Il 28 gennaio scorso, a Torino, è iniziato il processo a Erri De Luca.
In seguito alla denuncia della L.T.F. (Lyon-Turin ferroviaire) ¹, lo scrittore è stato rinviato a giudizio con l’accusa d’istigazione a delinquere per alcune dichiarazioni rilasciate all’Huffington Post durante un’intervista del 1 settembre 2013 legate alla sua posizione No Tav.
Questa la frase incriminata:
La Tav va sabotata
Alla successiva domanda del giornalista:
Allora sabotaggi e vandalismi sono leciti?
De Luca conferma:
Sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile.
Non entro nel merito della discussione Tav no/Tav sì né nella questione giudiziaria. Il processo è stato peraltro rinviato al 18 marzo di quest’anno.
Prendo spunto dalla vicenda per andare oltre un caso particolare, i confini di un fatto di cronaca e analizzare un aspetto importante nell’attività dello scrittore in sé: la responsabilità delle sue parole.
Erri De Luca ha recentemente pubblicato un libro La parola contraria, poco più di un pamphlet a dire il vero,
in cui affronta proprio questo tema argomentando dal suo punto di vista e con l’abilità che lo contraddistingue. De Luca è infatti un eccellente scrittore, qualità che credo nessuno possa o voglia mettere in dubbio.
In queste pagine spiega l’avvicendarsi dei fatti che riguardano la Val di Susa e il suo coinvolgimento personale. Lo scopo non è tuttavia fare un reportage, ma riproporre il conflitto tra un diritto – alla “parola contraria” – e la presunta usurpazione di tale diritto, in sintesi l’annoso ed eterno dibattito sui confini della libertà d’opinione dello scrittore.
De Luca si sente sotto accusa esattamente in questo:
Non sono incriminato per avere fatto, ma per avere detto.
Qui si processa uno scrittore per le sue frasi
Sono un’ammiratrice di De Luca e ho letto con vero piacere alcuni suoi testi.
Mi permetto tuttavia in questo caso di contestare la sua tesi basata sulla distinzione tra istigazione, ispirazione e suggestione, intimamente connesse alla “parola pubblica di uno scrittore” e le cui conseguenti “azioni” sarebbero “un risultato ingovernabile e fuori dal suo controllo”.
Ognuno di noi è responsabile delle proprie affermazioni: è incontestabile. La questione da porsi è se e in che misura lo sia nei confronti di una collettività. Questa responsabilità è, secondo me, direttamente proporzionale al ruolo sociale di un individuo: va da sé che le parole pronunciate da chi ricopre cariche istituzionali o comunque pubbliche abbiano un peso maggiore rispetto a quelle di un semplice cittadino; che frasi scritte su quotidiani o libri da personalità note abbiano un grande impatto, anche una forte capacità d’influenza a più livelli, filosofico, morale, politico.
Ora, De Luca nega questa equazione mettendosi sullo stesso piano del “barbiere di Bussoleno o di altra località” ² , ma cade tuttavia in contraddizione.
Se da un lato afferma di esprimersi e partecipare ai fatti del suo tempo “da cittadino” “e per interesse di testimone”, dall’altro attribuisce a sé scrittore il ruolo di un incontro casuale le cui pagine “formano il carattere di un giovane cittadino” esattamente come il George Orwell di Omaggio alla Catalogna aveva plasmato il suo pensiero anarchico.
Attraverso il me stesso di quell’età cerco d’immaginare cosa muova un giovane di oggi a esporsi in una lotta massicciamente diffamata e repressa come quella della Val di Susa. [ … ]
Forse a questa persona non serve nessun Orwell che le racconti una grande lotta di popolo. Le basta sapere che esiste una volontà di resistenza civile, popolare, per unirsi.
Ma se ci fosse nella sua occasione di lettura un Orwell di oggi che la inneschi, vorrei essere io.
