appartamento ancora da rendere personale e abitato dai due protagonisti, ben condotta l’angosciosa atmosfera, e l’onnipresente tensione che si denota in ogni momento dell’episodio, a cui contribuiscono molto bene le musiche e il montaggio. Molto belle sono anche le riprese quasi costantemente in notturna e in esterni nei dintorni dell’abitazione sotto i sibili del vento che proviene dalla spiaggia, a ben restituirci l’atmosfera di desolazione e solitudine che l’episodio riesce a farti proprio come respirare. In molte sequenze è inconfondibile lo stile registico di Argento che è quindi indubbio abbia realizzato diverse sequenze: come il montaggio elaboratamente alternato, le molte riprese in esterni, i passaggi gli stacchi dai piani lunghi ai piani ravvicinatissimi (tutte cose già molto utilizzate da Argento nei suoi film e ben poco assimilate dal mezzo televisivo dell’epoca).
Il Cozzi l’ineffabile dichiarò all’epoca come anche riportato da diverse fonti di essersi ispirato allo spunto ovvio de “La Finestra sul cortile” (Rear Window)(Usa’54) di Alfred Hitchcock, ed è vero che Mimmo Palmara , il “vicino di casa”, è ispirato alle movenze da lottatore del Raymond Burr/”Perry Mason” assassino originale nel film di Hitchcock, e come nel capolavoro del regista inglese ad un certo punto anche Palmara deve cercare di eliminare i due giovani testimoni come nel film originale la coppia James Stewart -Grace Kelly , testimoni involontari o casuali dell’omicidio di sua moglie. Si vede anche “Il Cervello di Frankenstein” (Abbott and Costello Meet Frankenstein)(Usa’48) di Charles Burton, con Bud Abbott/Gianni e Lou Costello/Pinotto , film guardato in televisione dalla giovane coppia.
Laura Belli era già una divetta dello sceneggiato avendo interpretato “Ho incontrato un’ombra” (’74)(’71) e il “Il Segno del comando” (’71) diretti da Daniele D’Anza e dall’enorme successo di pubblico. Mimmo Palmara nel ruolo dello psicotico vicino di casa e uxoricida, oltre che celebre e attivissimo doppiatore e stuntman, è stato uno dei simboli stessi del peplum essendo stato tra i protagonisti in numerosissimi di essi, e anche successivamente negli spaghetti-western.
Il Tram
Un commissario di polizia dalla grande carica umana e comunicativa (Enzo Cerusico, al solito bravo, bravo, ancora bravo), si trova a guidare le indagini sul misterioso e apparentemente inspiegabile omicidio di una giovane donna, assassinio avvenuto su di un vagone del tram di Roma in una corsa notturna.
Questo episodio, sicuramente il migliore di tutti, riprende quella che doveva essere una situazione presente ne “L’Uccello dalle piume di cristallo” e poi eliminata già originariamente dalla sceneggiatura. L’episodio denota e riprende le idee già espresse da Argento nella sua trilogia zoologica, qui firmandosi con lo strano pseudonimo di Sirio Bernadotte (forse perché in quel momento della sua carriera non voleva firmarsi per dei prodotti televisivi), e per rappresentare visivamente l’indagine condotta dal commissario Giordani (tipico cognome romano molto ricorrente nei suoi film), ricorre a tutti i riconoscibilissimi tratti stilistici e alle varie cifre tecniche che determinarono il vasto successo dei suoi primi tre film. Inquadrature quanto mai poco prevedibili ma anzi molto ricercate e mai lasciate al caso, il topos argentiano dell’attenzione per i tic dei suoi personaggi come lo schioccare continuo delle dita di Cerusico, mentre si tarla la mente per risolvere l’enigma), la musica molto ritmica, martellante e dinamica di Gaslini, inusitata per un giallo televisivo prima di allora, l’uso assolutamente inedito per i telefilm della televisione italiana di allora della soggettiva per suscitare senso di mistero e di inquietudine, compreso il particolare fondamentale che il protagonista non riesce a ricordare, i bizzarri e originali stacchi d’ironia e umorismo che fanno da sfondo allo svolgersi della vicenda (l’impagabile descrizione di alcuni dei sospetti, tutta la scena con il mitomane, le continue gaffe di Morini/Corrado Olmi, bonario zimbello di Giordani/Cerusico), la sapienza registica tipica di Argento di saper risolvere momenti drammatici con sequenze anche brevissime e di coda ma sempre molto incisive ed eloquenti (il sospettato principale che, in manette e tra due carabinieri, grida la propria innocenza in un’aula di tribunale) e infine come detto, la presenza dei caratteristi “porta fortuna” di Argento Fulvio Mingozzi, Gildo Di Marco, Tom Felleghi e Corrado Olmi.
