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Aveva cominciato la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che solo un paio di giorni fa ha presentato un manifesto contenente le proposte degli industriali per salvare l'Italia dal default economico, ed ecco che subito risponde un altro pezzo grosso dell'imprenditoria italiana, Diego Della Valle, con una sua personale proposta di una vera e propria rivoluzione contro i politici incapaci e impresentabili.
Siamo dunque alla vigilia di un rivolgimento sociale nel quale si ribalterà l'immagine della rivoluzione tratteggiata da Leo Longanesi, quella che "comincia per strada e finisce al ristorante", per assistere a una che "inizia al ristorante e che rischia di finire per strada"?
Tutto quello che si può dire, leggendo i due "manifesti", è solo che c'è in giro tanta confusione: le proposte della Confindustria di Marcegaglia non fanno che ripetere i punti del programma di governo, peraltro imposti dalla Bce come condizione per l'acquisto dei btp decennali italiani, mentre l'appello di Della Valle non è che un ennesimo sfogo contro il ceto politico, simile tanti e forse solo utile ad iniziare una campagna elettorale per succedere proprio alla Marcegaglia nel ruolo di presidente di Confindustria.
Inutile dire che l'attacco alla politica dei due imprenditori ha suscitato la reazione dei politici chiamati in causa, che in vario modo hanno respinto le accuse, ma non hanno mancato di suscitare entusiamo tra i rivoltosi in servizio effettivo e permanente, come quel commentatore de Il Fatto Quotidiano che ha promesso di comprare una decina di paio di Tod's, le scarpe prodotte dall'industriale Della Valle, per sostenere l'imprenditore marchigiano.
Sono contento che l'anonimo rivoltoso abbia così tanti soldi da potersi permettere di sostenere il rivoltoso Della Valle acquistando le sue scarpe, peccato che il suo denaro non servirà a sostenere l'economia italiana, a parte quella personale di Della Valle, perché la produzione delle scarpe Tod's è ormai ampiamente delocalizzata all'estero, pur continuando a fregirsi del marchio Made in Italy. La linea per bambini è infatti prodotta in Cina, mentre quella per adulti in Macedonia.
Un problema non secondario quello della origine delle merci marchiate col marchio Made in Italy. Un problema conosciuto in tutto il mondo, tanto che giustamente i cliente si chiede: "se mi stai mentendo sull'origine del prodotto, mi stai mentendo anche sulla sua qualità?
Un quesito che probabilmente a Della Valle non interessa, come non interessa ai suoi colleghi, ma che dovrebbe far sorgere qualche legittimo dubbio agli italiani sugli obiettivi della rivoluzione auspicata dagli industriali.
Che gli industriali mirino soprattutto a produrre a minor costo possibile lo si sa da tempo e la spinta alla "liberalizzazione", alla globalizzazione, alla delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo di manodopera e la importazione della stessa manodopera attraverso un'immigrazione senza regole è una linea politica portata avanti tutti i giorni, anche attraverso i canali d'informazione come il quotidiano Il Sole24ore e il canale Radio24.
L'impulso verso la globalizzazione è mondiale, basti vedere la recente polemica tra la Coca Cola e la classe politica americana, accusata di non incentivare i singoli stati dell'unione a farsi concorrenza sui costi del lavoro, rendendo più appetibile gli investimenti nei paesi una volta definiti in via di sviluppo, ma l'Italia sembra essere all'avanguardia nella tendenza a sostituire la classe politica direttamente con esponenti dei "poteri forti", per mettere in atto ancora più rapidamente le politiche di deregolarizzazione e di "liberalizzazione" dei mercati che stanno pian piano destrutturando il mondo occidentale, così come abbiamo imparato a conoscerlo e a concepirlo.
A far da balia alla nuova politica degli industriali c'è la Bce, l'Unione Europea e tutti i loro burocrati nominati da non si sa chi, che attraverso le loro imposizioni stanno piano piano obbligando i governi nazionali a eseguire il compito.
La lettera della Bce al governo italiano è in questo caso esemplare. Rimane a questo punto da farsi solo una domanda: perché continuiamo ad andare a votare, se la democrazia rappresentativa è ormai solo una finzione?
Il potere è ormai detenuto da una casta di superburocrati imposta dalla grande finanza internazionale che ha un piano di sviluppo ben preciso e che riesce pure a farsi sostenere dalle proprie vittime, come nel caso del lettore del Fatto Quotidiano pronto a comprarsi una decina di paia di Tod's.
Una Rivoluzione veramente rivoluzionaria, non c'è che dire.
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