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La redenzione di Sean "Cheyenne" Penn - This must be the place

Creato il 02 novembre 2011 da Alesan
Per una settimana e passa mi sono dilettato nel tempo libero a leggere le recensioni sparse per il web di This must be the place, soprattutto quelle della gente normale, quelli che pagano il biglietto per andare al cinema e magari hanno una cultura dell'arte depositata su cellulosa molto più vasta di tanti critici veri. Pensavo, sbagliando, che il film di Paolo Sorrentino avrebbe riscosso grandi giudizi più o meno ovunque. Invidio ed ammiro coloro che riescono a metabolizzare un film del genere nel giro di un attimo e a trasportare il proprio commento nell'immediato sul web. E' una pratica che, a dire il vero, assomiglia più al volerci essere e a volerci essere per primi che non un qualcosa che nasconda doti innate di critico, il punto è però che io non riesco a buttare fuori tutto e subito quello che mi esce dopo un film del genere. Cerco di stare lontano da quelli che "è troppo lento", in primo luogo perché questa non può essere una discriminante ed in secondo luogo perché questo film è (anche) un viaggio nell'anima e non ha bisogno necessariamente di ritmo, quanto di cuore e riflessione. Mi astengo dal commentare quei critici veri che intravedono un finale totalmente diverso da quello che ho visto io interpretando, a mio modo di vedere in maniera totalmente errata, la redenzione del protagonista. Non voglio generare uno spoiler per chi ancora non lo avesse visto, ma temo che la redenzione, in questo caso, sia impersonata dal figlio scomparso e mai davvero citato di Cheyenne, il magnifico Sean Penn che sul finale interpreta un secondo, brevissimo ruolo, completamente ripulito da parrucche e maschere.
This must be the place è un piccolo grande capolavoro. Nel totale vuoto hollywoodiano che ha ormai dato in pasto agli spettatori ogni genere di videogame e supereroe, serve un italiano in grado di scrivere e girare magistralmente una storia in lingua inglese che nasce e muore a Dublino ma vive tutto il proprio percorso nella periferia americana tra il Michigan e il New Mexico fino allo Utah. E' un film ingannevole, che spiazza lo spettatore e lo accompagna in quello che non è un road movie e nemmeno un film generazionale, ma è pur sempre un viaggio nell'animo umano affrontato da una star di mezza età ormai lontana da anni dalle scene e fatto di avventure e scoperte, di personaggi un po' fuori di testa, di musiche superlative e di una fotografia eccellente. Un film che attraversa gli stati della vita, da quello familiare a quello amoroso, dalle perdite alle cose ritrovate, dagli errori alla paranoia. Un percorso vivo, umano, una ricerca sì della redenzione, ma anche di sé stesso, un tentativo di porre rimedio a tanti errori, a troppe dimenticanze che si mescolano in una folle melanconia e nell'impossibilità di cancellare gli errori passati. C'è sempre tempo ma, ormai, non c'è più tempo, verrebbe da dire per sintetizzare l'annoiata vita di Cheyenne, vittima di se stesso e delle proprie paure, che con un viaggio impossibile prova a riconquistare tutto ciò che ha perso, incluso se stesso; un ultimo estremo tentativo di sentirsi davvero qualcosa che non siano il suo trucco e i capelli un po' dark, che non sia il personaggio conosciuto dal mondo intero ma solo l'uomo che, in un certo senso, avrebbe seriamente voluto essere ed invece non è diventato. Tutto sommato la grande caccia alla vita che l'uomo insegue da secoli senza troppo successo, anche per via di quella rapidità che ci rincorre e non ci lascia davvero liberi di essere, ogni volta, come vorremmo per ritrovarci un giorno, come Cheyenne, in cerca di qualcosa che non sappiamo bene cosa sia ma che pensiamo (o speriamo) possa darci redenzione. Senza arrenderci anche se, come dice il protagonista a un certo punto, "il problema è che passiamo troppo velocemente dall'età in cui diciamo 'farò così' a quella in cui diremo 'è andata così'".
Un film che ha il sapore di qualche anno fa, che non farà "cassetta" come molti altri ma che per me segna già il decennio in modo positivo visto che l'Industria cinematografica con la maiuscola, dimostra di poter ancora riconoscere pezzi forti senza raggi laser e uomini pipistrello che hanno tanta dignità e, a volte, sfornano persino qualche capolavoro, ma restano lontani dal viaggio nell'anima. Nella ricerca. Nella vendetta. E nella redenzione.






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