Magazine Diario personale
A Sancti Spíritus, il capoluogo di provincia, è una domenica pomeriggio di ristoranti chiusi, cani malati e afa immobile. Digiuni raggiungiamo SANTA CLARA, dove ebbe luogo la battaglia decisiva della rivoluzione cubana, quella che trasformò in mito il comandante Ernesto "Che" Guevara. Per questo motivo hanno costruito qui il suo monumento, sotto il quale sorge il memorial che contiene le sue spoglie mortali e la fiamma perenne, accesa da Fidel dopo il ritrovamento delle presunte ossa in Bolivia nel 1997. Accanto un piccolo museo racconta l'avventurosa vita del Che con oggetti personali, come ad esempio il giubbotto che indossava quando Alberto Korda gli scattò la foto più famosa del mondo intero.
Nei pressi ci sarebbe anche il Monumento al Treno Blindato, che ricorda una delle imprese più eroiche dell'Argentino, quando nel 1958 si impossessò di un treno carico di armi e munizioni, inviato da Batista a rinforzo dell'esercito regolare.
Ma noi dobbiamo andare a REMEDIOS. Alloggiamo nella casa di Josè, professore universitario di economia. Qua sono tutti ingegneri dottori professori fisici nucleari, anche quelli che affittano la propria casa ai turisti e cucinano e puliscono e fanno conversazione sfoggiando il loro miglior sorriso. Anche suo figlio, che ci viene presentato subito insieme alla morosa, è un insegnante: la sua materia è educazione fisica e scacchi.
Josè è un incrollabile ottimista. Ci racconta con entusiasmo che viaggia per lavoro, per esempio è stato ospitato in alcuni Paesi amici del Sudamerica, e non ritiene un problema il fatto che per recarsi in qualunque altra nazione del mondo per tutti loro sia necessaria una scoraggiante trafila burocratica. Cuba infatti ha stretto accordi con il Cile, con il Brasile e soprattutto con il Venezuela di Chavez, che possiede il prezioso petrolio, in cambio del quale gli vengono spediti migliaia di medici; però lasciare il Paese non rientra ancora tra i diritti fondamentali di un cubano. Così come mancano all'appello altri fondamentali diritti, come quello alla libertà di informazione. Questo professore usa internet ma glissa sulla censura, non gli risulta che le mail vengono controllate, non sembra preoccuparlo che i cellulari, introdotti nel Paese da pochi mesi, abbiano costi proibitivi. Resto un po' perplessa durante la cena e la colazione che, come in tutte le case, sono spettacolari: gran spolvero di ceramiche, caldo de pollo e insalata fresca con avocado e addirittura il preziosissimo manzo e per finire frutta fresca.
Si scopre che, per soli due giorni di ritardo, ci siamo persi l'appuntamento mondano dell'anno, La Parranda, che è una sorta di Carnevale che ha luogo la sera della vigilia di Natale, durante il quale i due quartieri della cittadina si sfidano in una gara di carri, impalcature, maschere e fuochi d'artificio che richiedono una lunga preparazione segretissima. Al termine della gara in realtà il vincitore praticamente nessuno si ricorda chi era, questo per dire il livello alcolico che si può raggiungere. I carri abbandonati occupano ancora gran parte della piazza della Cattedrale e, se proprio uno vuole approfondire l'argomento, può recarsi al museo delle Parrandas.
Per fortuna noi non ne abbiamo bisogno, in quanto una cover della festa si svolgerà proprio stasera nel vicino comune di CAIBARIÉN, dove ci rechiamo dopo cena. Bancarelle, maialini arrosto, spaghetti, panini giallo fosforescente, giostre, salsa moderna e reggaetón rendono l'esperienza allegra e spensierata, peccato che siamo costretti ad andarcene al momento clou della festa, poiché gli orari cubani mal si addicono con gli autisti stanchi che il giorno dopo si devono svegliare presto.
CAYO COCO
Salutati i meravigliosi personaggi di Remedios ('taluego!), si parte per CAYO COCO, che dista numerose ore di bus. I cayos sono gli isolotti corallini, quasi sempre sinonimo di turismo molto poco fai da te. Cayo Coco è collegato alla terraferma da una lunga strada, costruita recentemente scatenando le ire degli ambientalisti, vicino alla quale nidificano i fenicotteri. Prima di imboccarla vi è un posto di blocco per il controllo passaporti, poiché l'accesso è vietato ai cubani, i quali potrebbero approfittare della vicinanza con la Florida per prendere il largo e abbandonare il Paese per sempre; cosa che molti disperati hanno fatto, specialmente nel período especial, quegli anni successivi al crollo dell'Unione Sovietica in cui la situazione era veramente drammatica. In spiaggia apprendo dal titolare del baretto che ormai lo Stato chiude un occhio se un cubano coi soldi (ossia più ladro degli altri) viene qui previa prenotazione di un ristorante oppure pagando direttamente l'ingresso; l'importante è che se ne vada a las cinco de la tarde.
Questa spiaggia è davvero "un eden di sabbia chiara bagnato da acque cristalline", come potrebbe definirla un catalogo in agenzia viaggi, ma per il resto meno male che siamo rimasti un giorno solo. Intorno ci sono solo hotel a svariate stelle, grandi e costose strutture alberghiere spuntate negli ultimi anni e villaggi all-inclusive con discoteche gelide, prezzi da paura e turisti tristi. Dopo il bagno, le passeggiate, le noci di cocco, le foto da calendario e il corso di salsa improvvisata, arriviamo al resort e veniamo istantaneamente aggrediti da un nugolo di zanzare inferocite. Per cena non possiamo far altro che andare a mangiare al Sitio La Güira, che ricostruisce un vecchio villaggio di carbonai primo Novecento, e poi verificare l'inesistenza di alternative.
