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La prognosi è carente

Creato il 04 agosto 2012 da Stukhtra

Ché a far la diagnosi, ormai…

di Marco Cagnotti

La prognosi è carente
Secondo Piero Angela, la politica serve ad aiutare la società a produrre ricchezza, piuttosto che a distribuirla. Solo che in Italia lo fa poco e male per colpa delle ben note, italiche magagne: corruzione, nepotismo, rifiuto della meritocrazia, delle punizioni, della responsabilità… Grazie, lo sapevamo già. I numeri e i grafici proposti per documentare ogni affermazione sono convincenti. I micro e i macroesempi fanno pensare. Gli aneddoti vivacizzano il testo, che scorre via che è una bellezza. Però arrivi alla fine di questo saggio e ti chiedi: “Embe’?”.

Gran parte dell’argomentare di Angela ruota intorno al concetto di “ecosistema”. C’è quello naturale, della cui protezione tutti si preoccupano, e c’è quello artificiale, anzi culturale, che invece è snobbato ma che dovrebbe diventare una priorità per la politica. Ora, già si potrebbe disquisire a lungo sulla distinzione fra “natura” e “cultura”. Come se gli esseri umani non fossero “naturali”. Ma lasciamo perdere. Resta però una fondamentale differenza fra i due ecosistemi: mentre quello naturale se ne va per i fatti suoi se lasciato a sé stesso, nell’ecosistema culturale gioca un ruolo centrale l’azione umana (ma dai?), determinata dalla libertà individuale (ché di libertà collettiva non ha senso parlare). Perciò hai un bel dire che bisognerebbe occuparsi di proteggere e far prosperare l’ecosistema culturale: anzitutto devi lavorare sui singoli. E i singoli sono proprio i singoli, cioè io, tu, Piero Angela, il barbiere di Piero Angela, lo zio del cugino del professore di italiano del figlio di Piero Angela. E tutti costoro, ciascuno per conto proprio, fanno politica. Sempre e costantemente. Quando votano, ovviamente. Ma anche quando fanno la spesa all’Esselunga piuttosto che alla Conad o guardano “Superquark” piuttosto che la partita di calcio. La politica, intesa come azione di una casta eletta su un ampio corpo sociale elettore, viene dopo. E non è calata dall’alto, ma è espressione della somma dei singoli individui.

Prendiamo il caso del merito, sul quale Piero Angela ci fa (giustamente) una capa tanta. Va bene: ci vuole la meritocrazia e bisogna combattere il nepotismo, è necessario distribuire premi al talento e all’impegno e non all’appartenenza di partito o familiare. Ma come si fa? Voglio dire: come si fa esattamente? Come si valuta il merito? Chi lo valuta? Il confronto con lo sport, proposto da Angela, non regge: lì il merito è palese, perché vince il più cazzuto e gli altri restano indietro. Darwinismo sociale allo stato puro. Ma nella società come fai? Nella scienza, per dire, come ti regoli? A un certo punto Angela ricorda il caso di Enrico Fermi, che in via Panisperna si era selezionato un’élite di collaboratori pescandoli uno per uno in base al merito. Wow! Fermi era Fermi, però. D’altronde anche oggi i baroni universitari si scelgono uno per uno i collaboratori… ufficialmente in base al merito. Certo, che fra i collaboratori del barone ci siano suo figlio, la sua amante e l’amico di suo cugino non è un fatto rassicurante, ma resta il fatto che oggi il “metodo Fermi” verrebbe considerato una palese forma di nepotismo. Nello stesso caso, oggi tutti sospetteremmo che fra Fermi e Majorana ci sia qualche losco intrallazzo. S’è fatto un concorso ufficiale, per titoli ed esami? E poi… anche Fermi… chi è costui? Chi l’ha messo lì? Perché? Ci sarà mica qualche inciucio con Corbino? Hai visto mai? Allora chi stabilisce il merito di Fermi? E se Fermi si scegliesse come assistente il figlio? Chi dice che il figlio di Fermi non potrebbe essere un genio quanto il padre? Non vorremo mica penalizzare un giovane promettente solo perché il padre è già un famoso scienziato, vero? Cos’è, una discriminazione al contrario? Insomma, come si misura il merito scientifico? Con l’impact factor? E nel caso di un giovane ricercatore di genio ma troppo giovane per aver pubblicato? Di fatto, in molti dei Paesi più civili la carriera scientifica avviene per cooptazione fra maestro e discepolo. Solo che, dove c’è la civiltà, così si premia il merito. Invece in Italia, sapendo che così si premierebbe solo l’appartenenza di famiglia o di partito, si organizzano concorsi-pagliacciata che permettono una cooptazione truccata. Perché il baco non sta nel sistema, ma nelle teste. E quindi torniamo sempre lì.

