Era l’ideale per divenire un ragazzo di strada (o “Sulla strada”).
La rabbia, l’esaltazione e la voglia gonfiarono le vele molto presto dentro di lui.
Si era nutrito di guerra, di violenza, dei primi fumetti porno e di calcio.
Il combattimento e la vittoria, giocare ai soldati, vivere o morire, si decidevano in fretta e non c’era bisogno di arbitri.
Le bambine avevano un odore strano, un po’ inebriante.
La mamma sgridò Alessandro, quando lui ebbe una specie di erezione, forse a sei-sette anni.
Ma poi ebbe ancora questo disturbo. Non chiese più il permesso alla mamma. Forse lei capì.
1973. Svalutazione, inflazione, shock petrolifero, guerra del Kippur, i palestinesi di Settembre Nero, il primo orgasmo globale. Partito Comunista era un’espressione afrodisiaca. Sentiva i brividi alla schiena ad ascoltare Bandiera Rossa da Radiocapodistria, da bambino, nella casa dei nonni.
Ma Berlinguer disse: “Compromesso storico, compagni!”. Alessandro non capì. Allearsi alla DC? Che cazzo è? E per fare cosa? Vabbè, se dovevano unirsi al nemico di classe, che ci si preparasse al petting con onore.
E petting fu… con la nemica… di classe.
Addestrato dalla pornografia, convinse facilmente Giovanna, in seconda media, a lasciarsi andare alla sua lingua. Non aveva dubbi. Sapeva il copione. E i gemiti di lei suonavano conferma che Alessandro giocava bene.
Gli scorreva dentro la rabbia delle chitarre elettriche dei Deep Purple e di quella più ruffiana di Santana, i corpi infangati di Woodstock, l’asfalto psichedelico di Easy Rider. Saigon stava per cadere, l’imperialismo USA era in ginocchio. Nixon, il boia e il suo velenoso amico, Kissinger, erano riusciti a fare cadere Allende in Cile. Unidad Popular, stroncata dai fascisti di Pinochet. “Il Manifesto” di Marx letto quasi d’un fiato. E allora si cantava “El pueblo unido jamas serà vencido”, ascoltando gli Inti-Illimani.
Aspettava la Rivoluzione, undicenne. Il 15 giugno 1975 fu orgia afrodisiaca. Il PCI, dal 27 al 33 %, alle amministrative. E Guccini cantava: “La bomba proletaria illuminava l’aria, la fiaccola dell’anarchia!”. E cantava con i suoi amici pure Contessa (“compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce e impugnate il martello, scendete giù in piazza e picchiate con quello, scendete giù in piazza e affossate il sistema”). Alessandro aspettava pure i carri armati sovietici, per scherzo, ma mica tanto. Per lui era tutto semplice. Il bene stava tutto da una parte e il male dall’altra.
L’onda politica cresceva, insieme ai vagiti di piacere e agli orgasmi di Giovanna.
Ma, alle politiche del 20 giungo 1976, il sorpasso non ci fu. Le sinistre rimasero al palo. La DC recuperò il terreno perduto. E fu governo Andreotti, solidarietà nazionale col voto di tutti i partiti, escluso l’MSI. Non ci fu la Rivoluzione. Il PCI nella maggioranza, e Alessandro a sinistra del PCI, area Democrazia Proletaria. Che al Liceo aveva il 70 %. E Giovanna gli diceva: “Mica vorrai andare con l’estrema sinistra?”. “Perché” diceva lui, “qual’è l’alternativa?”. Le BR iniziavano a colpire duro. Quelli del PCI e della CGIL andavano da suo padre e gli dicevano: “Guarda che tuo figlio sta con gli estremisti, grida contro il Partito!”. Che gliene importava a suo padre, che pensava a tirare su soldi, in cantiere, e non capiva il significato dell’80 per cento del lessico di suo figlio? (“Tu non combinerai mai niente nella vita, ti vedo male, sai solo menare un po’ la lingua”).
E fu l’anno scolastico 1976-77. Versioni di greco e latino al Ginnasio, e quella stronza di Patrizia, fidanzata di un leaderino prima Liceo, Avanguardia Operaia. Patrizia, che inondava la Grammatica Latina di Alessandro con firme e false dichiarazioni d’amore, la dea esibizionista: “Alessandro ama e adora solo Patrzia La Bella”. Patrizia che gli lasciava vedere le tette, sotto il suo maglione proletario e fricchettone. Non ci capiva più niente. Giovanna, a naso, indovinò tutto. E iniziò a perderla. Senza nemmeno riuscire ad andare a letto con quella stronzetta di Patrizia.
