di Eleonora Ambrosi
È bastato uno sciagurato evento per riaccendere la tensione fra Russia e Tagikistan in tema di migrazioni. La condanna ad otto anni di carcere del pilota russo Vladimir Sadovnichy e di quello estone Alexei Rudenko per aver violato delle regole di volo è stata la miccia che ha riacceso un fuoco mai spento. Poco importa chi ha torto o ragione nella vicenda: Medvedev ha chiesto al Governo di intervenire a favore dei due condannati, ma il Governo tagiko pare non cedere alle richieste russe. Ecco i provvedimenti russi: 1.500 i tagiki arrestati ed espulsi dal territorio.
La Federazione Russa, dopo gli Stati Uniti, è la seconda nazione ospitante persone straniere nel suo territorio. La maggior parte degli stranieri residenti in Russia oggi provengono dai Paesi facenti parte dell’ex URSS. I flussi migratori diretti verso il Paese sono stati molto consistenti negli ultimi vent’anni ma già nell’ultimo decennio è stato possibile registrarvi un calo: infatti dagli anni ’90 il flusso annuale di migranti che raggiungeva la Russia ammontava a circa 700.000 persone mentre nel 2009 le entrate registrate equivalevano a 280.000. In aggiunta a questi numeri, bisogna aggiungere circa 5 milioni di persone irregolari, molte delle quali si trovano in una situazione di migrazione temporanea. Nel 2007 entrava in vigore una nuova legge che permetteva di facilitare l’ingresso al mercato del lavoro russo; in tal modo coloro che desideravano entrare nel Paese potevano farlo senza bisogno di possedere un visto. Questa procedura era valida per i Paesi facenti parte della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), ad eccezione del Turkmenistan. Nel passato infatti i permessi di soggiorno per lavoro potevano essere ottenuti solo su segnalazione del datore di lavoro: secondo la nuova disposizione, invece, un lavoratore proveniente da un Paese CSI può liberamente fare domanda del permesso di soggiorno senza bisogno dell’approvazione da parte del datore. Obiettivo di questa nuova procedura è quello di stimolare i lavoratori a dichiarare il proprio status regolarizzando la loro permanenza nel Paese. La legislazione sulle migrazioni è stata modificata nel 2010 per creare due nuovi gruppi di lavoratori migranti: i cosiddetti “patent holders”, cioè persone assunte per lavori presso famiglie, e gli specialisti altamente qualificati. Secondo la legislazione precedente, le persone che lavoravano per imprese private, dovevano richiedere il permesso di soggiorno con le stesse modalità degli specialisti: questo comportava costi molto alti, e di conseguenza la maggior parte preferiva rimanere in uno status di illegalità. In seguito alla nuova legislazione è possibile comperare un “patent” a 25 euro ed è possibile pagar e mensilmente tale somma tramite banca. Tra luglio e dicembre 2010 infatti, il numero dei permessi concesso è in continua crescita: i visti concessi sono infatti 150.0001.
Il libero spostamento di persone nei Paesi CSI è stato il più importante motore della crescita dei Paesi ex-URSS, rappresentando una potente risorsa per lo sviluppo economico e lo sviluppo della regione. I cittadini, prima uniti sotto un’unica patria, l’Unione Sovietica, si trovano ora ad essere separati da frontiere, Stati con diversa crescita economica e diverse situazioni politico – sociali che inevitabilmente portano a squilibri a livello regionale. Tuttavia, in seguito alla crisi che colpiva la Russia nel biennio 2008 – 2009, la crescente disoccupazione, il declino industriale, la difficoltà nelle remunerazioni i Paesi CSI sperimentavano un significativo calo delle rimesse. Si tenga presente che nella rapida crescita degli anni 2000, le rimesse dei lavoratori emergevano come uno dei canali più importanti di integrazione economica all’interno dello spazio CSI. Con un accesso limitato al capitale straniero, l’economia del Tagikistan è stata costretta ad adeguarsi al calo delle rimesse attraverso una riduzione delle importazioni, scese di circa un quarto nel periodo di crisi. Nel frattempo, il calo delle importazioni veniva largamente compensato da una riduzione dei consumi privati: le famiglie pertanto reagivano allo shock esterno attraverso una contrazione dei consumi.
L’esportazione più importante del Tagikistan sono sicuramente le persone: più di un milione di immigrati tagiki vivono in Russia e lavorano principalmente nei cantieri e nei bazar della periferia di Mosca. Le loro rimesse lo scorso anno rappresentavano circa il 35% del prodotto interno lordo del Tagikistan, secondo i dati della Banca Mondiale. Il denaro spedito a casa dai tagiki era pari a un terzo del PIL della Moldavia: inoltre, i giovani lavoratori tagiki colmano una delle lacune più importanti del territorio russo, ovvero il rapido invecchiamento della popolazione che colpisce anche il Kazakistan. È bene ricordare che tra il 2004 e il 2008 l’economia russa è cresciuta dell’8% annuo e il numero dei giovani migranti in quel periodo è cresciuto di ben quattro volte. In generale, si stima chei lavoratori stranieri formino circa il 10% del PIL russo2. Una grande deportazione potrebbe risultare disastrosa per l’economia tagika, ed inoltre, una volta espulsa, secondo la normativa russa, una persona non può ritornare nel territorio per i successivi cinque anni. In quanto cittadini di un ex Repubblica Sovietica, i tagiki non hanno bisogno di visti speciali per entrare nel territorio russo: le autorità sostengono che tutti coloro attualmente detenuti in seguito all’episodio che ha visto protagonisti i due piloti russi, stessero lavorando illegalmente. Anche nel passato però la Russia ha preso di mira dei gruppi etnici: si ricordi, ad esempio, la controversia doganale con la Georgia, in seguito alla quale nel 2006 migliaia di persone di origine georgiano sono state espulse dal suolo russo.
