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“La ricchezza cambia strada” : …e gli ultimi saranno i primi.

Da Mondozio

 

“La ricchezza cambia strada” : …e gli ultimi saranno i primi.

Se risparmiare è un “mestiere” complicato, professare la consulenza finanziaria è svolgere un’attività ancora più difficile. Questa professione è estremamente complicata ed assoggettata alla mutabilità costante di infinite variabili ed eventi; alcuni praticamente incontrollabili ed imprevedibili.

E’ l’unico lavoro in cui quando ci si riposa capita di risvegliarsi con un quadro mutato, per esempio un terremoto o un conflitto che modifica la struttura dei mercati mondiali. Tuttavia moltissimi eventi invece sono in progressione dinamica e/o strutturale ed è possibile fare delle previsioni e beneficiarne finanziariamente, o fare scelte per evitare conseguenze dannose per il risparmiatore, scegliendo come allocare i risparmi e come tutelare il capitale necessario per preservare la tranquillità futura.

Portiamo quale esempio lo sviluppo demografico in Oriente, l’urbanizzazione e la crescita della c.d. “classe media”.

Questi megatrends si generano da dinamiche di lungo periodo che sviluppano una “forza” inarrestabile. Pensiamo al popolo Cinese e/o Indiano, Coreano… tali popolazioni arriveranno negli anni futuri a garantirsi un tenore di vita simile al nostro, a quello occidentale, ed in relazione a ciò, pensiamo come potranno svilupparsi i consumi e la ricchezza.

L’Asia, attualmente, malgrado ciò che si pensi è un paese povero, il reddito medio della più parte dei suoi abitanti non arriva a 2$ giornalieri, ma la crescita del PIL è volumetricamente frenetica e prorompente.

Le crisi finanziarie dell’ultimo quarto di secolo sono state tantissime e di seguito ricordiamo le più significative.

La crisi debitoria dei Paesi Emergenti inizia con la dichiarazione di moratoria del debito estero del Messico nel 1982, poi il fallimento delle Casse di Risparmio americane nel 1987/88, le crisi bancarie e di cambio dei Paesi Scandinavi nel 1990/92, il crollo delle bolle speculative nei mercati azionari, immobiliari e delle aree edificabili in Giappone nel 1992/96 (che ha reso tecnicamente insolventi le istituzioni finanziarie del “Sol Levante”), la crisi della SME (Meccanismo Europeo di scambio) nel 1992/93, la crisi bancaria e valutaria del Messico nel 1994, le crisi dei paesi del sud/est asiatico nel 1996/97, il default del debito pubblico Russo ed il quasi fallimento dell’Hedge Fund LCTM nel 1998, per non dimenticare poi la devastante crisi debitoria e valutaria dell’Argentina nel 2001, l’esplosione della bolla dei tecnologici e delle “torri gemelle” di New York nel 2000/2002, l’Hurricane Katrina a New Orleans in Louisiana nel 2005, la crisi dei Titoli Suprime ed il fallimento della Banca Lehman Brothers nel 2008.

Il mercato finanziario ha superato più o meno bene tutte queste vicissitudini ed ora si appresta a superare anche la rivolta nordafricana e l’ennesimo terremoto con tsunami e disastro nucleare in Giappone, che hanno replicato in peggio gli effetti del terremoto di Kobe del 1995.

Il mondo va avanti, i soldi si bruciano e si ricompongono, per un investitore che perde c’è sempre un investitore che beneficia delle disgrazie altrui. L’enorme accumulo di capitali che si è generato in questi ultimi 30 anni ha raggiunto livelli inusitati e si sposta con rapidità ora verso mercati azionari, ora verso quelli obbligazionari,  a volte sui cambi, generando bolle speculative che giunte al top, esplodono falcidiando gli investitori più sprovveduti. Chi nel 1998 in piena crisi dei mercati emergenti avrebbe pronosticato una crescita così sostenuta in questi paesi che chiamavamo “inefficienti” a causa dell’elevato indebitamento dei conti pubblici, della forte dipendenza dai prestiti del Fondo Monetario e dai paesi “dominanti ed efficienti”?

