La “Primavera Araba” un anno dopo, secondo numero di Geopolitica rivista dell’IsAG, è stato presentato ieri 19 ottobre 2012 a Roma, presso il Museo di Roma in Trastevere, grazie all’organizzazione di Me.Dia (Mediterraneo in Dialogo) e di IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e alla collaborazione di Roma Capitale e del Museo. Presenti circa cinquante persone, che hanno riempito la sala conferenze del Museo: tra loro diplomatici, studiosi e comuni cittadini.
L’apertura dei lavori è stata effettuata da Gabriele Tecchiato (segretario generale di Me.Dia, Mediterraneo in Dialogo) e da Daniele Scalea (condirettore di Geopolitica e segretario scientifico dell’IsAG); quest’ultimo ha portato i saluti di Tiberio Graziani, direttore di Geopolitica e presidente dell’IsAG, che non ha potuto essere presente perché impegnato a Jalta in una conferenza internazionale.
Serena Forni, dell’Ufficio relazioni internazionali di Roma Capitale, ha portato i saluti del Sindaco, esprimendo il sostegno del Comune ad eventi culturali come questo, che cercano di gettare una nuova luce su fenomeni ancora indecifrati quali la “Primavera araba”. Secondo la dottoressa Forni, le rivolte arabe sono un processo di maturazione interno al mondo musulmano, ed in questo momento le due sponde del Mediterraneo si sono allontanate a causa d’un concomitante momento di chiusura reciproca.
Matteo Marconi, docente di Geografia politica all’Università La Sapienza di Roma, ha apprezzato la capacità di Geopolitica di offrire il punto di vista di studiosi da tutto il mondo, anche da quelle aree solitamente ignorate da altre riviste più concentrate su quella atlantica. All’interno del numero in oggetto ha menzionato in particolare due articoli, che in qualche modo presentano tesi opposte ma sono parimenti meritevoli. Si tratta de Il discorso di Obama al Cairo, sparo d’apertura della Primavera Araba di Mahdi Darius Nazemroaya e di Siria: una nuova polveriera nel “Grande Medio Oriente” di Vagif Gusejnov. Se il primo, citando una gran mole di dati ed eventi, sostiene persuasivamente la tesi della manipolazione statunitense delle rivolte, il secondo pare leggere nelle stesse una ribellione contro l’occidentalismo.
A cadere – ha notato il professor Marconi – non sono le monarchie dal carattere più tradizionale, bensì i regimi maggiormente simili a quelli occidentali. Le rivolte arabe appaiono dunque come un tentativo da parte dei popoli arabi di trovare una propria via alla modernità diversa dal nazionalismo panarabo d’ascendenza occidentale. È un pregiudizio orientalista quello secondo cui l’Altro o è simile a noi, o desidera diventarlo. Per questo si parla di “primavera” quando gli eventi sembrano tendere al nostro modello, e di “autunno”, “inverno” o “rivoluzione tradita” quando vi si discostano.
Le più autorevoli riviste statunitensi – ha ricordato ancora il professor Marconi – nell’ultimo biennio sono state piene d’articoli in cui il Medio Oriente è invariabilmente descritto come un “laboratorio” il cui inesorabile destino è giungere al liberalismo e alla democrazia. Sembra d’assistere a un ritorno all’istituzionalismo: di fronte a una realtà non confacente a ciò che si vorrebbe, la risposta è costruire a tavolino le istituzioni (come i partiti politici) d’una società immaginaria. Alla luce di ciò, si può davvero credere – si chiede il docente della Sapienza – che gli USA siano pieni di Machiavelli in grado di prevedere e manipolare tutto ciò che avviene nel mondo? Il panorama odierno che sta uscendo dalle rivolte arabe appare invero diverso dagli interessi statunitensi. Un ruolo più decisivo, ed incisivo, sembra semmai quello svolto da Qatar e Arabia Saudita.
Per l’IsAG è quindi intervenuta Paola Saliola, ricercatrice associata dell’Istituto e redattrice di Geopolitica. Anche la dottoressa Saliola si è focalizzata sull’interpretazione delle rivolte in funzione delle loro cause, ricordando come la realtà sia sempre complessa. Le interpretazioni che guardano ad un solo ordine di fattori osservano solo un lato d’un fenomeno multi-sfaccettato. È il caso delle due visioni, estreme ed opposte ma parimenti riduzioniste, secondo cui le rivolte sarebbero un fenomeno unicamente indigeno o unicamente manipolato dall’esterno.