Così, per due anni, Alessandro non conobbe più l’amore e il sesso, quello completo. Fame e astinenza sfigata. Avrebbe dovuto aspettare altri due anni per essere veramente sverginato. Poco dopo il raggiungimento della maggiore età, da parte di Elena, una studentessa dell’Accademia di Belle Arti, 4 o 5 anni più di lui, che si prese a cuore il mio problema umanitario…..
E venne il ‘77, anno bello e terribile. Non solo anno di piombo. Ma anche anno del desiderio, dell’utopia, del nichilismo, dello spontaneismo creativo.
Non c’erano più fascisti con cui picchiarsi.
Le vere botte da orbi Alessandro le vedeva tra servizio d’ordine della FGCI ed estrema sinistra.
Quell’anno scolastico, l’assemblea era in autoconvocazione permanente. La Presidenza non osava nemmeno sillabare che si sarebbe dovuta chiedere l’autorizzazione. Perché “noi, quello che vogliamo, ce lo prendiamo”, “siamo l’avanguardia politica e intellettuale del proletariato”, “studenti e operai uniti nella lotta” (lasciamo perdere che gli operai di Mirafiori, se li avessero potuti avere fra le mani, li avrebbero strizzati come stracci umidi in mano a lavandaie).
Nei cortei, di molotov ne vide parecchie. Lanciate contro la polizia e dentro i negozi e i bar, incautamente tenuti aperti.
Il fatto più grave fu quello dell’ “Angelo Azzurro”, un bar che aveva la triste fama di essere frequentato dai fascisti. La molotov piena di benzina diede fuoco a tutto il locale. Il barista si salvò. L’unico avventore del momento ci rimise le penne. Era un ragazzo. Forse un universitario. Assolutamente non politicamente impegnato. Morì di ustioni gravissime. Fu grande l’angoscia di Alesandro. Prima Linea gambizzava e ammazzava in giro per l’Italia. Per lui erano “compagni che sbagliano”, ma sempre compagni.
Nel febbraio-marzo 1978, le BR rapirono Moro, sterminandone la scorta.
Quale fu la loro reazione, al Liceo? Alla notizia, già arrivata prima della fine delle ore regolari di lezione, si precipitarono nel corridoio. La situazione emotiva dominante era un misto di angoscia e trionfo. Però, la vera battuta era: “Cazzo, ce l’hanno fatta! Hanno piazzato il colpo al cuore dello Stato!”. (Zorro!).
Fra ‘77 e ‘78, Alessandro conobbe tutta un’area di gente particolare, dai 5 ai 10 anni più vecchi di me. Estremisti di tutti i generi. Gucciniani avvinazzati, consumatori mistici di peyote e Lsd, tardo hyppies, ex di Potere operaio e di Lotta Continua. Loro e il Pci locale si odiavano a morte. E tutto il paese che contava e che non si faceva i cazzi suoi sapeva che lui frequentava quella “gente lì”. Era lo scandalo dei compagni benpensanti e perbenisti! Il comune di … era una delle tante “Stalingrado rosse” della cintura. Con giunta rigorosamente socialista e comunista.
I rinnegati gli piacevano. Gli era impossibile stare con i suoi coetanei. Troppo scipiti. Insignificanti. Noiosi. Scontati. Lenti a pensare. (Alessandro aveva le prime botte di autoesaltazione egotica, superomistica e maniacale. La sua mente andava come un treno, cocainica, senza bisogno dello sniffo). Non poteva tollerare che i suoi amici estasiassero alla “Febbre del sabato sera” e al mito di John Travolta. La sua testa era intrisa dei film “Woodstock” e “Easy Rider”, Altman, Peckinpah, si sganasciava ai compagni complicati e in crisi di “Hecce Bombo” di Moretti. E il libro “Porci con le ali”, che narravano le nevrosi di loro sinistresi avviati verso il riflusso e la fine dell’utopia. I Bee Gees lo facevano cagare. Per lui, la chitarra per eccellenza era quella di Jimi Hendrix, poi gli album “Echoes” e “Dark Side” dei Pink.
