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La riforma del lavoro firmata Matteo Renzi. Si va verso il modello tedesco?

Creato il 19 settembre 2014 da Nicola933
di Erica Vaccaro La riforma del lavoro firmata Matteo Renzi. Si va verso il modello tedesco? - 19 settembre 2014

LavoroDi Erica Vaccaro. Via libera della Commissione lavoro al Senato alla legge delega sul lavoro. L’obiettivo è quello di cambiare le logiche che guidano il mercato del lavoro e con queste anche le tutele previste dall’articolo 18. Difficile fare una valutazione dal momento che le norme non ci sono ancora. Bisognerà attendere fino a martedì quando il Jobs Act sarà discusso in aula. Quello che sappiamo per il momento è che il testo prevede forme di contratto a tutele crescenti per i nuovi assunti.

Ci si ispira al modello Tedesco e in particolare alla riforma Hartz che nel 2005 introdusse l’Agenzia federale dell’impiego con lo scopo di riqualificare il lavoratore disoccupato e reintrodurlo nel mercato del lavoro. L’altra faccia della medaglia però sono i minijob una tipologia di contratto molto diffusa in Germania che prevede una remunerazione massima di 450 euro al mese. Si tratta di un contratto agevolato che non prevede il pagamento di alcuna tassa per il lavoratore e che gli consente di usufruire degli aiuti statali senza starsene con le mani in mano, ma lavorando part-time in attesa che si presenti una opportunità piu seria di lavoro. Il lavoratore può lavorare non più di 15 ore alla settimana,  percependo fino a un massimo di 450 euro al mese e ovviamente il datore di lavoro non deve pagargli i contributi. Ci sono però altre garanzie cui il lavoratore può accedere, come il reddito minimo garantito e il pagamento da parte dello stato delle spese d’alloggio e di quelle mediche. L’unico problema è che ad oggi, nella maggior parte dei casi, quella dei minijobs diviene una vera e propria trappola per il lavoratore che una volta entrato in questo meccanismo non riesce più ad uscirne. Le ragioni sono due: da un lato il mini-jobber in Germania viene considerato un lavoratore di serie B e quindi dopo anni e anni di mini-jobs farà fatica ad ottenere un altra tipologia di contratto; dall’altro lato il datore di lavoro agevolato non ha alcun interesse a stabilizzare il lavoratore.

Ma torniamo all’Italia. Ci si ispira al modello tedesco introducendo l’Agenzia nazionale per l’impiego che come quella tedesca non dovrebbe limitarsi ad erogare sussidi di disoccupazione ma dovrà anche avere competenze di politica attiva sul lavoro. Per chi entra adesso nel mercato del lavoro verrà applicato il contratto a tutele crescenti, non per un tempo determinato (3 anni) come sembrava dovesse attuarsi la riforma in un primo momento, ma per un periodo potenzialmente illimitato che dipenderà dalla scelta del datore di lavoro. Ci sarà un sussidio universale di disoccupazione che sarà proporzionato all’ultima retribuzione e al grado di anzianità ma il lavoratore dovrà essere assistito nella ricerca di un nuovo lavoro. Contratto a tutele crescenti però significa piena possibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore anche in mancanza di una giusta causa e dunque una sostanziale abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Matteo Renzi è stato molto chiaro nel manifestare la sua intenzione di superare definitivamente l’art 18 ed eliminare così la distinzione tra lavoratori di Serie A e lavoratori di Serie B. Il riferimento è alla differenza attualmente esistente tra i lavoratori di imprese sotto i 15 dipendenti che non hanno diritto al reintegro e quelli sopra i 15 dipendenti che invece sono tutelati dall’articolo 18. Ecco perché si punta ad eliminare il reintegro e sostituirlo con un sussidio universale. Certo questo significa creare una doppia generazione di lavoratori, con padri e madri beneficiari delle tutele previste dall’articolo 18 e figli invece soggetti a contratti a tutele crescenti.

Se poi si guarda al modello tedesco e ai minijobs si potrebbe prefigurare in Italia la stessa situazione, con il datore di lavoro che non avrebbe alcun interesse ad assumere il lavoratore a tempo indeterminato e il lavoratore incastrato in una serie continua di contratti a tempo indeterminato. Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda gli ammortizzatori sociali, perché se è chiaro che Renzi intenda sostituire il reintegro con il sussidio universale non è chiaro dove possa reperire le coperture finanziarie. “Come può un governo in un periodo di recessione e deflazione pensare di abbattere l’articolo 18 senza dire quanti soldi mette per gli ammortizzatori” è la posizione critica di Bersani che rischia di trascinare con se una buona parte del Pd. La settimana prossima quando il testo passerà dalla commissione all’aula si capirà quanti nel Pd sono effettivamente disposti ad accettare di portare avanti una battaglia che è stata da sempre appannaggio della destra. Renzi però avverte: “sul Jobs Act siamo pronti anche ad intervenire d’urgenza” e dunque c’è da aspettarsi anche il ricorso alla decretazione d’urgenza.


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