L’interpretazione endogena è stata a lungo egemone nella stampa occidentale, accoppiandosi il più delle volte con una visione ottimistica delle rivolte – da cui lo stesso termine “Primavera” – quali tese alla libertà e alla democrazia. D’altro canto, ambienti antimperialisti hanno formato l’opinione che dietro le rivolte non vi sia altro che la mano invisibile degli USA. Secondo la dottoressa Saliola è invece necessario prendere in considerazione entrambi gli ordini di fattori. Vi sono cause interne – la perdita di legittimità ideologica e morale dei vecchi regimi “laici”, la povertà dilagante, l’ascesa dell’Islam Politico ecc. – e cause esterne – le ingerenze di altre paesi – che hanno concorso alle rivolte arabe.
È stato quindi il turno, a intervenire, di due giornaliste esperte di mondo arabo che hanno portato le loro testimonianze di prima mano. Emanuela Irace, di ritorno da Tunisia e Libano, si è concentrata particolarmente sul paese nordafricano, dove a suo dire il governo e il parlamento capeggiati da an-Nahdah non hanno mantenuto le promesse, mancando l’impegno di realizzare una nuova costituzione entro il termine promesso. V’è ora timore per il futuro della democrazia ed anche per la condizione femminile, in un paese che tradizionalmente è stato, tra quelli arabi, il più avanzato nell’emancipazione delle donne.
Azzurra Meringolo ha invece parlato di Egitto, paese che ha più volte visitato per la sua attività di ricerca, e in cui si trovava durante i fatidici giorni dello scorso anno – immortalati nel suo libro I ragazzi di Piazza Tahrir. La dottoressa Meringolo ha ricordato il suo primo viaggio, nel 2010, e l’impatto con quella che allora era Piazza Tahrir: là vi si trovavano il palazzo della burocrazia, la sede della Lega Araba, l’Università Americana del Cairo e la sede del Partito Nazionale Democratico di Mubarak. Non si notava un esplicito malcontento – cosa sorprendente vista la disastrosa situazione socio-economica; era entrando in confidenza con le persone che lo si poteva scoprire. V’era infatti una diffusa e profonda paura di esprimersi in pubblico per paura della repressione. Internet, secondo la dottoressa Meringolo, ha dunque avuto un ruolo: quello di fornire l’ambiente in cui i giovani hanno potuto parlarsi liberamente e prendere coscienza delle dimensioni della dissidenza.
Diversi nodi rimangono ancora da sciogliere, secondo Azzurra Meringolo. I giovani, ostili alla leadership personale per la loro esperienza di vita, non sono riusciti a trovare un capo che li unisse dopo il rovesciamento del regime. Le donne sono state relegate in fondo alle liste nelle ultime elezioni, ma sono organizzate e desiderose di parità. La Costituzione è ancora incerta così come la divisione dei poteri. Forte attenzione ha suscitato poi la sorte degli Accordi di Camp David: l’Egitto non ha certo la forza per una guerra contro Israele, ma quel trattato include anche accordi economici che hanno creato situazioni paradossali. L’Egitto svende infatti il proprio gas a Israele, e una parte della nazione egiziana (il Sinai) si trova costretto a riacquistare il gas indigeno da Israele a prezzo assai maggiorato. Infine, v’è la questione della sfida tra Islam moderato e salafiti. Durante il regime di Mubarak la televisione era interdetta ai Fratelli Musulmani, mentre i salafiti (sostenuti anche da paesi terzi) hanno avuto accesso a taluni canali privati. Ciò ha permesso loro d’acquisire una rapida notorietà e un gran numero di seguaci nel paese, come dimostrato dal risultato nelle recenti elezioni.
Azzurra Meringolo, nel ringraziare gli organizzatori dell’evento, ha avanzato pure un’altra osservazioneinteressante: ossia che, malgrado gli Esteri siano un argomento sottovalutato dalla stampa generalista, l’interesse tra la popolazione è ampio, come dimostra la folta presenza di pubblico alla conferenza.
Marco Cochi, direttore dell’Ufficio Cooperazione di Roma Capitale, intervendo per ultimo ha lodato Geopolitica per la sua qualità, che può a maggior ragione apprezzare essendo stato per anni il vice-direttore di un’altra rivista di geopolitica. Entrando invece nel merito dell’argomento in esame, il dottor Cochi ha visto all’origine delle “Primavere” arabe una duplice ricerca: della libertà e dello sviluppo economico. Se la libertà è stata conquistata, si è finora mancato il secondo obiettivo, poiché la povertà ancora attanaglia quei paesi.