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La responsabilità dei cristiani

Creato il 31 marzo 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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Pubblichiamo l’ultima parte dell’interessante relazione svolta dal Prof. Marco Vitale il 29 marzo al Convegno UCID di Brescia sul tema QUO VADIS EURO(PA)? La relazione completa, dal titolo FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA E DELLA SOCIETÀ E LA SFIDA PER L’EUROPA. IL RUOLO DEI CATTOLICI, si può leggere nel sito www.popolariliberieforti.it

LA RESPONSABILITÀ DEI CRISTIANI

Certo la situazione sembra oggi alimentare poche speranze. Ma “Être chrétien, c’est refuser la fatalité”. Nel vuoto di pensiero esistente, nel dominio ideologico ed operativo del capitalismo finanziario e dell’intontimento neoliberista, nell’urgenza di una grande correzione di marcia per tentare di evitare lo scontro contro un nuovo iceberg, nella necessità di accendere una nuova speranza ed indicare nuove vie per le nuove generazioni, grande è la responsabilità dei cristiani, e soprattutto dei cattolici. Le opposizioni di sinistra e di stampo marxista al neoliberismo e al capitalismo finanziario si sono, infatti, sciolte come neve al sole o, meglio, hanno scelto di diventare loro stesse parte integrante del pensiero del neoliberismo. Un liberale autentico, come il Luigi Einaudi delle Lezioni di Politica Sociale, si colloca alla sinistra di qualunque personaggio della nostra attuale sinistra politica.

La responsabilità dei cristiani e dei cattolici è dunque grande perché il pensiero cristiano e, in particolare, quello cattolico della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC), è l’unico che si pone in conflitto esistenziale con l’ideologia del neo-liberismo e con le sue pratiche di capitalismo finanziario selvaggio. Nel capitolo secondo della Sua recente Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium”, papa Francesco ha pronunciato quattro formidabili NO:

NO a un’economia dell’esclusione

NO alla nuova idolatria del denaro

NO a un denaro che governa invece di servire

NO all’iniquità che genera violenza

Dietro a questi NO sfilano non solo i cattolici osservanti, ma tutti coloro che credono al valore della democrazia, ad un’economia responsabile di mercato, ad un’economia libera e imprenditoriale nel senso del paragrafo 42 della Centesimus Annus, ad un’economia guidata dal lavoro, dalla dignità del lavoro, dalla dignità dell’uomo che lavora, dai principi della nostra Costituzione. Il pensiero economico-sociale cattolico si è sempre battuto per porre al centro non il “capital gain”, ma la dignità dell’uomo, per difendere la proprietà privata, intesa come strumento di libertà di ogni singolo uomo e non di accaparramento, per combattere la concentrazione delle ricchezze, per favorire una efficiente competitività solidale, per sostenere il principio di sussidiarietà contro la concentrazione di ogni tipo di potere.

Per questo dietro quei NO si schierano non solo i cattolici osservanti, ma i grandi liberali ortodossi, da Einaudi a Sturzo e si schierano i grandi pensatori dell’Economia Sociale di Mercato come Roepke. Non è piccolo e non è debole, dunque, l’insieme del pensiero e delle esperienze di tutti coloro che si schierano dietro questi NO. E se questo è vero e se di questa verità ci convinciamo, allora ci sentiamo meno soli, meno disperati, meno orfani di quanto si senta Luciano Gallino, studioso di straordinario valore, ma che forse guarda troppo in una direzione, la sinistra marxista e socialista, dalla quale non vedrà sbarcare nessun alleato, perché sono tutti morti.

Ma per esprimere la nostra forza, per assolvere la nostra responsabilità, per rispondere alla nostra chiamata dobbiamo superare due ostacoli concettuali.

Il primo è di esercitare veramente il culto della verità al quale ci richiama l’esortazione apostolica di papa Francesco, il papa dell’innovazione dirompente.

Il secondo è di avere coraggio intellettuale, di non avere paura di entrare nel vivo delle cose, di non farsi intimidire dai tecnicismi. Per paura di sentire rimbombare l’antico “Silete theologi in munere alieno”, per paura di essere accusata di volersi intrufolare in cose non di sua competenza, la Chiesa attuale non ha la forza di rispondere come Innocenzo III che: “ratione peccati” la Chiesa ha il diritto ed il dovere di prendere posizione su ogni tema. Ecco, allora, che in molti testi cattolici appare una clausola di stile che dice:

La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende minimamente di intromettersi nella politica degli Stati. Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione”.

Ma come è possibile impegnarsi per una società a misura d’uomo, per la sua dignità, per la sua vocazione, senza entrare nelle soluzioni, senza prendere posizione, anche tecnica, sui problemi concreti, come, ad esempio, quelli trattati in questa relazione che sono temi di vita e di morte per milioni di persone, senza condannare certe cose ed appoggiarne altre? Ed in ogni caso, se per la Chiesa in senso stretto, come organizzazione politica, può essere giustificata una certa cautela, per la comunità dei cristiani, cioè per la Chiesa come popolo di Dio, cioè per noi, questa timidezza diventa complicità. Come possiamo stare zitti di fronte ad un pensiero socio-economico che ci spinge sempre più indietro, verso un capitalismo barbaro, violento, incivile e corrotto, che è in contraddizione profonda non solo con la DSC ma con tutti i grandi pensatori ed operatori cattolici e cristiani, da Manzoni a Rosmini, da Luigi Einaudi a Don Sturzo, da Adenauer a De Gasperi, da Bonhoeffer a Padre Giulio Bevilacqua?

Per fortuna anche qui ci vien in aiuto l’esortazione apostolica di papa Francesco: “L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali.

182. Gli insegnamenti della Chiesa sulle situazioni contingenti sono soggetti a maggiori o nuovi sviluppi e possono essere oggetto di discussione, però non possiamo evitare di essere concreti – senza pretendere di entrare in dettagli – perché i grandi principi sociali non rimangano mere indicazioni generali che non interpellano nessuno. Bisogna ricavarne le conseguenze pratiche perché “possano con efficacia incidere anche nelle complesse situazioni odierne. I Pastori, accogliendo gli apporti delle diverse scienze, hanno il diritto di emettere opinioni su tutto ciò che riguarda la vita delle persone, dal momento che il compito dell’evangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Non si può più affermare che la religione deve limitarsi all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime per il cielo. Sappiamo che Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla pienezza eterna, perché Egli ha creato tutte le cose “perché possiamo goderne” (1 Tm 6,17), perché tutti possano goderne. Ne deriva che la conversione cristiana esige di riconsiderare “specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune”.

183. Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di San Francesco d’Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene “il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica”, la Chiesa “non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia”. Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo”.

Dunque, senza timidezze e servilismi, ai quali una certa Chiesa ci ha abituato, diciamo alto e forte: questo capitalismo finanziario fa schifo, è un pericolo per l’umanità e noi dobbiamo sentirci impegnati per cambiare rotta, per costruire un’economia ed una società più umane e più civili.

Marco Vitale

 


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