Vi riporto uno spunto di riflessione che mi è arrivato sotto mano leggendo una rivista.La questione dell’immagine Italia non è questione marginale. L’identità della nazione è conseguenza della sommatoria plasmata dei sette Stati precedenti. La cultura italiana attuale è tuttora in formazione proprio perché la koinè di questa identità è tuttora in formazione. L’immagine interna è innegabilmente confusa, basta per questo guardare i risultati elettorali peninsulari e paragonarli con quelli tedeschi recenti, dove l’unificazione dopo oltre un ventennio ha generato il plebiscito Merkel al terzo mandato della Cancelleria. Mi si chiederà con quale arroganza mi permetto queste considerazioni in un blog che dovrebbe occuparsi solo del mondo aulico delle arti. La risposta è chiara: non esiste alcun mondo aulico delle arti. L’arte, le arti e gli artefatti sono la conseguenza dialettica della società nella quale si sviluppano. Questo è quanto per ciò che concerne l’identità interna d’ogni corpo sociale. Quando gli americani parlano di “corporate identity” non intendono solo questo dato singolo, pensano pure a come questa identità viene percepita all’esterno. E qui cascano gli asini, anche quelli che solitamente volano. L’Italia si sta per presentare al mondo con l’Expo milanese del 2015 e ha inteso, gesto correttissimo, darsi una immagine internazionale nuova. Ci fu una volta quella antica dell’SPQR, poi quella cristiana del «In Hoc Signo Vinces» sognato dalla mamma Elena dell’imperatore Costantino, poi ancora quello del Rinascimento, quella garibaldina del Risorgimento e quello della Forza del destino di Verdi. Sempre seguivano lo spirito della scritta della basilica del Laterano, sede del papato d’allora: «Urbis et Orbis», della città e del mondo. L’immagine attuale è mutata: è quella d’un pupazzo dello scenografo Dante Ferretti. L’Italia rimane comunque, in un immaginario internazionale grottesco, il paese di spaghetti e mandolino. In realtà la sua competitività internazionale è ben altra ed è oggi più che mai quella delle quattro F: “food, fashion, forniture, Ferrari”; quattro aree tutte legate alla formidabile tradizione di creatività artistica che la Biennale di Venezia continua a negare e che il Bagonghi di Ferretti trasforma in grottesco. Forse è arrivata l'ora di presentarsi agli altri paesi in maniera nuova. È venuta l’ora della ribellione degli educati, degli intellettuali, degli artisti. Mi piacerebbe sapere voi cosa scegliereste oggi per rappresentare l'Italia nel mondo. Buon lavoro.
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Vi riporto uno spunto di riflessione che mi è arrivato sotto mano leggendo una rivista.La questione dell’immagine Italia non è questione marginale. L’identità della nazione è conseguenza della sommatoria plasmata dei sette Stati precedenti. La cultura italiana attuale è tuttora in formazione proprio perché la koinè di questa identità è tuttora in formazione. L’immagine interna è innegabilmente confusa, basta per questo guardare i risultati elettorali peninsulari e paragonarli con quelli tedeschi recenti, dove l’unificazione dopo oltre un ventennio ha generato il plebiscito Merkel al terzo mandato della Cancelleria. Mi si chiederà con quale arroganza mi permetto queste considerazioni in un blog che dovrebbe occuparsi solo del mondo aulico delle arti. La risposta è chiara: non esiste alcun mondo aulico delle arti. L’arte, le arti e gli artefatti sono la conseguenza dialettica della società nella quale si sviluppano. Questo è quanto per ciò che concerne l’identità interna d’ogni corpo sociale. Quando gli americani parlano di “corporate identity” non intendono solo questo dato singolo, pensano pure a come questa identità viene percepita all’esterno. E qui cascano gli asini, anche quelli che solitamente volano. L’Italia si sta per presentare al mondo con l’Expo milanese del 2015 e ha inteso, gesto correttissimo, darsi una immagine internazionale nuova. Ci fu una volta quella antica dell’SPQR, poi quella cristiana del «In Hoc Signo Vinces» sognato dalla mamma Elena dell’imperatore Costantino, poi ancora quello del Rinascimento, quella garibaldina del Risorgimento e quello della Forza del destino di Verdi. Sempre seguivano lo spirito della scritta della basilica del Laterano, sede del papato d’allora: «Urbis et Orbis», della città e del mondo. L’immagine attuale è mutata: è quella d’un pupazzo dello scenografo Dante Ferretti. L’Italia rimane comunque, in un immaginario internazionale grottesco, il paese di spaghetti e mandolino. In realtà la sua competitività internazionale è ben altra ed è oggi più che mai quella delle quattro F: “food, fashion, forniture, Ferrari”; quattro aree tutte legate alla formidabile tradizione di creatività artistica che la Biennale di Venezia continua a negare e che il Bagonghi di Ferretti trasforma in grottesco. Forse è arrivata l'ora di presentarsi agli altri paesi in maniera nuova. È venuta l’ora della ribellione degli educati, degli intellettuali, degli artisti. Mi piacerebbe sapere voi cosa scegliereste oggi per rappresentare l'Italia nel mondo. Buon lavoro.
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