Personalmente io non so dire se la parlata dei miei Avi Sardi sia da considerare una lingua, un dialetto, o qualche altra cosa; e sinceramente non mi interessa neppure.
Io so soltanto che i miei Avi Sardi mi hanno lasciato una grande, immensa eredità: la loro Cultura, il loro Sapere, la loro Lingua ed io non intendo buttare via questo enorme Patrimonio fatto di parole, di frasi, di storie, di pietre, di erbe, di nuraghi, di leggende, di dolore, di gioia, di suoni, di canzoni, di rime e di accenti.
No, io non intendo rinunciare alla mia Sardità: non la cambierei con nessun’altra cultura al mondo e ancora meno con ricchezze materiali.
Io parlo e scrivo correntemente diverse lingue e amo tutte le culture del mondo: purchè siano culture di fratellanza, di pace e di amore.
Ma il suono della lingua Sarda (o dei dialetti della Lingua Sarda, se si preferisce dire così) è un suono che si sente nel vento, nel mare, nel canto degli uccelli; è un suono che culla il dondolio dei fanciulli in braccio alle mamme; è la fatica delle donne al telaio, sotto il peso dei recipienti della farina impastata, dell’acqua, dei figli partoriti ed allevati; è il suono del dolore, del pianto, delle risa e dei canti di amore!
No, io non rinuncerò a tutto questo e voglio vivere abbastanza per vedere nelle scuole i bambini studiare la storia, la letteratura, le tradizioni, la lingua dei Sardi.
Partendo dalla nostra Storia e dalla nostra Lingua possiamo e dobbiamo imparare la Storia e la Lingua degli altri Popoli.
Ma se accantoneremo la nostra Cultura non riusciremo mai a capire la Cultura degli altri.
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