C’è poi la questione delle cause, sulle quali Piero Angela sorvola. Perché si fa presto a dire che la politica dovrebbe fare quello e provvedere a quell’altro, ma forse vale la pena chiedersi anche quali meccanismi hanno portato alla situazione attuale. Alla fine del libro si trovano grafici e tabelle che permettono una comparazione fra Stati Uniti, Germania, Finlandia, Svezia, Giappone, Italia e altri Paesi per quanto riguarda l’alfabetizzazione, la ricchezza, i brevetti, gli investimenti nella ricerca. Senza alcuna sorpresa, si scopre che alcuni Paesi stanno meglio di altri, ed è facile intuire (senza nemmeno vedere quei grafici) quali sono. Ma perché? La risposta di Piero Angela è: lì si premia il merito, lì si punisce il reato, lì si rispettano le regole. Ma perché lì sì e altrove no? Così scopriamo che, per esempio, gli Stati Uniti alla fine della Seconda Guerra Mondiale si sono trovati con un apparato industriale intatto e per di più culturalmente fecondati dall’immigrazione degli Ebrei europei che erano fuggiti dalle persecuzioni nazifasciste. Si dirà: “Sì, però alla fine della guerra la Germania era in ginocchio e nel giro di 30 anni è ridiventata una potenza formidabile. Idem il Giappone”. Già, ma sostenuti con enormi mezzi dagli Stati Uniti. E ancora: se i Paesi più ricchi e moderni e colti e civili sono quelli dell’Europa del Nord e quelli più poveri e arretrati e ignoranti e incivili sono quelli dell’Europa del Sud, vorrà mica dire qualcosa (anche senza scomodare Max Weber) il fatto che hanno una tradizione religiosa derivante per i primi dalla Riforma e per i secondi dal Cattolicesimo controriformista? E che questa tradizione nei secoli ha prodotto un “tipo antropologico predominante” più o meno sensibile al rispetto per la cosa pubblica, per le regole, per il merito, per le punizioni? Questo solo per quanto riguarda la storia, ché altre riflessioni meriterebbero pure molte altre condizioni al contorno: la ricchezza di materie prime, la conformazione geografica, il clima.

Questo saggio è molto chiaro e convincente nella diagnosi della malattia, ma è carente nella ricerca delle cause (che peraltro sono importanti, se si vuole guarire) e soprattutto nella prognosi. Perché si fa presto a dire “La politica dovrebbe…”. Ma la politica non è un corpo estraneo. Non è un’invasione di alieni. Non è una casta ereditaria e inamovibile. La politica è l’espressione di quel che c’è nelle teste dei singoli cittadini italiani. E no, le teste non si cambiano né con la scuola né con le campagne di sensibilizzazione televisiva, come suggerisce Piero Angela. Tutte iniziative lodevoli che però richiedono politici che le implementino. Ma quei politici sono nepotisti e corrotti perché votati da una maggioranza di cittadini nepotisti e corrotti, cioè proprio da coloro che quelle iniziative dovrebbero civilizzare. Ma chi glielo fa fare?

D’altronde lo stesso Piero Angela lo ammette: “Perché un paese è quello che sono i suoi cittadini”. Sicché il circolo è vizioso e non se ne viene fuori.

P. Angela, A cosa serve la politica, Mondadori

Piace: la scorrevolezza e la chiarezza del testo, la documentazione proposta a sostegno della tesi.

Non piace: che la fa troppo facile.

Voto: 6/10


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