LA PRIMA NEVE (Italia 2013)
Ok, lo ammetto: sono andato a vedere La prima neve per ragioni più musicali che cinematografiche, essendo io un grande fan della Piccola Bottega Baltazar, band veneta (senza la quale, tra l’altro – o meglio, senza un membro della quale – il vostro blog di cinema preferito non esisterebbe) che di questo film ha firmato lo score. Ammetto anche di non aver (ancora) visto Io sono Li, precedente pellicola di Andrea Segre di cui, però, mi è stato detto un gran bene.
La vicenda si svolge in Trentino, nella Valle dei Mocheni (che splendore), dove alcuni profughi libici sono stati mandati a vivere e lavorare in attesa di sapere che cosa ne sarà del loro destino. Tra essi c’è il giovane Dani, vedovo e padre infelice di una bambina di un anno, cui parecchio si affezionano l’undicenne Michele, orfano di padre, e suo nonno Pietro, anziano boscaiolo silenzioso ma ricco di umanità, nella cui figura quasi simbolica sembrano sopravvivere tutte le arcaiche tradizioni della valle, nonché il suo peculiare dialetto.
Procede per dualismi contrapposti, La prima neve (famiglia senza padre/famiglia senza madre, caldo/freddo, bianco/nero, giovane/vecchio…), senza mai – ed è questo il suo pregio più grande, insieme alla meravigliosa fotografia di Luca Bigazzi – sbrodolare nel luogo comune: nessun banale discorso sul razzismo, nessun flashback sulla guerra in Libia o sul viaggio in mare di Dani verso l’Italia, nessuna scena inutilmente strappalacrime… Il film, con leggerezza, ma senza fuggire dall’innegabile drammaticità delle storie narrate, punta dritto all’obiettivo, che sono i sentimenti umani, in tutte le loro infinite sfumature. C’è da dire, d’altra parte, che ogni tanto la vicenda dà l’impressione di girare un po’ a vuoto, e che non mancano alcune piccole cadute di stile (come la scena del sogno di Michele, davvero superflua), ma in generale La prima neve è un’opera riuscita, che fa della sincerità, della semplicità il suo punto di forza. Da non sottovalutare, poi, la prova del cast (Anita Caprioli, Giuseppe Battiston e altri volti meno noti), davvero ottima e sotto le righe – cosa assai rara per il cinema italiano, specialmente quando ci sono di mezzo dei bambini.
Ah, certo, e le musiche? Bellissime, ovviamente, discrete, eleganti e fuori dal tempo come le immagini che accompagnano.
Alberto Gallo