Non m’interessa discutere in questa sede il De Luca anarchico e se lui abbia più o meno chiuso con il suo passato in Lotta Continua; il punto per me è un altro: la natura del rapporto tra scrittore e lettore.
Il commento migliore lo scrive proprio De Luca:
Uno scrittore ha in sorte una piccola voce pubblica. Può usarla per fare qualcosa di più della promozione delle sue opere. Suo ambito è la parola, allora gli spetta il compito di proteggere il diritto di tutti a esprimere la propria.
Esiste una lunga tradizione letteraria, in cui De Luca si colloca con quest’affermazione, che conferisce all’artista la posizione privilegiata di vate, maestro di saggezza, promotore d’ideali, “profeta”, “eco sonoro” del suo tempo – affermava Victor Hugo – di colui che mette le sue doti a servizio di una coscienza comune, che scrive “io” sottintendendo un “noi” e dando voce a chi non ha mezzi o possibilità per esprimere bisogni e sentimenti di cui egli diventa interprete.
La mia vita è la vostra, la vostra vita è la mia, voi vivete ciò che vivo io; il destino è comune. Prendete questo specchio e guardatevi. Ci si lamenta talora degli scrittori che dicono “io”. Parlateci di noi, si richiede a gran voce. Ahimé! Quando parlo di me, io vi parlo di voi. Come fate a non sentirlo?
(Prefazione alla raccolta Le Contemplazioni di Victor Hugo, 1856)
Quindi, nel momento in cui uno scrittore osserva il mondo, analizza l’interazione con il suo tempo, esprime il ventaglio delle emozioni, egli diventa portavoce di abitudini, mentalità, affettività che attribuiscono alle sue parole il peso della concretezza e della rappresentatività.
Come ho premesso, non mi addentro nei dettagli dell’affaire De Luca, dell’accusa nei suoi confronti che vede un nesso tra il verbo sabotare da lui usato e le azioni violente in Val di Susa. Questa verifica spetta alla magistratura.
In ambito strettamente letterario, il rapporto tra parola e azione non è automatico, la relazione causa/effetto tra un’idea e un gesto concreto non è imputabile a una responsabilità diretta. Se così fosse, nessuno scriverebbe più per paura di una sorta di processo alle intenzioni.
Ho sempre considerato scorretto attribuire al Werther di Goethe l’istigazione al suicidio. Questo testo è citato peraltro da De Luca in La parola contraria come esempio di errata interpretazione del verbo “istigare”. Concordo con lui. Gli vorrei tuttavia ricordare che qualche anno più tardi, precisamente nel 1802, Chateaubriand – scrittore forse meno noto ai più – pubblicò un breve racconto, René, il cui protagonista evoca ancora il tipico personaggio romantico, introspettivo, solitario, un po’ misantropo, insofferente, insoddisfatto della realtà, proiettato verso un ideale che rimarrebbe chimera se – questo è il messaggio conclusivo – non fosse vissuto all’interno di una relazione d’armonia con il creato e con Dio.
All’epoca fu recepita solo l’immagine del giovane ribelle ed esplose un “fenomeno René” esattamente come, dopo il 1774, nacquero tanti Werther.
Trovo assurdo caricare i due autori di un peso che non hanno avuto.
Eppure Chateaubriand confessò:
Non scriverei più René, se non l’avessi già fatto; se mi fosse possibile distruggerlo, lo distruggerei. Una generazione di René poeti e René narratori è cresciuta a dismisura [ … ] Non c’è stato un solo ragazzo che, dopo il collège, non abbia sognato di essere il più dannato degli uomini.
(Chateaubriand, Memorie d’oltretomba, 1848-1850)
Qualcuno, caro De Luca, ha sentito il peso delle sue parole o ha perlomeno intuito il fallimento di un messaggio.
Il peso delle parole: ecco il punto centrale, unitamente alla valutazione del pubblico cui uno scrittore si rivolge che, dal suo pulpito privilegiato, egli può e deve saper riconoscere e identificare.