L’episodio “Il Tram” è anche fortemente influenzato da un’idea antonioniana dell’inafferabilità dello sguardo sulle cose e sugli accadimenti, e come nell’affascinazione dello sguardo restituitaci da “Blow-Up”, la cui costruzione e risoluzione si imbastisce intorno al solito “dettaglio” o “particolare” argentiano sfuggito alla comprensione risolutiva dei vari testimoni, e che incomincia a torturare Giordani che ripercorrerà più e più volte il percorso fatto dal tram quella notte sulla medesima carrozza così come era nell’esatto momento del delitto, di cui nessuno dei passeggeri presenti sul tram pareva essersi accorto. Inoltre, sapientemente Argento fa iniziare a basso ritmo il suo episodio per la prima mezz’ora, per poi aumentare sempre più negli ultimi venti minuti, fino ad una carica catartica che esplode dopo una fase di lunga attesa, sottolineata dalla musica ossessiva di Gaslini, in quella che è la tesissima sequenza finale notturna nel deposito.
Il commissario interpretato da Cerusico è un personaggio interessante anche perché ha una certa ossessività e ambiguità di fondo, forse proprio in quanto fortemente testardo dato che per poter individuare l’assassino non esita a far fare la esca persino alla propria fidanzata (Paola Tedesco), la quale rischierà proprio di rimanere uccisa per poterlo aiutare.
La “chiusa” politica riportata in testa proprio a questa resta è originalmente fatta pronunciare proprio al suo personaggio alla fine dell’episodio.
La Bambola
La polizia sta cercando un pericoloso psicopatico appena evaso da un ospedale psichiatrico, il quale pare sia l’autore dell’omicidio di una donna. Nel frattempo, una giovane donna, che è coinvolta dal furto di una bambola viene avvicinata da un misterioso individuo.
Terzo episodio nella messa in onda penultimo nel totale della mini serie, secondo alcuni il più debole non possedendo la carica emotiva e ansiogena dei precedenti, non ha nemmeno quei momenti tipicamente argentiani di grande costruzione della suspence, fatta eccezione forse per una bella sequenza ambientata in una sartoria, del resto non si può negare che una vera tensione di stampo thriller argentiano è praticamente assente per tutta la durata dell’episodio. In questo caso più che a spaventare emotivamente lo spettatore gli autori della sceneggiatura si sono interessati alla costruzione di un’impalcatura illusoria dei fatti a cui avrebbe assistito, facendo però ampio ricorso ad un montaggio ingannevole e ad un uso cinematografico della soggettiva così tipico del cinema di Argento da esserne divenuta una vera e propria cifra stilistica, ancora prima che ad esempio della lunga soggettiva con cui similarmente si aprirà addirittura il successivo e celeberrimo prologo di “Halloween – La Notte delle streghe”, e qui c’è una lunga soggettiva con la camera a spalla che la ricorda. Il che ha anche del prodigioso, dato che la SteadyCam di Garrett Brown usata così magistralmente nel citato famosissimo incipit del capolavoro carpenteriano, nel 1973 ancora non esisteva.
