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La Russia nell’attuale sistema delle relazioni internazionali: intervista al Professore Ennio Di Nolfo

Creato il 10 febbraio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Maria Serra 

Con l’avvicinarsi delle prossime elezioni presidenziali in Russia, che si svolgeranno il prossimo 4 marzo, si moltiplicano le riflessioni sul futuro del Paese, oggi al centro dell’attenzione internazionale non solo a causa del possibile esito elettorale che fa seguito alle polemiche scatenate dopo il recente rinnovo della Duma di Stato, ma anche a causa della posizione di intransigenza dimostrata in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla questione siriana. In un momento delicato per gli equilibri interni e per quelli internazionali, ciò che sembra certo è la riconferma di Vladimir Putin al Cremlino: il prosieguo della sfida alla modernizzazione resta la questione chiave intorno a cui gireranno le scelte di politica interna e di politica estera di un Paese che punta a riconquistare il prestigio e l’influenza internazionale perse negli anni successivi alla disgregazione dell’Unione Sovietica.La Russia nell’attuale sistema delle relazioni internazionali: intervista al Professore Ennio Di NolfoMaria Serra ha parlato del passato, del presente e del futuro della Russia con il Professor Ennio Di Nolfo, Professore emerito in Storia delle Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Universitàdi Firenze. Il Professore Di Nolfo, già docente presso numerosi altri Atenei in Italia e all’estero e Direttore dell’Istituto di ricerche e studi internazionali, è autore di numerosi saggi e pubblicazioni, tra cui “Storia delle relazioni internazionali, 1918-1999” e “Dagli Imperi militari agli Imperi tecnologici. La politica internazionale nel XX secolo”.Dalla Glasnost all’enigmatica eradi Putin. Dopo il 1989, la Russia è un Paese caratterizzato da complesse dinamiche economiche, sociali e politiche. Professor Di Nolfo, come pensa sia cambiata la Grande Madre Russia negli ultimi vent’anni? E come il suo rapporto con l’Occidente?Nel momento della caduta di Eltsin la Russia si trovava in una fase di transizione quanto mai complessa. Eltsin aveva impostato un regime oscillante tra ultraliberismo e controlli oligarchici, senza che fosse percettibile un vero programma di sviluppo. Il blocco della vita economica seguito alla fine del sistema della programmazione centralizzata aveva provocato una sorta di paralisi della quale solo alcuni oligarchi avevano tratto profitto. All’eccesso di controllo era subentrato una specie di regime anarchico che Eltsin non riusciva a governare. L’ascesa di Putin come personalità legata al vecchio sistema ma ora ispirata dalla volontà di ristabilire regole certe per il funzionamento dello stato rendeva possibile una cauta ripresa, in pochi anni divenuta ben evidente. Se nel 1999 il PIL pro-capite era stato di 4200 dollari all’anno, nel 2008 esso era salito a 16.000 dollari. A questo punto la crescita russa risentiva della crisi globale e dell’arretratezza tecnologica. Tra il 2008 e il 2010 si è verificata una lenta decrescita del prodotto pro-capite e ciò contribuisce a spiegare la nascita di una chiara, anche se minoritaria, opposizione al regime di Putin/Medvedev (benché il secondo abbia cercato di separare la propria immagine). Tuttavia è evidente che il sistema industriale, scolastico, agricolo, infrastrutturale della Russia attuale sia notevolmente migliorato. Ciò non significa che il Paese abbia superato i problemi di arretratezza che ha ereditato dal passato ma significa che l’ordine interno, assicurato dai metodi semi-polizieschi usati da Putin, riesce a rimettere in movimento ciò che prima era paralizzato. Credo che sia errato immaginare che la Russia possa superare il differenziale che la separa dall’Europa occidentale in breve tempo. Ma penso che entro qualche lustro il processo di ripresa e modernizzazione possano essere molto ben avviati, purché non vi siano rivolgimenti interni e crisi internazionali. In tal senso e quali che siano le polemiche, nessun governante russo dovrebbe volere una politica estera aggressiva. Certo non una