Sto sottoponendo a rilettura “Selezione del personale“, il primo racconto breve pubblicato su questo blog a gennaio. Di quello, avevo poi proposto una revisione, e questo poteva sembrare sufficiente: errore.
In realtà la fatica che hai impiegato a scrivere, poi riscrivere, e riscrivere, e riscrivere, eccetera eccetera, non ha alcun valore. Non può essere usata come uno scudo per dire: questo racconto lo grazio, non gli faccio niente. Al massimo controllo due o tre cose, ma così per scrupolo.
L’aspetto divertente (sì divertente), è che se entri in questa logica sei sereno. Non perché sei sicuro del risultato; bensì perché lo fai per il lettore, e allora usare l’ascia non è affatto un peso. Non puoi essere clemente quando sai che il tuo lavoro ha senso solo se il lettore apprezza, è impressionato o interessato dalla tua scrittura.
La forza che guida l’ascia nell’opera di taglio spietato, deve essere l’attenzione e il rispetto per il lettore; se ti fai guidare da questi elementi, hai qualche possibilità in più di essere efficace, di pubblicare qualcosa di valore. Quando te ne infischi del lettore, oppure pensi che sei davvero bravo, e che senza dubbio apprezzerà quello che scrivi, commetti l’errore più grande.
A proposito di errori, e di fretta. In “Selezione del personale” avevo scritto questa robaccia (la revisione intendo, quindi quella migliorata):
una gelida apprensione
Ridicola vero? È un esempio perfetto di come tre parole sembrano dire qualcosa, mentre in realtà sono idiozie. Perché ci si renda conto del disastro (per annientare un racconto breve, bastano cinque, sei perle come queste disseminate nei posti giusti: si sbriciola), occorre però tempo.
Tempo non è sinonimo di fretta, ma il suo contrario. Meglio ricordarselo.