In un’epoca di riduzione dell’occupazione ed allarmante incremento della disoccupazione il concetto di qualità del lavoro (QdL) può apparire superfluo. Eppure, la riflessione teorica su questo tema prende forma negli anni ’70 e ’80 fondandosi sul principio di “adeguamento del lavoro all’uomo e non viceversa”.[1]
Un tempo si dibatteva di QdL senza perplessità. Secondo i sociologi, da Gallino a Sennett, il lavoro rappresenta un aspetto cruciale per lo sviluppo individuale e sociale, ma è altresì un elemento centrale per il progresso economico della collettività.
Operativizzare il concetto di QdL ai fini del rilevamento statistico è un compito assai arduo data la multidimensionalità del concetto stesso, l’assenza di rapporti gerarchici tra le dimensioni che lo costituiscono e la possibilità di integrare e ampliare le dimensioni scelte. In tal senso pervenire ad un indicatore sintetico di qualità del lavoro è fuorviante.
La III indagine ISFOL (2012) parte dalla concettualizzazione di Gallino e La Rosa e considera quattro dimensioni della QdL.[2] La prima dimensione, ergonomica, fa riferimento ai bisogni dell’individuo sul posto di lavoro. La seconda, la dimensione della complessità, corrisponde alle esigenze di creatività, sviluppo di competenze e problem-solving della persona. La dimensione dell’autonomia riguarda invece la possibilità di avere una certa libertà decisionale; e la dimensione del controllo si riferisce al bisogno di controllare le condizioni generali del proprio lavoro.
Un ruolo centrale svolge tuttavia la cosiddetta dimensione economica della QdL, ovvero la retribuzione percepita dal lavoratore, associata alla possibilità di soddisfare i bisogni basilari ed essenziali per la sopravvivenza.[3] Secondo un approccio economico standard, il reddito da lavoro dovrebbe essere determinato dal livello di capitale umano dell’individuo.[4]
Il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da scarsità di alti livelli di istruzione,[5] e allo stesso tempo offre pochi posti di lavoro qualificati. Sembra che l’investimento in istruzione abbia un impatto più rilevante per gli individui collocati sulla parte alta della distribuzione dei redditi ed in generale esso risulta decrescente con l’aumentare degli anni di studio,[6] a parità di tipologia contrattuale, anzianità, sicurezza sul lavoro, ecc.
In tal senso il mercato del lavoro italiano sembra connotato da inefficienze nell’allocazione del capitale umano e dal malfunzionamento della domanda di lavoro (espressa dalle imprese). Vale a dire, nonostante il numero di laureati sia inferiore rispetto alla media europea, l’offerta di posti di lavoro qualificati è ancora minore.Pertanto, l’eterna discussione sul numero esiguo di laureati in Italia potrebbe non aver senso, se per questi ultimi c’è scarsa domanda.
Sebbene la dimensione economica non sia l’unica a determinare la QdL, essa ha un ruolo importante. A partire da questi primi risultati dell’indagine ISFOL, il cui rapporto finale è in fase di pubblicazione, il lavoro in Italia, per chi ce l’ha, sembra non essere così di qualità come vorrebbero gli occupati giovani. Nel 2010 il 60,3% degli occupati fra i 15 e i 29 anni trovava un certa “corrispondenza del lavoro con le proprie aspirazioni”, rispetto al 73,3% degli occupati sopra i 55 anni[7].
Analizzare la qualità del lavoro è un compito arduo, perché la sua percezione è fortemente soggettiva. Questa difficoltà si accentua in tempo di crisi, dato il sentimento di profonda insicurezza lavorativa, che caratterizza in particolare i giovani. Ciò porta l’individuo a considerare a volte di qualità ciò che oggettivamente di qualità non è più.
[1]Tagliavia C. (2012) “L’approccio italiano: dalla concettualizzazione alla misurazione”, Convegno ISFOL, 14 dicembre 2012, in La qualità del lavoro. Evidenze nazionali e sovranazionali, http://isfoloa.isfol.it/bitstream/123456789/428/3/ISFOL_Raccolta%20abstract%20interventi_Convegno_Qualita%20del%20Lavoro.pdf
[2] La III indagine sulla QDL fa parte del Piano Statistico Nazionale ed è stata realizzata dall’ISFOL insieme col Ministero del Lavoro.
[3] Cutillo A. (2012), “Istruzione, formazione e qualità del lavoro”, Convegno ISFOL, 14 dicembre 2012, cit.
[4] Nella determinazione del reddito come variabile dipendente (Mincerian wage equation), il livello di istruzione, approssimato dal numero di anni di scolarizzazione dell’individuo, ha un coefficiente positivo importante.
[5] Nel 2010 il 14,8% dei 25-64enni era in possesso di un titolo di studio post-secondario, contro una media europea del 25,9% (Rapporto Isfol2012. Le competenze per l’occupazione e la crescita, ISFOL, Roma, 2012).
[6]Naticchioni P., Ricci A., Rustichelli E. (2010), “Far away from a skill-biased change: falling educational wage premia in Italy,” Applied Economics, vol. 42 (26), pp. 3383-3400.
[7]Bergamante F. (2012), “La soddisfazione per il lavoro, le aspettative e le motivazioni degli occupati italiani”, Convegno ISFOL, 14 dicembre 2012, cit.