Dalla memoria di Gianfranco Flammini, che ringrazio e volentieri ospito nel blog, ecco una bella pagina scritta sulla via dei ricordi tra due paesi dell'Italia rurale. Sensazioni, volti, paesaggi ed economia di una Valnerina di metà Novecento.
La prima via dei ricordi
"Da Mucciafora, piccolissima frazione del comune di Poggiodomo posta a quota 1100 m, un tempo si scendeva solo attraverso sentieri, mulattiere e tratturi fino a Vallo di Nera, comune limitrofo a 350 m sul livello del mare. In 8 km si passa dall’alta montagna alla pianura, sulla valle del Nera.
Fino agli anni 1958/60 non esisteva alternativa all’andare a piedi o nell’essere accompagnati, come mezzo di trasporto, da muli o asini; successivamente venne realizzata una specie di strada carrozzabile, interrata, presente ancora oggi pur risultando sulla cartina provinciale.
Inerpicarsi sulle scoscese coste verso Mucciafora ha ancora oggi il sapore di un’avventura, anche se una volta raggiunto l’altopiano dell’Immagine si possono scoprire ampi panorami mozzafiato.
Vallo di Nera, in un contesto agro-silvo-pastorale, rappresentava tappa obbligata per la transumanza autunnale, che vedeva il passaggio di numerosi greggi verso le terre calde della Maremma romana, capaci di fornire abbondante e fresca erba nel periodo invernale, ed anche punto di riferimento o stazione sulla via del ritorno, a maggio, per l’alpeggio. Da qui il motivo di un profondo legame di conoscenze, di amicizie e di parentele, che si instauravano tra i due paesi. A Vallo si sostava anche per più di qualche giorno in attesa dell’arrivo sulla statale Valnerina degli autotreni con gabbie per caricare il bestiame di piccolo e medio taglio.
La transumanza rappresentava un vero viaggio, duro, maschio, da Nord a Sud e viceversa. Non era vacanza invernale, tutt’altro! Significava un dover lasciare tutto, anche un’abitazione stabile, in muratura, per avventurarsi in sperdute campagne, spesso con capanne in frasche per protezione e abitazione. Non esistevano turni di riposo e neppure orari prestabiliti di lavoro. L’attività della pastorizia richiedeva un impegno a tutto campo e senza risparmi di energie.
Non si spostavano solo gli armenti, ma tutto il nucleo familiare con moglie e figli…un vero trasloco di cose essenziali per vivere, di bestie, compresi gatto e galline, e di persone. Si partiva nottetempo, quando era ancora buio, che veniva rischiarato da lumi a petrolio dall’incerta e flebile fiammella. Ancora oggi avverto il caratteristico odore, per me profumo, del petrolio bruciato.
Il mio primissimo ricordo è legato proprio ad uno di questi viaggi e si perde nel tempo, sicuramente a quando avevo 4 o 5 anni.
Di quella prima uscita verso l’esterno, verso il mondo, ricordo anche i particolari: l’aria settembrina, già frizzante, la notte stellata con uno spicchio di luna lucentissima attaccato in cielo, il canto monotono e ripetitivo dei grilli e quello lugubre delle civette, lo sballottamento dell’asino ed io, incastrato tra le vettovaglie, mezzo insonnolito che mi reggevo al basto, il parlottare dei familiari, lo stridere dei passi sul selciato. Si fece l’alba proprio a Vallo, dove si fece sosta dai parenti, soprattutto dall’ospitale Ernesta. Lì incontrammo anche una certa Giuliana, carina, allegra, che per farmi superare la naturale timidezza, mi abbracciò, sollevandomi in alto, mentre mi diceva: “Quanto sei bello! Quando sarai grande ti sposo…”
Da Vallo alla statale Valnerina ci sono ancora tre chilometri di discesa e nell’ultimo tratto occorreva superare il fiume Nera, così ricco di acqua pulitissima. Quando giungemmo al posto convenuto, di fronte alle scuole, vedendo per la prima volta un enorme ‘bestione’ di camion con gabbie altissime fui preso da spavento. A questo stato d’animo impaurito si aggiungevano le grida, accompagnate da qualche bestemmia, dei pastori per far salire le recalcitranti bestiole nei recinti di ferro, e l’abbaiare dei cani. Per evitarmi questo spettacolo da grandi, mi misero insieme a mio fratello più grande nella cabina dell’autotreno, nella cuccetta degli autisti, e lì mi abbandonai in un pianto irrefrenabile.
Dopo più di tre ore di grande fatica il ‘bestione’ fu messo in moto e si mise in moto anche una mia ulteriore agitazione. La cabina si animò di presenze umane e tutti fecero del loro meglio per consolarmi. In parte ci riuscirono fino a che non si giunse alle porte di Terni, dove alla veduta degli alti camini dello stabilimento del carburo per le acetilene, che emettevano pennacchi di fumo e fuoco, fui colto un’altra volta da crisi di pianto, consolato dall’amorevole cura della mamma. Gridavo che volevo tornare a casa, ma ormai era impossibile, perché la carovana non poteva più tornare indietro. Ci attendevano le campagne romane, fatte di sterminati prati, di greggi, di fumo, ma soprattutto di tanta povertà. Ma di questo non ricordo più nulla. Forse l’eccessiva povertà di mezzi mi aveva talmente ferito l’animo da oscurarne la memoria.
Dopo il mio ritorno al paese nella primavera successiva, subito dopo, a causa della mia salute cagionevole, dovetti, insieme ai miei genitori, ridiscendere a Vallo di Nera a bordo di un asino, questa volta con la bardella, per una visita medica a Spoleto. Solito incontro rituale con i parenti, poi svelti verso la stazioncina di Piedipaterno. Ogni tre ore passava un caratteristico trenino a scartamento ridotto che da Norcia portava a Spoleto e viceversa. Naturalmente eravamo in anticipo. Mio padre legò l’asino ad una pianta, facemmo il biglietto e attendemmo l’arrivo del treno. Sì udì uno sferragliamento di freni e di ruote, un fischio, e apparve ai miei occhi un oggetto mai conosciuto. Mi emozionai, ma non piansi. Il vecchio bigliettaio alzò la paletta, fischiò e il mezzo iniziò a muoversi con molta calma. Cosa che fece anche nel proseguimento del viaggio. Incollai il naso al finestrino e muto mi gustai il percorso ricco di panorami attraverso gallerie, ponti, tornanti. Mi soprese sentire che ad un certo punto eravamo in zona Caprarecce. Il che mi fece pensare che si trattava di una località aspra e accidentata, abitabile solo dalle capre, che non conoscono pericoli.
Dopo circa un’ora si giunse a Spoleto, che mi parve enormemente grande con tanta gente che andava e veniva, tutti ben vestiti, con macchine di lusso da cui dovevamo difenderci, con palazzi maestosi mai visti.
Mi fu diagnosticata un’asma bronchiale. Dovevo fare ‘bagni di sole’…non essendoci alcuna possibilità di andare al mare, mi rimaneva la spiaggia dell’orticello di Mucciafora, dove prendere mezz’ora di sole al giorno.