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La ragazza delle arance, di Jostein Gaarder

Da Flavialtomonte

La storia della Ragazza delle arance mi rapisce sempre di più, pagina dopo pagina, le ipotesi diventano certezze che scagionano le mie aspettative. Ho iniziato a leggerlo una sera, sotto le coperte, fuori c’era una bufera di vento – strano nel meridione – e tutto somigliava a quei film americani con i personaggi intrappolati in una casa di montagna con le vallate fuori dalla porta pronte a bussare indisturbate da un momento all’altro. L’abatjour era l’unica fonte di luce nella stanza, e le pagine scorrevano lente, si lasciavano accarezzare. Ma la sera non sempre è il momento ideale per leggere, un libro è anche capace di addormentarti con dolci parole, e Jostein Gaarder è capace anche di questo.

Ho continuato a leggere il libro nei giorni a venire. Mi sono praticamente alzata dal letto con la voglia di riprendere il racconto da dove lo avevo abbandonato. Sono stata una stupida, perché la storia era tutt’altro che una ninna nanna. Sarà stato sicuramente l’effetto del racconto a chiudermi gli occhi, lo stesso che me li ha fatti schiudere l’indomani.
Il racconto prosegue, le ipotesi si fanno sempre più fitte, il bambino protagonista che legge la lettera del padre morto – ritrovata a distanza di undici anni – è una delle scene più assurde che abbia letto nel corso della mia esistenza. Il paradosso di una lettera riesumata come una salma. 

Leggo sdraiata sul letto con il plaid che mi coccola e il segnalibro sulla pancia che sembra non servire più a nulla. Un intero pomeriggio spaparanzata - come usa scrive l’autore – sul letto ad assaporare la lettera di un padre interpretata dal figlio che desidera farla interpretare anche al lettore. Una lettera, sì, a più letture.
Anche il secondo giorno è trascorso, e non smetto di spostare La ragazza delle arance da una parte all’altra della casa. 
Ma chi è questa famosa Ragazza delle arance? Lo vorrei sapere anch’io, lo scoprirò presto, o forse no, e se lo sapessi già? Se le mie ipotesi insieme a quelle del padre e del figlio, coincidessero? Sembra un giallo, ma non lo è, altrimenti non mi sarei messa a leggere La ragazza delle arance.
Sono a quasi metà del libro, ed è buffo pensare che tra qualche giorno scoprirò la vera l’identità della Ragazza delle arance, sarà attendibile alla mia?

«Ma il fatto è che ci troviamo su un pianeta nello spazio. Mi sembra assurdo pensarci. Ma ci sono delle ragazze che sono in grado di vedere che esiste un universo al di là del loro mascara. Poi ci sono forse anche dei ragazzi che non sono in grado di lanciare uno sguardo oltre il loro pallone. C’è comunque una bella differenza tra uno specchietto per il trucco e lo specchio di un telescopio. Credo che questo sia quello che viene definito ‘cambiamento di prospettiva’. Forse può anche essere definito un ‘risveglio’. Non è mai troppo tardi per avere un risveglio. Ma molte persone vivono tutta la vita senza rendersi conto di fluttuare nello spazio vuoto. Ci sono troppe tensioni quaggiù. Basta pensare a tutta la fatica che si fa.»

Jostein Gaarder, La ragazza delle arance


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