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la sarde in saor

Da Ghezzo Claudio @GhezzoClaudio

  la sarde in saorGrillo, sentì, fio mio, tolè la sporteletta;
Voggio che andè da bravo a farme una spesetta.
In pescaria ghe xe del pesce in quantità;
M’ha dito siora Catte, che i lo dà a bon marcà.
Un poche de sardelle vorria mandar a tor,
Per cusinarle subito, e metterle in saor.”
 

(Carlo Goldoni, da “Le donne de casa soa”)

La nascita delle ricette affonda in una storia che è spesso difficile da ricostruire con precisione; talvolta avviene per caso, talvolta per l’intuizione gustativa di qualche eletto; se poi l’intuizione o il caso colgono nel segno e riescono ad individuare una preparazione che abbini il gusto all’esperienza la ricetta si nutre di pratica quotidiana e diventa pietra angolare delle successive esperienze gastronomiche.

Sembrano forse parole grosse, ma è proprio così: il “saor” è un vero e proprio atto costitutivo della vita civile veneziana, che sia nobile o popolare, e la citazione tratta dal Goldoni è solo una tra le tante possibili che si possono “pescare” nei libri, non di sola cucina, per dirci della millenaria Repubblica Serenissima e della Venezia di oggi.

La versione veneziana detta “saor” (sapore) si affianca infatti a molte versioni simili elaborate autonomamente (il “carpione” dei laghi di Lombardia, lo “scapece” del mezzogiorno d’Italia, dallo spagnolo “escabeche”, il “cisame”, etc. etc.), accomunate dalla basilare idea di trattare il pesce (o le verdure) con aceto, per esaltarne le caratteristiche e allungarne la conservazione; e anche, secondo le antiche prescrizioni della dietetica antica, per compensarne la qualità “fredda” e renderlo più digeribile.

Ma il saor presenta il segno chiaro ed evidente della venezianità sotto molti punti di vista: la cipolla, che dagli orti delle isole lagunari o di Chioggia, imbiondita e resa dolce da una gentile stufatura, caratterizza con dolcezza e aroma inconfondibile più di una preparazione tipica della nostra cucina (due tra tutte: il fegato di vitello “alla veneziana” e il baccalà alla cappuccina); le spezie, con uva “sultanina” e pinoli, che ricordano la vocazione di Venezia ad essere porta per l’oriente, e sottolineano il carattere gentile e il “garbo” che abita l’anima di questa città; ma anche la semplicità nella preparazione e la sobrietà d’uso degli ingredienti, che dicono della praticità veneziana, fonte di grandi fortune nei commerci.

La preparazione del saor quindi si “nutre” dell’ambiente in cui nasce, impregnandosene come le sarde fritte del loro garbato condimento, fino a farsi nella versione popolare decisa e rude, intensa di cipolla ed aceto di vino, e nella versione più nobile ed elitaria ingentilita e profumata di preziose spezie e aromi.

La fortuna del saor si fonda su molte ragioni, ma una certamente ha a che fare con la cipolla, le cui proprietà digestive ed antisettiche, ora facilmente certificabili dalla scienza medica, sono note da sempre alla cultura popolare. E’ oggi noto infatti che la cipolla, molto più di tante altre spezie e ingredienti, è in grado di aggredire ed uccidere i batteri che portano al deterioramento, prevenendo la qualità dei cibi ma soprattutto le possibili intossicazioni alimentari.

Il saor ha origini antiche. “Cibo di marinai e scorta di terraferma”, lo definisce Maffioli rivendicando la sua origine come modo per conservare il pesce durante i lunghi viaggi per mare: lo cita il “Libro per cuoco”, ricettario di anonimo veneto del 1300, come una “salsa agrodolce per il pesce”. Goldoni lo richiama a più riprese nelle sue commedie ed è ancora oggi tradizione viva, piatto irrinunciabile e rituale per la grande festa del Redentore che si tiene a Venezia il terzo sabato di luglio, da gustare sotto i “foghi” che illuminano il cielo sopra al bacino di San Marco.

Quasi tutto può essere messo “in saor”, una volta fritto in buon olio, ma alcuni tipi di pesce meglio vi si prestano: certamente le sarde,  che sembrano trovare in questo accompagnamento la loro principale vocazione, legando così dolcezza e profumi alla loro carne asciutta e saporita; ottimi e tradizionali anche gli “sfogieti” (sogliole piccole) o i “passarini” di laguna, ma in generale va bene tutto il pesce considerato (ingiustamente) “povero” e di piccola taglia: il saor ha vocazione di “recupero”, tanto che una frittura rimasta alla sera trova nuova e sorprendente vitalità se coperta di saor e servita in tavola il giorno dopo; ma a testimonianza di una grande versatilità, vanno provate in saor anche le moleche fritte, quintessenza del mangiare prezioso al giorno d’oggi (non certo una volta, però).

Ancora, ortaggi e verdure: zucca o zucchine in saor possono diventare il più corretto accompagnamento al pesce così preparato.

Chiudiamo con la ricetta ed una raccomandazione finale, per un saor fatto a regola d’arte: si parte con la cipolla bianca tagliata sottile, pari circa alla metà del peso del pesce, da fare appassire e imbiondire al fuoco; si aggiungono aceto di vino e/o vino bianco (circa il peso delle cipolle), foglia d’alloro, pinoli tostati e uvetta; si dispone in una terrina uno strato di sarde infarinate e fritte e si copre con il “saor” a strati.

E la raccomandazione finale? Per acquistare bene le sarde, ovviamente.. ma ce la facciamo dare ancora da Carlo Goldoni, nostro portavoce ufficiale del “saor”:

“Comprème co sti bezzi sie grossi de sardelle,
Ma vardè che i ve lassa zernir delle più belle.
Quella che xe de sora, xe sempre la più grossa,
Quando che le xe stracche, le gh’ha la testa rossa.
Paghèle quel che i altri le paga in pescaria.
E po fèvene dar quattro de soravia.”

Buon appetito!!!

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