Quella notte la risposta fu abbagliante quando mi svegliai
alle quattro del ventisette luglio
-corri da Lei-
Si era consumata a tre quarti la candela benedetta
il due febbraio di tanti anni fa nel giorno della Candelora
una donna di mare me ne fece dono incartandola dentro una preghiera
accompagnò le sue mani la parola di raccomandazione
accendila solo in caso estremo,quando non c’è più niente da fare.
Durante questi venti anni l’ho conservata in alto nei mobili più alti,
più vicini al cielo e lontani dal dolore
Nei momenti difficili l’ho sfiorata, riposta
ho creduto non fosse l’estremo dolore quello provato
ce la posso fare-mi ripetevo-
deve esserci qualcosa di più grande
per convocare Dio
La voce spezzata di mia madre
bagnata nei capelli come una bambina appena nata
conteneva quelle parole:
“non c’è più niente da fare”
dieci mussole imbevute,gli ultimi sorsi
d’acqua succhiata dalle mie mani
tre volte,tenevi tra le labbra sfinite le garze
come ninive. Io pregavo
te le porgevo e pregavo
narimi,sussurravo,rimani
Negli occhi avevi”non posso”
ed io ti ho implorato :perdono
Nella notte piena mi ha inondato la vigilia della sue parole
nella camera bianca,
le sue braccia affaticate lungo le mie spalle
a dire fai presto,fai tutto quello che puoi,corri…..
Non c’è più niente da fare.
Sono uscita dalla stanza con un compito ben preciso da proteggere
Ho aperto la carta che conteneva la preghiera e a sua volta la candela
solo allora ho compreso il senso,la misura esatta del tempo e tutto il lago nel cuore
Quella candela sarebbe durata solo… il tempo degli Angeli
si era consumata tutta, meno un quarto…il tempo di raggiungerla
Il tempo dell’uccello che canta Narimi all’alba
Le cose aprono fessure segrete
i numeri tornano perchè così qualcuno ha prestabilito
sapeva da tempo mia madre della sua imminente partenza…
sapeva Lei,Zingara,tranne Noi
Un anno di Vita..Kurskaja Kosà,per prepararmi al distacco..
credo questo sia stato il suo dono,il più grande,L’Amore
le garze di mussola nel numero giusto
il solo fianco,il suo dolore
le Ninive…quante preghiere inginocchiate in un anno
gli amici del boscovecchio,le fessure i segreti la creta
di loro sempre mi chiedeva,dei Geni
infine
ventisei respiri…
ventisei volte hanno girato le viti alla vita
la sua casa di legno
avamposto sul mare
Ho chiuso gli occhi…
a venticinque ho detto piano :più uno
è arrivato
…l’ultimo foro…
il sigillo a tenere il segreto
la neve
il rosso nudo del sangue,sciolto
di ceralacca
un premio di luce
è una piccola pace quella che sento
nel tormento del lutto,l’amore
tante cose da dirLe ancora
segrete , sfinite
gli aghi dei pini cadono quando è ora….
quando è ora
Narimi,resta il dolore,contiene
tutta me stessa
regge il mio passo,nel bosco, senza fiatare
fino alla radice del foro
stringo le mani, le garze imbevute
le trasparenze degli occhi
che niente nascondono,chiari
Lasciami l’ll tuo coraggio
-le ho scritto-
La tua paura di niente che mai hai avuto,
deponi
nel cuore mio impaurito e solo
una niniva di mussola
sottile respiro di quiete,la neve
Ho messo nel pugno la corsa,durante la messa
la rondine,la traccia,il fianco,la tana
tringevo le zampe.la cerva,il mio bosco
la niniva,come a un figlio appena nato
l’ho messa ancora al seno,
gli ho dato da bere la luce
Inginocchierò gli occhi, alle 7,45
come un muezzin canterò
ogni mattina, a quell’ora
come l’usignolo…
UnaVoltaPerSempre…nell’8 sdraiato
*
Pieno di grazia
e qualche settimana.
una specie di solitudine
dove avviene il tumulto
si alza la posta
È pietas l’acuto
di percezione, tra la carne
e l’inquietudine,insaziabile
di presagi,di confidenza
coi territori dei sogni
si sgretola carsico (il natale)
così flessibile…..
come grano
-da poter essere seminato
prima dell’inverno-
una pace relativa
un sè minimale, l’essenza
di quella voce che le spighe
non riescono più a trattenere
le sue iridescenze incrinano
fino al nadir del silenzio
l’abisso di tenebra
Madre mia Invisibile
trasformeremo in latte
il gorgo di luce
Padre,tra le cose
che non ci hanno
abbandonato
Corri adesso,settanta anni fa
vento freddo della steppa
Sulle montagne gelate
tagliavi l’inverno a métà
Prodigioso sagittario
irriducibile silvana
la lupa con la criniera
L’acqua si fa blu,balena
e congela sulle labbra secche
Il canto terminale
fitto da una verità allucinata,
la mia lottatrice nuda, vera
più del vero,inzuppata di dolore
lucida di male-Sorgiva-
oltrepassi il tormento.
Con la cautela dei fiori
ponevi il vento,spingevi
mio sagittario severo
nel vuoto del tuo polmone
arreso ilcoraggio
un banco di prova
nostra morfina
la protezione raccolta
tra le tue braccia
mentre un destino Altro
ci attraversava le scelte,
le cure i viaggi,
il presente
-Appartate-
tutto è stato possibile
in un momento,
calata nel buio
Ti ho sentita entrare
in paradiso
Mi sporgo,ora,
dove ti muovi
la sera,in segreto
dove ti espandi
sotto i miei occhi
di latte e biscotti
preparando il tuo compleanno,
il primo.Di sempre.
Ti proteggo raccolta.
Tra le mie braccia
ho una bambina
di appena tre chili
brilla, a gambe incrociate
nella sua culla
d’Avorio,nido di cenere
e gioia splendente
di un altro mondo
Si accende.Si accende
Soffia! Soffia ancora!
Sará il suo compleanno il 14 dicembre
Chi è Amina Narimi?
Amina Narimi, anagramma che nasce dopo che il corpo di mia madre si è reso invisibile: Anima Rimani.
Nella rete e nella vita Claudia Sogno è il mio nome, nata a Bologna il 23 gennaio 1963,segno d’aria,da mamma metá sarda di Nuoro e metà spagnola di Granada,papà bolognese .
Criminologa dal 1988.Viaggia spesso per lavoro, fingendosi zingara,condizione non troppo distante dal suo vero essere nomade.
Ama i cavalli tanto da non separarsene e seguirla per il mondo sul suo van,come una circense.