Purtroppo salta la prevista escursione all’isola di Cayo Guillermo, dove notoriamente Hemingway non faceva altro che pescare sulla sua barca chiamata “el Pilar”.
Dopo meno di 24 ore di apartheid turistico, si annuncia una giornata di lunghi spostamenti in bus, circondati dai campi di canna da zucchero che creano un gradevole tricolore blu cielo verde canna e rosso terra. Ci direzioniamo verso la provincia di Granma, che prende il nome dall'imbarcazione con cui i rivoluzionari cubani - tra cui Fidel Castro, Che Guevara e il partigiano italiano Gino Donè Paro - partiti dal Messico giunsero sull'isola nel 1956, con lo scopo di abbattere il regime di Batista
Man mano che ci avviciniamo a CAMAGUEY, possiamo ammirare le campagne con i bufali, gli scintillanti torrenti e le maestose ceibe. Ci fermiamo per una sosta in quella che è la terza città dell'isola, nota per le sue vie perpendicolari tra le quali è facile perdersi. Per questo motivo una volta cambiati i soldi alla Cadeca, conosciuto l'ennesimo ballerino di salsa con sorella in Italia e visitato il mercato alimentare, è già tempo di correre al bus, parcheggiato nei pressi della stazione dei treni, schivando le migliaia di biciclette.
¡AL COMBATE, CORRED, BAYAMESES!
A BAYAMO alloggiamo in un hotel appena fuori dal centro. Come tutti gli altri alberghi che ci hanno ospitato durante il viaggio, appartiene alla Islazul, una delle cinque catene alberghiere dell'isola, tutte rigorosamente di proprietà statale. La Islazul è la più economica ed è aperta anche ai cubani, che infatti qui sono stravaccati nei pressi della piscina e pasteggiano ad Havana Club, ridendo sguaiatamente.
Questa città fiera e bellicosa fu, dopo Baracoa, la seconda città di Cuba ad essere fondata da Diego Velasquez, nel 1513. Qui inoltre è nato l’inno nazionale di Cuba, La Bayamesa, suonato la prima volta durante la battaglia di Bayamo del 1868 e scritto da tale Perucho Figueredo, che in quella battaglia combatté. Questa canzone è dedicata all’eroe nazionale Carlos Cèspedes, a cui è intitolata questa piazza nei cui paraggi ceniamo. Il paladar è dotato di una gradevole terrazza e ci serve piatti abbondanti e gustosi un po' diversi dal solito filetto di peccao o poio.
A due passi, poi, vi è la Casa de la trova, dove assistiamo a uno sbrigativo concerto dei soliti meravigliosi vegliardi. Qui conosco un cubano ciccione che ha una macchina fotografica impegnativa e sfoggia mazzette di banconote. E' accompagnato dalla sorella povera e dal cognato e mi offre un drink. Il mistero è presto svelato: qualche anno addietro ha vinto la Lotería del visa e ora vive a Miami. Questo programma speciale di migrazione, conosciuto anche come bombo, fu creato nel 1994 e ha permesso ad un certo numero di fortunati diplomati, con esperienza di lavoro e parenti negli USA, di emigrare negli Stati Uniti. Inutile stupirsi che il governo cubano lo avalli, considerando quanto le rimesse dall'estero contrbuiscano a non far crollare definitivamente l'economia.
La serata cerca di proseguire con un giro in calesse, ma stenta a decollare poiché i divertimenti paiono inesistenti o truffaldini ai pochi mondani ancora sobri.
Da Bayamo si può raggiungere il PARCO DELLA SIERRA MAESTRA, dove i turisti vanno a fare il trekking nelle stesse selvagge location in cui alla fine degli anni Cinquanta si rifugiarono i rivoluzionari di Fidel durante la lotta armata contro il regime di Batista. Dal PARQUE NACIONAL TURQUINO (che prende il nome dal monte più alto dell'isola), si può infatti raggiungere la Comandancia de la Plata, il quartier generale dell’esercito Rebelde a partire dal 1957.
Prima di tutto bisogna raggiungere Villa Santo Domingo, da dove partono le costosissime escursioni guidate (circa 30 euro, 4 in più se vuoi portarti la camera, com'è consuetudine a Cuba). Alex, la guida, ci fa presente che allo Stato non gliene importa nulla di abbassare i prezzi, tanto c'è il monopolio, e che a loro invece li pagano una miseria, quindi se non fosse per la nostra mancia lui col cavolo che continuerebbe a fare questo lavoro. Per arrivare fino al Salto de Naranjo, è indispensabile salire su una jeep in quanto l'eccessiva pendenza rende praticamente impossibile andarci a piedi. Qui siamo a quasi 1000 metri, la vista è spettacolare, fa freschino e si possono raccogliere i mandarini direttamente dagli alberi. Poi si parte per un trekking di circa tre chilometri, ammirando orchidee, piante di caffè e insomma le tipiche specie delle foreste tropicali. Infine, giunti nel quartier generale dei rivoluzionari, si possono visitare la capanna che veniva usata come ospedale, l'ufficio della stampa, il museo con la macchina per scrivere, le armi e gli altri oggetti appartenuti ai guerriglieri e infine la casa di Fidel; la struttura in legno è stata ricostruita, ma al suo interno ci sono ancora gli arredi originali: il letto, la scrivania, il tavolo e persino il frigorifero.
Sulla via del ritorno possiamo riposare in questo patio, su cui razzolano il tacchino e la tacchina, il pavone e la pavonessa, ed essere rifocillati dal caffè e dal tè che ci vendono i padroni di casa. Un ennesimo modo per campare.
SOMOS CUBANOS, ESPAÑOL Y AFRICANOS
CONTINUA....
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