Tra i “rinnegati”, nel 1978, conobbe Lucia, maestra elementare. Alessandro girava con camicie lise e il più non stirate possibile, jeans sempre più scoloriti, ma non comprati a prezzi da strozzino. Spesso girava con gli zoccoli. E una borsa tracolla, di pelle cucita, taglio pellerossa. Si riforniva al Baloon, mercato delle pulci de’ noantri. Lucia. 6-7 anni più di lui, forse di più. Che lo corteggiava alla grande, ma come la donna più matura con il ragazzino, incerta se buttarsi o essere responsabile: getto l’esca e la ritiro subito (lei!); giocava abilmente a tenerlo sulla corda. Femminista incazzata, che girava in zoccoli, sottane e maglioni, stile contadino proletario. Ed ecco il suo primo vero, secco innamoramento “impossibile”, del desiderio irrealizzabile. Lucia, non lo ricorda più bene, aveva militato in Lotta Continua o Potere Operaio. Quando parlava di Franco Piperno sembrava una ragazza di adesso che va in brodo per uno Scamarcio. Deve anche averci provato con Piperno, ma mi sa che il leader era distratto da parecchie altre moscone.
Patrizia gli raccontava di come si viveva, da compagni, nel 1970. In quel periodo, molti cercavano di dormire fuori casa. Avevano la paranoia di retate della polizia. Ci si aspettava un colpo di Stato da un momento all’altro. Sospettavano di essere schedati. Essere requisiti nella notte. La sindrome d’assedio e di accerchiamento era tipica di molti settori dell’estrema sinistra, che sviluppava la sua di conseguenza la sua contro fobica aggressività (“E allora, lotta, lotta di lunga durata, lotta di popolo armata, lotta continua sarà”). Lc e Po nelle manifestazioni inneggiavano apertamente alla lotta armata. Le due organizzazioni avevano strutture clandestine per eventuali situazioni “di scontro armato”, di occultamento latitanti ed estradizione. Basta leggersi la storia dell’omicidio del commissario Calabresi. O la strage di Primavalle, e l’orrendo rogo nell’appartamento del capo di una sezione missina, dove trovarono la morte i due figli più giovani, il più piccolo che aveva meno di 10 anni. “Uccidere un fascista non è reato” non era solo un slogan provocatorio, era una piattaforma d’azione.
La gente tentava di ammazzarsi sul serio, per opinioni politiche radicalmente opposte. Oreste Scalzone ha una vertebra incrinata perché gli tirarono addosso un banco dalla parte dello spigolo con tutta la forza.
Lucia fece con Alessandro come il gatto con il topo, appunto. Lui non riusciva a passare all’attacco. Lo schema che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Era bravo solo a fare il miele per le api. Ma era la lei che decideva fin dove arrivare o dove fermarsi. Quasi sempre fu così. Funzionava. Squadra che vince non si cambia.
Lucia. Innamoramento per l’impossibile. Sofferenza. Non ha senso innamorarsi per soffrire così.
Lucia non ammetteva di essere “dominata” da nessuno. Aveva il fidanzato, ma era poligamica. L’amore libero era anche ideologia praticata. Lucia doveva gestire sempre lei, sennò s’incazzava e Alesandro era perduto, e perdeva lei e i suoi occhi neri, calamite fosche, nere, piene di furia sarda. Lettere d’amore scritte e mai datele. Alessandro doveva averne stese più di una.
Era geloso, ma lei gli diceva: “Non ci sei solo tu!” Ma che cazzo voleva dire? E cosa gli dava, le volte che aveva diritto alla sua parte di torta? Bella, irraggiungibile, con un carattere di merda. Doveva sempre pesare le parole. Che peso aveva l’ideologia politica!
Una notte giocarono sul suo letto, a fare la “lotta” come la facevano i suoi bimbi all’asilo. Fino a tardi. Si giocava, si scherzava, ci si insultava. Si, lo sapeva, si sarà anche fatta dei problemi per la sua età; o forse, come oggetto sessuale, lui non era il massimo. Forse era attratta dalla sua timidezza e da come lui doveva risultarle indifeso. Ma, mio Dio, come era inesperto e imbranato! Parlando di quella notte, poi gli disse: “Ma sai che tu e io avremmo potuto fare l’amore?” E perché non lo avevano fatto? Non era mica fedele al suo fidanzato! “Dio, i tuoi occhi!” diceva ad Alessandro. E lo lasciava lì, con l’acquolina in bocca. Vabbè, Alessandro potuto prendere l’iniziativa di baciarla. Ma, in quei tempi, in caso di non corresponsione, più che il “no, grazie”, si rischiava di beccarsi un pugno nello stomaco o un calcio nelle palle, magari accompagnato da un ameno “tirati una sega, maschio represso dimmmerda!”.