presenza passiva sulla scena globale, ma più sul piano declaratorio che su quello effettivo.Raccogliendo la provocazione del leader nazionalista Vladimir Zhirinovsky, a Putin non dispiacerebbe l’abolizione della NATO. Pur se realisticamente impossibile, è certamente un’affermazione che lascia riflettere sui rapporti con Stati Uniti ed Europa. Non trova ci sia un’incongruenza con l’atteggiamento dimostrato nel corso del Vertice di Lisbona del 2010 in cui Mosca stessa, accogliendo la revisione del Concetto Strategico, aveva rilanciato l’idea di una partnership con l’Alleanza Atlantica per affrontare le sfide del nuovo Secolo?I rapporti tra Russia e Unione Europea sono uno dei grandi temi dell’avvenire. La Russia europea è profondamente legata alla cultura e all’economia dell’Occidente. Basta pensare agli interscambi (architettura, letteratura, musica, filosofia, tecnologia) avvenuti durante i secoli XVII-XX-XXI per avernela percezione. Tuttavia si deve avvertire il fatto che la Russia non europea è remota dal modo di essere occidentale. Si pone il problema della sopravvivenza di uno Stato così vasto. Con ogni probabilità la Russia europea trarrebbe vantaggio politico (ma danno dal punto di vista della disponibilità delle materie prime) da un misurato distacco dalla Siberia e dai territori caucasici che essa controlla. L’idea che una Russia europea si integri nel resto d’Europa appare ricca di spunti di riflessione ma non mi pare attuale. E’ ben vero che l’Unione dominata dalla Germania trarrebbe vantaggi politici dall’esistenza di un altro grande Stato che controbilancerebbe la potenza germanica. Ma ciò riproporrebbe il tema antico del ruolo della Polonia (un Paese oggi divenut ouna forte potenza industriale) tra i due giganti vicini e farebbe rinascere controversie sopite. Può esser vero che a Putin non dispiaccia lo scioglimento della NATO, ma questo è un approccio irrealistico. La NATO ha oggi troppe funzioni politiche perché ora si metta in primo piano la sua funzione di alleanza militare stile Guerra Fredda. Mi pare plausibile invece un approccio del tipo partnership, poiché questo non porrebbe problemi istituzionali né questioni di integrazione economica oggi inattuali. Tuttavia questo tema è legato al rapporto tra UE e Stati Uniti. Nei decenni fino alla crisi economica del 2007 eseguenti, questo rapporto si era fortemente deteriorato e non si può escludere che una mancata rielezione di Obama riapra il tema del conflitto tra dollaro e euro come moneta di riserva mondiale. Ma questo tema è oggi secondario rispetto al fatto che l’euro è in crisi e l’ipotesi che esso sostituisca il dollaro come parametro delle riserve monetarie mondiali non è vero simile né lo sarà per diversi anni.Nel corso del 2011 si sono svolte in Russia sia le elezioni locali, sia quelle parlamentari, che hanno visto – sepur in calo di consensi – la conferma della leadership di Russia Unita. Le polemiche seguite alle consultazioni elettorali, tuttavia, sollevano riflessioni sullo stato della democrazia nel Paese e dei suoi istituti. Non volendo rintracciare nella “Primavera Araba” le cause di questo”risveglio” popolare, è possibile pensare che si tratti di una sorta di completamento della rivoluzione iniziata dalla metà degli anni ’80?Lo stato della democrazia in Russia è legato al tema della modernizzazione. Sinché questa non sarà compiuta, un vero regime democratico sarà impossibile. Il semi-autoritarismo attuale diviene dunque la formula intermedia che, salvo ritorni al passato, può far avanzare il sistema russo a quello dei Paesi a democrazia parlamentare effettiva. Tuttavia la vitalità che in alcuni centri il dibattito politico riesce a conquistare dovrebbe essere una garanzia rispetto ai pericoli di un ritorno al passato. In fondo il regime comunista era un metodo, rivelatosi fallimentare, per forzare una rapida modernizzazione. Negli ultimi decenni i Russi dovrebbero essersi compenetrati della difficoltà di forzare i tempi per una trasformazione. Né le primavere arabe possono servire da esempio per una popolazione slava ben più progredita in termini organizzativi, giuridici e economici.Il progetto di Unione euroasiatica – avviato