Durante il periodo sovietico, l’economia del Tagikistan è stata fortemente dipendente dalle esportazioni di alluminio e cotone. Anche negli ultimi, cotone e alluminio hanno costituito circa il 75% delle esportazioni complessive. Il più grande impianto industriale del Paese, nonché più grande generatore di entrate è la fonderia di alluminio di Tursunaze, TADAZ, costruito nel 1980. La maggior parte delle industrie si trovano nella regione Soghd, l’area più urbanizzata e industrializzata del Tagikistan. La regione leader nella produzione del cotone è invece quella del Khatlon che ha prodotto circa il 60% della produzione totale del cotone della Repubblica. Il Tagikistan è un Paese montagnoso che consiste in valli fluviali densamente popolate, separate da alte catene di montagne: il nord e l’est del Paese in inverno sono tagliati fuori dal centro e l’unico modo per raggiungerle è arrivare in aereo. Sia la rete ferroviaria, sia quella stradale, costruita nel 1960, sono obsolete.
La principale destinazione dei migranti tagiki è la Russia, 83%, seguita da Kazakistan 14% e Kirghizistan 2%. All’interno della Federazione Russa la destinazione più comune è senz’altro Mosca. Secondo le statistiche ci sarebbero più di un milione di tagiki residenti a Mosca e la scelta di questa destinazione è giustificata da diversi motivi. Innanzitutto la presenza di una comunità già esistente in Russia di tagiki serve per attirare i migranti successivi. Un forte legame etno – regionale è alla base del tessuto della società tagika, così come la capacità di avvalersi di tali legami è una delle ragioni principali secondo le quali i tagiki scelgono la loro destinazione. Inoltre, il modello di sviluppo economico è fortemente irregolare, sia in Russia così come nel resto dei Paesi CSI. In aggiunta alle grandi città di Mosca e San Pietroburgo, esistono altre aree di concentrazione di industrie importanti come il petrolio, il gas, la metallurgia, il settore chimico. Tali aree includono Volograd, Samara, Ekaterinburg, Krasnoyarsk, Tyumen, Vladivostok. Oltre alla Federazione Russa, i tagiki emigrano anche verso altri Paesi dell’Asia Centrale, anchese in misura minore. L’Uzbekistan risulta essere un’altra destinazione abbastanza gettonata: i tagiki si trovano a Tashkent, Samarcanda e Fergana. Tuttavia, dal 2001 le relazioni fra Uzbekistan e Tagikistan si sono via via deteriorate, arrivando al collocamento di tredici mine sul confine fra i Paesi e l’introduzione da parte dell’Uzbekistan di un regime di visti per i migranti tagiki.
La definizione di “immigrazione irregolare” è piuttosto ambigua e tende a coprire una serie di diverse attività tra cui il traffico di esseri umani. A causa di tale ambiguità, il numero degli immigrati irregolari è del tutto arbitrario. Per i tagiki, al fine di non ottenere lo status di “irregolare” sul territorio russo, è richiesto di registrarsi presso il Ministero degli Interni entro un determinato periodo di tempo, tre giorni, e l’incapacità di farlo automaticamente li rende irregolari. C’è da dire che l’iscrizione entro tale termine è estremamente difficile e spesso impossibile.
L’ansia che opprime i cittadini russi deriva principalmente dalla paura di poter essere marginalizzati nel mercato del lavoro, per non parlare del continuo afflussi di immigrati dell’ex Unione Sovietica. L’espressione russa usata più frequentemente dai politici e daimedia russi è “Prokhodnoi dvor”: “My – ne peokhodnoi dvor”oppure “Rossija – ne prokhodnoi dvor” , cioè: la Russia non è una “stazione di passaggio”. L’idea che il Paese potrebbe essere trasformato in un luogo senza legge da parte degli immigrati e dei politici incompetenti si percepisce dai messaggi proposti dai media.
Quest’ennesimo episodio, così come quelli che l’hanno preceduto, portano in realtà ad un’ unica formulazione: l’attuale legislazione russa sulle migrazioni non ha prodotto alcun risultato positivo dato che il Paese dipende fortemente dal lavoro dei migranti per lo sviluppo della sua economia e sta ancora facendo troppo poco per adottare appropriate politiche immigratorie.
* Eleonora Ambrosi è Dottoressa in Scienze Linguistiche (Università Cattolica)
1 OECD, Sopemi Russian Federation, 20112 World Bank, 2011