Patrizia, i suoi occhi neri e foschi, penetranti, pugnalate di sfida, di rabbia e di seduzione. Occhi che, se volevano, ti possedevano.
Autunno 1978. Alessandro crede di aver iniziato da lì la fuoriuscita dal comunismo. D’altronde non è che fosse un militante fedele e affidabile. Il delitto Moro era già stato consumato. Ma lui, anche se inabile a qualsiasi arma, anche se appartenente alla “ala creativa del Movimento”, si sente un corresponsabile.
Prima del Natale ‘78, lasciò la prima Liceo Classico e cercò lavoro. Disperazione dei suoi.
Aveva iniziato il terzo anno con senso di fiato sul collo, panico, ansia. Era la prima o la seconda grave depressione (ma allora la chiamavano tutti “svogliatezza e cattiva volontà, fissazione”). L’anno prima, lo avevano promosso per dono della Grazia.. Aveva passato tutto l’anno scolastico fuori la notte. Era stato introdotto all’hashish. Frequentava studenti delle superiori, universitari, vari cani sciolti dell’estrema sinistra e Raffaele, ex marito di Lucia (si erano sposati diciottenni, dopo alcuni mesi si erano lasciati).
Raffaele, come gli disse Patrizia, era, è incredibile raccontarlo, una specie di hyppie di estrema destra. Studiava teologia. Sopravviveva con lavori qua e là, soprattutto muratore. Ad Alessandro passava libri di induismo (es. biografia di Aurobindo), di esoterismo tibetano (Il Bardo Todol , cioè Libro tibetano dei Morti; e anche l’altro, l’intrepretazione psichedelica dello stesso libro). Raffaele faceva uso frequente di LSD e, talvolta, di funghi allucinogeni messicani. La sua era una ricerca interiore estrema. Alessandro lo rivide nel 2003, monaco, ormai anziano, capelli corti, bianchi e grigi (25 anni prima aveva barba e capelli lunghissimi). Gli disse che Patrizia, allora, era a …, forse si era convertita al buddhismo, e praticava lo zen del tiro con l’arco. Raffaele gli descrisse il suo ultimo trip allucinogeno che lo aveva portato alla conversione definitiva al cristianesimo. Era un racconto impressionante. Un uomo che aveva raggiunto il senso della più totale solitudine e insesatezza di tutto. Ma proprio in quel deserto totale dell’anima aveva finalmente incontrato Dio. Era divenuto un cristiano conservatore e tradizionalista, che contesta tutti i mali dell’Illuminismo alla loro radice. Anch’io Alessandro prende in giro l’Illuminismo. Ma, in fondo, non potrebbe essere quello che e senza le acquisizioni e le ingenuità dell’Illuminismo. La vera rivoluzione di fondo dell’età moderna è l’Habeas Corpus, del 1779, base di tutte le libertà individuali successive e di tutte le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, fino a quella dell’ONU, e le rivoluzioni inglese, americana e francese, demoniache per le psicotiche turbe dei nazisti, degli jihadist, forse anche dei bordighisti.
Come era giunto Alessandro ad abbandonare la scuola? Depressione grave inconsapevole. Ma anche tanta da prestazione. Voleva tornare, per qualche mese, un bravo ragazzo e un figlio esemplare. Sentiva un peso di una missione immensa e insopportabile, dentro di lui. Per i suoi, l’Alessandro che non doveva assolutamente provare le cose che avevano provato loro, la fame , la fatica, il lavoro manuale, umiliante. Lui doveva diventare qualcosa che riscattasse un storia di generazioni analfabete, salariate, braccianti, contadine. Il primo e unico fra una ventina di cugini primi. Uno strumento di rappresentazione sociale, nel clan parentale e oltre, una vetrina, un biglietto da visita che calmasse le angosce dei suoi.
Non poteva reggere. Lo capisce adesso. Era fuori di testa alla grande. Per tenere il ritmo dello studio ossessivo e inconcludente, dormiva due o tre ore per notte. La giornata era sempre più allucinante. Ogni segno di disapprovazione da parte di qualche insegnante o di qualche compagno gli pesava come una pugnalata. Il crollo avvenne poco prima di Natale. Si rifiutò semplicemente di andare a scuola. E siccome “non voleva” più studiare, doveva cercarsi un lavoro.