con Kazakhstan e Bielorussia – potrebbe aiutare alla ricostruzione di un sentimento comune dei popoli che facevano parte dell’Unione Sovietica? Si può parlare di un nuovo Comecon in grado di porsi come interlocutore concorrente a NATO e ad Unione Europea nelle relazioni politiche ed economiche?Il ritorno verso una specie di Unione Sovietica corrisponderebbe, a mio parere, una contraddizione rispetto al principio di nazionalità e di non interferenza che i Russi hanno dato alla loro politica estera. Le velleità che serpeggiano a tale proposito sono poco realistiche, anche se possono contare sull’inefficienza dei governi dell’Asia Centrale.E dunque come pensa si configureranno i rapporti con Cina ed ex Stati satellite?Tra la Cina e la Russia esistono più motivi di contrasto che motivi di avvicinamento. Il confine tre i due Stati è sempre all’origine del divario. La diversità dei metodi di modernizzazione (semi-libero in Russia, rigidamente controllato in Cina) tende ad allontanare i due soggetti. Questioni apparentemente minori (futuro della Corea del Nord, presenza Russia vicino alla Manciuria, sbocco verso il Pacifico) possono diventare motivi di scontro più che di vicinanza. Inoltre l’azione internazionale della Cina è, specialmente in Africa, assai più dinamica di quella russa. Nonostante le analogie verso il Medio Oriente, vedo più motivi di dissenso che di effettivo avvicinamento, nonostante gli accordi formalmente intrapresi.Ancora una volta in questi giorni la Russia ha dimostrato di detenere un’arma economica e politica fondamentale: il fattore energetico. Quanto riuscirà questo ad influenzare le scelte politiche dell’Unione Europea e, più in generale, dell’Occidente?Le risorse energetiche sono un’arma formidabile ma la Russia non è in grado di sfruttarle se non in casi di assoluta emergenza. E’ poi mia convinzione che entro pochi anni si troveranno risorse tecnologiche capaci di superare le strozzature attuali.Infine una domanda che esula un po’dal contesto strettamente russo. A vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, insomma, la Russia sembra aver ritrovato una capacità contrattuale non indifferente, come ha dimostrato la scorsa settimana anche il veto in seno al Consiglio di Sicurezza sulla questione siriana. Le difficoltà delle Nazioni Unite riflettono evidentemente la necessità ora più che mai di una seria riforma dell’organizzazione. Eppure la storia insegna che la revisione del sistema di sicurezza collettivo avviene dopo una grande guerra. Ragionando certamente per paradossi, potrebbe lo scenario siriano – che da crisi regionale sta sempre più assumendo i caratteri di una crisi internazionale – rappresentare un momento di rottura degli equilibri (uni-multipolari) creatisi dopo la Guerra Fredda ed innescare un conflitto su larga scala?Sebbene la Russia sia ritornata a essere un attore di primo piano nel sistema internazionale, la sua attività è condizionata dal fatto che frattanto il sistema internazionale è cambiato. Non ha più senso parlare di globalizzazione mentre acquista importanza il processo di regionalizzazione dei sistemi politici. Credo che si vada vero la nascita di un sistema globale caratterizzato dalla presenza di alcuni grandi soggetti, magari diseguali, ma tali da suddividersi il controllo globale. Penso al perdurare per almeno 25-3 0anni del primato americano; immagino una grande crescita della Cina, dell’India, dell’America latina, dell’Europa e dell’Africa. Il problema della Russia è che essa non appartiene a nessuno di questi soggetti ma che, da sola, non è in grado di avere un ruolo globale e ha un peso circoscritto, a meno che i suoi dirigenti non optino per legami più stretti con l’Unione europea o con la Cina o con gli Stati Uniti. Oggi come oggi, sono chiusi in un contesto geopolitico che delimita la loro influenza. La crisi siriana non è così importante da provocare insanabili rotture. Se dovesse divenire un conflitto, verrebbe risolta dall’intervento della Turchia con l’appoggio americano e quello (meno visibile) di Israele.* Maria Serra è Dottoressa in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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