La ricchezza di molte economie emergenti risiedeva invece in due grandissime risorse: la mano d’opera a basso costo (India e Cina) e le materie prime (Russia e Brasile), ovvero da una parte, la capacità di produrre beni a basso costo, e dall’altra, le enormi ricchezze minerarie.

In questi anni, le guide politiche di quei paesi si sono poste “contro il mercato”, la Cina di Mao, la Russia del “Muro”, l’India e molti paesi ancora fermi e legati alle antiche colonizzazioni, mentre altri governi, come ad esempio il Brasile assoggettati a sistemi di governo corruttivi ed incapaci di creare espansione e crescita, hanno semplicemente rallentato la corsa di questi paesi nell’apertura verso sistema capitalistico ed il mercato globale. Solo 10 anni fa il debito dei mercati emergenti era elevatissimo ed a causa di tutti i crack che abbiamo elencato, nessuno aveva fiducia a sottoscrivere prestiti statali o obbligazioni e tantomeno azioni.

Oggi, a seguito di veloci e rilevanti rivalutazioni, assistiamo al passaggio del testimone, il debito è passato verso i mercati “efficienti” (USA-Europa) in testa e le riserve ed il surplus è detenuto dai mercati emergenti che chiamavamo “inefficienti”.

Non sarebbe forse ora di non chiamarli più emergenti??

Poniamo il focus sull’“Oriente”:

la regione Asia è il continente più grande del mondo, un terzo delle terre emerse ed, escluso il Giappone, ospita attualmente metà della popolazione mondiale, oltre 4 miliardi di persone, che contribuiscono nella misura del 35% al PIL (Prodotto Interno Lordo) globale, e tuttavia, gli investimenti di questa regione pesano soltanto per il 2% dei Bond mondiali (Barclays Global Aggregate Bond) attualmente sottoscritti, e meno dell’8% dell’indice delle azioni globali (MSCI Global Equità).

Gli investitori in reddito fisso allocano in Asia solo l’1% degli investimenti globali.

Tale scenario è quantomeno bizzarro, in quanto le obbligazioni ed i titoli di stato asiatici “rendono” cedole più alte e gli emittenti sono meno a rischio di default rispetto a quelli occidentali. L’investimento in tali strumenti può quindi servire a diversificare gli investimenti sottraendoli al crescente rischio di credito che affligge i titoli di stato dei paesi sviluppati.

E tuttavia prosegue la diffidenza strutturale verso tale area.

La crescita dell’Asia di questi anni recenti non è passata inosservata e la rapidità del suo processo di trasformazione ha attirato e continuerà ad attirare interesse per gli investitori. I paesi emergenti asiatici sono il motore della ripresa globale, nel 2010 il tasso di crescita è stato dell’8,8% e la stima per il 2011 è del 7,3%, e ciò malgrado la circostanza che le manovre politico-economiche messe in atto per combattere l’inflazione dai governi stiano rallentando la crescita. Sotto questo profilo, l’impennata dell’inflazione salariale in Cina preoccupa congiuntamente al timore di un cedimento del mercato immobiliare.

Nel corso dell’anno, non mi aspetto nel breve un mercato azionario positivo, ma le prospettive di lungo termine restano ottime. I consumi interni sostituiranno il trend secolare di dipendenza dalle esportazioni ed entro il prossimo decennio la Cina diventerà l’economia più grande superando anche gli Stati Uniti.

Milano, 5 aprile 2011

(Giorgio Rota, laureato in economia e sociologia, master Bocconi; lavora dal 1977 al 1998 presso primarie banche italiane, dal 1998 è libero professionista, consulente specialista in finanza, economia e mercati. Attualmente lavora come “advisor client” presso una primaria banca internazionale.)

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