De Luca usa il verbo sabotare, termine secondo lui “nobile” poiché allude alle lotte operaie dei secoli scorsi al fine di rivendicare sacrosanti diritti sul lavoro.
Il sabotaggio quindi nasce come mezzo di lotta sindacale, ma, per estensione, può venire utilizzato anche come strumento di contrasto di tutte le forme di oppressione. Per esempio, nelle correnti ecologiste il sabotaggio porta come conseguenza l’azione diretta contro tutto ciò che devasta l’ambiente naturale.
L’azione diretta è un principio centrale di tutte le correnti dell’anarchismo [ … ] è associata all’attivismo, ma non è solamente legata alla lotta simbolica o propagandistica contro il potere dello Stato e del capitalismo. Le azioni dirette possono avere un effetto concreto e reale sulle vite delle persone e sulla struttura stessa della società. Non necessariamente queste azioni devono essere violente, l’essenza del principio sta nel non delegare ad altri la propria vita”
Da Anarchopedia
Mi sono mossa nell’ambito in cui De Luca si riconosce.
Ed ecco cosa scrive in proposito:
Rivendico il diritto di adoperare il verbo sabotare come pare e piace alla lingua italiana. Il suo impiego non è ristretto al significato di danneggiamento materiale, come pretendono i pubblici ministeri di questo caso.
Per esempio: uno sciopero, specialmente di tipo a gatto selvaggio, senza preavviso, sabota la produzione di un impianto, di un servizio.
Un soldato che esegue male un ordine, lo sabota.
Un ostruzionismo parlamentare contro un disegno di legge, lo sabota. Le negligenze, volontarie o no, sabotano.
L’accusa contro di me sabota il mio diritto costituzionale di parola contraria. Il verbo sabotare ha vasta applicazione in senso figurato e coincide con il significato di ostacolare.
I pubblici ministeri esigono che il verbo sabotare abbia un solo significato. In nome della lingua italiana e del buonsenso nego il restringimento di significato.
Bastava consultare il vocabolario per archiviare la denuncia sballata di una ditta francese.
Accolgo di buon grado una condanna penale, non una riduzione di vocabolario.
Ed ecco la definizione del vocabolario Treccani
Ora, De Luca non ammette una “riduzione di vocabolario”.
Mi permetto di fargli notare che anche lui sta operando nella stessa direzione. E aggiungo che Anarchopedia fornisce un’informazione importante: “Non necessariamente queste azioni devono essere violente”, ossia possono anche esserlo. Prevista persino dal gergo anarchico, la concretezza di un gesto è una componente semantica rilevante del verbo in questione, se non proprio primaria.
Perché quindi, a mio avviso, lo scrittore è moralmente responsabile in casi come questo? Poco importa che si tratti di Erri De Luca e che sia coinvolta la questione Tav; si sarebbe potuto chiamare anche XYZ …
Non viene valutato il grado di maturità del pubblico che può non essere sufficientemente lucido per capire e circostanziare le affermazioni.
Non ci si pone il problema della competenza linguistica dei lettori, immaginati ipoteticamente tutti con la Treccani sotto il braccio, riuniti in pacifiche accademie a disquisire su quale delle due accezioni sia più pertinente.
Non viene considerato il clima di tensione in cui la parola può depositarsi, germogliare e crescere.
Qualunque artista rivendica giustamente un’autonomia di pensiero, ma dalla sua posizione culturalmente privilegiata deve sempre prevedere l’eventualità di essere frainteso.
Da non scordare, infine, che la sua opera, pur legata all’attualità, sfugge per natura al contingente. Le parole restano, per sempre, a testimonianza di un’idea più che di un fatto che può solo fornire il pretesto.
Per lo scrittore contano l’essenza e il pensiero assoluto; senza il supporto di questi principi resta un cronista.
¹ la società che gestisce i lavori della linea ad alta velocità Torino-Lione
² esempio citato dai pubblici ministeri all’uscita dell’udienza preliminare del 5 giugno 2014