Dunque si iscrisse all’ufficio di collocamento e, a fine gennaio, lo chiamò una boita (fabbrichetta, impresa familiare con meno di 15 dipendenti: operaio apprendista, tipologia industria metalmeccanica).
Alessandro non sa cosa abbiano capito i suoi, in quel momento, di ciò che gli succedeva dentro. Loro erano mortificati, stravolti, pieni di vergogna “socioparentale”. Alessandro non era in grado di tradurre dal suo al loro linguaggio la tempesta che aveva dentro. Era, già a monte, una questione pura di codici di comunicazione. Si trattava di tradurre in un italiano semplice per gente che pensava in dialetto, dove idee e categorie che aveva in se stesso non erano assolutamente presenti nel lessico. Anche ora, per i suoi, è molto poco concepibile una parola come: depressione, mania, psicosi ecc. Comunque, in quei tempi, la colpa era sempre del soggetto che provava tali sentimenti. Perché, pensa alle frasi solite di sua madre, la buona volontà, e possibilmente di ferro, vince su tutto. Chi non ha buona volontà è di per sé colpevole, mancante. Ancora in anni recenti, i suoi istintivamente non potevano permettersi di accettare, di fronte a se stessi, che lui fosse affetto da una psicopatologia clinicamente testata e ufficiale. Non ha senso, non è traducibile nelle loro gerarchie di valori e nei loro orizzonti d’attesa. Patologia grave e stabile, per loro, può essere il cancro, l’aids, ecc. Ma il disturbo psicologico, per loro, è sempre e comunque segno di qualcosa di vergognoso, inaccettabile, inspiegabile. Tipo: mio figlio soffre di qualcosa per cui, una volta, l’avrebbero messo in manicomio e stop, risolta lì. Per una vita Alessandro si è dovuto trovare delle scuse con i vicini di casa e i parenti, con chiunque: istituzioni, amici, insegnanti, fidanzate, mogli. Tutti, tutti prima o poi si allontanano, oltre una certa soglia. Si è sempre cercato delle scuse “credibili” per giustificare la sua esistenza.
Sono seguiti decenni su cui sarebbe molto delicato parlare. Il ragazzo fuori ne ha pure fatta di strada, Ma si è portato dentro la sua diversità come un tatuaggio. Trionfali successi, fiammate abbaglianti, seducenti (soldi che vanno via, debiti, promiscuità sessuale, affabulazione inarrestabile, tremila iniziative cominciate nello stesso momento, mente “cocainica”, applausi); e poi, improvvisamente, notti, inferni freddi, perdita di ogni desiderio di vivere, ospedali psichiatrici. La sua diversità esplose ulteriormente verso i trent’anni: depressione maggiore, ma ci vollero altri quindici anni perché uno psichiatra ipotizzasse il disturbo bipolare, la grande bestia, in cui devi essere addestrato a vedere come una malattia quello che tu per decenni hai sempre scambiato come “sentirsi da dio, stato di grazia”. Attraversò molti inferni: freddi e caldi. Il ragazzo fuori aprì un blog per caso nel 2006. Il blog divenne un percorso autoterapeutico, attraverso il quale acquistare consapevolezza delle possibilità espressive della scrittura, dell’analisi critica della quale è titolato professionista.
Ha tolto dalla circolazione molta roba autobiografica di questo blog. Circa seicento post. Ma ha voluto far ritornare a galla questo racconto.
Sono giorni felici, questi. In cui Alessandro non deve più chiedere scusa a nessuno della sua esistenza.
Alessandro è andato un po’ alla ricerca del tempo perduto. Perché non è vero che “historia est magistra vitae”, quanto piuttosto “vita est magistra historiae”: ricostruiamo il passato a partire dalle condizioni del presente e in funzione del presente, per spiegarci il nostro qui ed ora.
Alessandro è la sua storia, che ripercorre in modo diverso ogni volta, come l’ebreo che ripercorre infinitamente la Scrittura, dall’Eden, all’Esodo, all’Olocausto, trovandovi sempre nuovi significati e indirizzi per il suo esserci nel mondo.
(“Ogni scrittore, ogni uomo deve vedere in tutto ciò che gli accade, ivi compreso lo scacco, l’umiliazione e la sventura, uno strumento, un materiale per la sua arte, da cui deve trarre profitto”,
Jorge Luis Borges, “L’altro”)