Testimone oculare
Una donna racconta alla polizia di essere stata testimone di un omicidio, ma non trova nessuno disposto a credergli anche perché del denunciato omicidio non è stata rinvenuta la benché minima prova.
L’ultimo episodio in verità firmato dall’aiuto Roberto Pariante (che proprio in merito alla lavorazione dello stesso non ha solamente delle belle storie da raccontare sull’Argento uomo mentre si lavora in una troupe, di notte e al freddo, per la sequenza iniziale lungo una strada), venne girato da Argento. Anche qui la mano registica è evidente nel topos della presenza di una misteriosa figura vestita di nero, in guanti neri, e che parla al telefono con la spaventosa voce camuffata in un sibilo minaccioso dei suoi tipici assassini cinematografici. Nella colonna sonora si fa un ampio ricorso di piatti e percussioni come nel precedente “4 mosche”, ricordando quindi molto la o.s.t. composta da Morricone per quest’ultimo, e come già ripetuto nello stacco tipicamente argentiano e molto cinematografico dal piano lungo al primissimo piano se non dettagliato. Qui invece sono del tutto assenti i bizzarri e comunque riusciti affondi umoristici e/o satirici presenti ne “il Tram” e che contraddistinguono comunque tutti e tre i primi film cinematografici della “Trilogia degli animali/o zoologica”. Qui anzi, il climax è molto nero ed opprimente e connotato da una atmosfera impenetrabile e ossessiva, minacciosa e di pericolo incombente sulla protagonista (come detto interpretata da Marilù Tolo), e che la si percepisce per grande stile, fin dalle prime inquadrature del film. Infatti, come detto a differenza che ne “Il Tram” nel quale la tensione era dosata in crescendo e fino all’esplosione catartica dei circa ultimi venti minuti, qui lo spettatore viene sottoposto ad un costante accumulo polanskiano di avvenimenti e segnali “allarmanti” (il cadavere dell’inizio che è sparito, le suddette terrorizzanti telefonate minacciose, le serrature forzate come in una analoga sequenza de “L’Uccello dalle piume di cristallo”, i cavi telefonici tagliati come successivamente in altri film di Argento) ad acuirne ma anche a potenziarne la dimensione di claustrofobia ed angoscia nella quale viene a ritrovarsi la protagonista (testimone di un omicidio e con lei noi spettatori, ma nessuno più le crede e quindi anche a noi assieme a lei), sempre più isolata e creduta pazza (anche il marito ad un certo punto sembra nutrire su di lei seri dubbi) e come prigioniera dentro la propria abitazione-prigione; comunque, è proprio il finale anche di questo episodio l’unico punto di contatto possibile con “Il Tram”, nel quale Giulia/Paola Tedesco rimaneva come detto intrappolata e inseguita in un pauroso deposito deserto, di notte.
Finale tra l’altro, che anche questo pare denotare notevoli somiglianze con quello del successivo già citato capolavoro carpenteriano “Halloween - La Notte delle streghe” (’78).
Alla fine poi, altra differenza rispetto a “Il Tram” è il personaggio qui da co-protagonista di un commissario di P.S. come si diceva allora, il commissario Rocchi, qui interpretato dal sempre bravo attore e doppiatore, purtroppo da non molto scomparso Glauco Onorato. Molto meno presente nella trama e meno impulsivo del collega Giordani, e meno ossessivo nella testarda ossessione della ricerca del colpevole e della verità costi quel che costi. Tant’è che alla fine riesce a salvare comunque Roberta/Marilù Tolo soltanto come si suol dire, per “fatal combinazione”.
Napoleone Wilson
Ben 2 frameshow oggi by robydick, sui 2 episodi di Dario Argento.
Ho scelto delle soundtrack alternative allo splendido jazz di Giorgio Gaslini, altri successi dello stesso anno scelti grazie a wiki. Sono venute fuori cose simpatiche, fatico ad essere serio in questo periodo, ho voglia di ridere e sono sicuro l'amico Napoleone apprezzerà.
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