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La saliva di Barney

Creato il 23 gennaio 2011 da Paperoga

La saliva di BarneyCon il solito timore mi sono avvicinato, quatto quatto, alla visione di un film tratto da un libro che avevo letto e apprezzato. La versione di Barney è un libro denso, difficile a leggersi sopratutto all’inizio, confuso da aneddoti continui che la memoria del protagonista fa sgorgare fuori in modo incerto. Farne un film significa fatalmente ridurne la trama, in qualsiasi modo lo si voglia riscrivere e girare. E questo non sempre va bene. Forse dovrei astenermi, mi sono detto, lasciar perdere e tenere per me il ricordo del libro.

Ma l’uragano Sunofyork si è abbattuto su questa mia decisione: voleva per forza farsi del male e coinvolgere me in questa drammatica scelta di rovinare il ricordo del libro e buttare nel cesso 8 euro di biglietto. La conseguenza è stata che ho passato in rassegna i cinema locali, e da bravo trentenne 2.0 ho acquistato i biglietti online.

Funziona così: scelgo i posti, pago con carta di credito e attendo conferma via mail, che arriva, avvisandomi che il ritiro dei biglietti avverrà in loco, utilizzando le loro avanzatissime macchinette self-service.

Bene. Ci si incammina lemme lemme verso il multisala a meno 2 gradi, rigorosamente a piedi come piace a me. Arrivati, è un luogo stracolmo di 13-15enni in libera e chiassosa uscita, spedisco Sunofyork a vedere in quali locali, adiacenti al cinema, poter andare a mangiare, mentre io mi occupo del ritiro dei biglietti. La macchinetta mi chiede di inserire la carta di credito per il ritiro. Io penso adesso mi incula e qualcuno spenderà tra due ore i miei soldi in quel di Bengasi o del Cairo. Comunque la inserisco e tempo mezzo secondo mi sputa letteralmente indietro i due biglietti, talmente forte che i biglietti cadono per terra. Io con la carta di credito ancora in mano vado a raccoglierli per terra ma quando li prendo sento qualcosa che non va al tatto. Qualcosa di troppo umido e colloso per dei biglietti appena stampati. Li tengo per la punta delle dita, inginocchiato per terra, e non riesco a capire perchè i biglietti che ho in mano siano bagnati e appicicaticci e pieni di bolle come di sapone.

Poi guardo a fianco per terra ed è l’orrore. Una bella scatarra bianca è stata sputata da un merdosissimo uomo/lama. E i miei biglietti, sparati dalla cazzo di macchinetta, sono planati dritti dritti su quella pozza. Ed io gli ho raccolti. Sono paralizzato dalla nausea. Ho voglia di gridare come il ladro in Mamma ho perso l’aereo quando si ritrova il ragno in faccia. Mi rialzo, tengo i biglietti come si terrebbe un piccione morto o una busta piena di feci. Mi guardo attorno, trovo un bar, entro dentro strappo un tovagliolo dal bancone e comincio ad asciugare i biglietti, tamponando la saliva e sventolandoli per far asciugare la colla scatarrosa. Sunofyork mi ritrova così, che ripulisco i biglietti come una ferita, e dopo che le ho raccontato tutto ha un conato di vomito.

Entriamo in pizzeria co sti biglietti avvolti nel tovagliolo, e siamo capaci di mangiare una pizza con quella cartapesta raggrumata a fianco, non prima che io mi sia precipitato nel bagno a farmi quasi una doccia. Paghiamo, usciamo e andiamo al cinema co sti biglietti in mano tra le punta delle dita, e consegnamo alle maschere ignare quei due pezzi di carta raggrumiti, tolti dal tovagliolo come fossero scarti di pesce.

Ed entriamo. Del film che dire: ben fatto. Riduzione intelligente, attore straordinario, alcuni momenti di ottimo cinema, in generale un paio d’ore che passano senza stancare. Rendere su grande schermo il carattere di Barney Panovsky, la sua sgradevolezza, la sua scorrettezza, la sua insopportabile misantropia, era quasi impossibile. Quindi chi ha letto il libro si sarà accontentato, anche perchè la parte del Barney malato di Alzheimer è toccante e ben scritta.

Se non fosse stato per quel contatto ravvicinato con lo sputo merdoso di qualche sbarbatello testa di cazzo, avrei scritto qualcosa in più sul film e qualcosa in meno sulla saliva. Ma c’era troppa colla, su quei biglietti, per rimuovere tutto e continuare la propria vita come se niente fosse.

 



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