Nella mia camera al piano terra cominciava a entrare acqua dalla porta finestra. Il grigio del cielo faceva quasi perdere la cognizione del tempo: se fosse l'alba, mattina, ora di pranzo, pomeriggio, era indifferente, scheißegal, sempre lo stesso identico grigio, che avremmo avuto addirittura bisogno di un libro come il suo.
Stamattina mi sveglio invece con un sole da favola, capace di filtrare le spesse tende della mia stanza e addirittura svegliarmi. Esco dalla stanza con il naso per aria, come a cercare di capire lo strano spettacolo che qualcuno lassù sta intrattenendo per noi. Gli aerei tornano a squarciare il cielo con regolarità, e come al solito se ne possono vedere, se si guarda bene, almeno tre contemporaneamente: di sicuro sono attratti in qualche modo dall'orbita Hub di Francoforte, ancora l'aereoporto più grande dellla Germania, in attesa che quello nuovo di Berlino gli rubi il posto in classifica.
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Torno a guardare in basso e, oltre a considerare che stavo per falciare una tedesca andandole addosso e scusarmi, penso che forse sarei addirittura dovuto uscire con gli occhiali da sole: ogni angolo è coperto dalla neve, candidamente bianco, e fedelmente riflette tutta la luce dall'alto, per poi "gentilmente" catapultarla diretta nei nostri occhi, a tanto lume tedesco non abituati se non dai tempi di Wolff, Lessing e Baumgarten. Abbozzo il pensiero che anche io ormai, per meravigliarmi di certe persone, dovrei forse "seppellirle" sotto la neve, perché solo così riuscirei dopo a guardarle sotto una "luce diversa" e stupirmene come da tempo non succede!Forse domani sarà tutto già sciolto, magari non completamente, ma in qualche modo contaminato, infestato. E penso che mi piacerebbe restarmene così, al sole e in mezzo alla neve, in bilico tra il caldo che vedo e il freddo che sento, fra una stagione che finisce e una che incomincia, tra un Erasmus che alla fine volge al termine e un ritorno all'abitudine che, seppur lentamente, allunga il suo passo.