La scalata
di Andrea Maurici
Jacob, immobile sopra un masso che dominava la vallata, annusava l’aria come un lupo.
Quando era piccolo veniva mandato da sua mamma giù in paese, all’insaputa del padre, a comprare dolci, giochi e riviste per bambini. Conosceva a memoria quei sentieri che, passando in mezzo alla fitta boscaglia, sotto la strada sterrata, dimezzavano il cammino. Il sudore gli scendeva sugli occhi facendoglieli bruciare.
Ora, come allora, il terrore per un eventuale incontro con il padre lo terrorizzava. Doveva agire in fretta, essere lupo, essere falco e trovare velocemente Fiocco di Neve.
Jacob aveva l’abitudine di chiamare così tutti i cuccioli di capra, che appena nati assomigliavano indistintamente a soffici batuffoli bianchi, fiocchi di neve. Lo scampanellio si faceva ora più forte ora più tenue, ma non poteva né chiamarla con i lunghi fischi con cui chiamava il gregge, né tanto meno farsi sentire. Una capra sola e spaventata nel cuore della notte sarebbe stata capace di attraversare le alpi, pur di non farsi trovare.
Attraversò a zig zag tutti i posti che, per logica, Fiocco di Neve poteva conoscere a memoria. Dopo aver percorso per un lungo tratto il torrente saltando sulle pietre come un gatto, arrivò al laghetto e, stremato, immerse la testa sotto la cascata. L’acqua era ancora fredda.
Durante l’estate veniva sempre qui a fare bere le capre e a fare i tuffi. Era uno dei posti che lo rilassavano di più, che lo facevano sentire più bambino; normale, nudo, senza quella puzza di bestia conficcata tra le narici. Lo specchio dell’acqua rifletteva la luna e Jacob ne rimase come ipnotizzato per alcuni secondi. Fu allora che sentì lo scampanellare di Fiocco di Neve chiaramente,vicino o quasi. Balzò in piedi isolando il rumore dell’acqua e allargando i padiglioni auricolari al massimo, dato che la poca luce lunare non permetteva di vedere in mezzo alla boscaglia.
“Dove sei…” ripeteva tra sé, immobile come un geco su un muro. Silenzio. Non si sentiva più nulla. Jacob restò con la testa inclinata qualche minuto guardando nel vuoto, quasi a percorrere solo con il pensiero tutti gli anfratti della valle, come un cane da caccia in attesa di una mossa da parte della preda. A quel punto capì. Con un movimento impercettibile della testa, ruotò gli occhi in su e la vide. Lo scampanellio non veniva dal fitto della boscaglia, ma da una cinquantina di metri più in alto. “Figlia di cagna” si fece scappare Jacob.
“Bheeee” rispose Fiocco di Neve. Per raggiungere la strada, Jacob avrebbe dovuto scalare un muro di pietre alto una trentina di metri, che la pioggia e la vicinanza del fiume avevano colorato di un verdastro alga. Ma non aveva alternative, perché se fosse ritornato sui suoi passi fino al ponte di legno, probabilmente la capretta si sarebbe ulteriormente allontanata.
Si sfilò le scarpe e se le legò in vita, mettendovi dentro due manciate di sabbia di fiume che avrebbe usato come fanno gli alpinisti con la magnesite durante l’arrampicata. Fece un lungo respiro e partì. Le unghie grattavano via il verdastro scivoloso prima di farvi attrito e le dita dei piedi fungevano da ramponi per darsi la spinta verso l’alto. Nonostante la sua acerba età, era dotato di una forza fuori dal comune. “Un fascio di nervi d’acciaio” gli diceva la sua mamma, vedendogli sollevare quelle caprette due volte più grande di lui.
Fiocco di Neve se ne stava ancora lì, ad osservare l’impresa del pastorello mentre lui alzava regolarmente gli occhi per controllarne la posizione, quando ad un tratto entrambi furono costretti a voltarsi all’unisono verso il fondovalle. Una colonna di fumo si alzava impetuosa, come una tromba d’aria in orizzontale, risalendo la strada lungo la collina. Era l’inconfondibile rumore della furgonetta di suo padre. Jacob, terrorizzato, iniziò a urlare isterico, e più tentava di salire velocemente, più precipitava all’indietro. Fiocco di Neve, avvertito il pericolo, non scappò, ma inverosimilmente iniziò a girare su se stessa velocissima, quasi a mordersi la codina, tirando degli urli da neonato disperato. Appeso alla parete di roccia, Jacob raccolse tutta la sua concentrazione. I piedi iniziarono a sanguinare e due unghie delle mani saltarono di netto, provocandogli un dolore lancinante. Il motore, lanciato a tutta velocità, rimbombava nella valle. Gli sembrava già di sentire il puzzo dell’alcol e quella dannata musica che ascoltava a tutto volume quando era ubriaco. Musica del suo paese, il Maghreb.
Ben Alì Oznah Lafuniì era il sesto di quindici figli di un pastore berbero di nome Mohamed. Crebbe in fretta il giovane Oznah e all’età di sedici anni fu spedito dal padre a Marrakesch, a cercare un lavoro e una donna per farsi una famiglia. La pastorizia era in crisi e le bocche da sfamare erano troppe. Trovò lavoro al porto, come scaricatore di carbone presso una compagnia marittima francese. Guadagnava una miseria e dormiva per la strada, sporco e perennemente affamato. Conobbe tutti gli ambienti malfamati e i traffici illeciti. Una notte, durante lo scarico di una stiva di una barca in partenza per Marsiglia, decise che quello era il momento di cambiare la propria vita. Si nascose tra i mucchi di carbone e partì.
Jacob infilò le dita nella scarpa destra e ne estrasse una manciata di sabbia mista a sangue, se la strofinò tra le mani e salì ancora. Gli mancava veramente poco per raggiungere la strada, ma una caduta da quella altezza gli sarebbe stata fatale. Doveva riuscire a recuperare Fiocco di Neve prima del passaggio del padre e, una volta rituffatosi nella fitta boscaglia, avrebbe dovuto raggiungere il gregge il piu velocemente possibile, se non voleva che il piccolo Jona fosse nuovamente esposto alle violenze del padre.
Si arrampicò facendo perno su delle sterpaglie e si attaccò sospeso nel vuoto ad un pezzo di albero amputato alla base, strisciò sotto al guardrail arrugginito e, ormai esausto, raggiunse la strada. Tutto intorno c’era un silenzio irreale. Improvvisamente, non sentiva più il rombo assordante della furgonetta, non ne intravedeva i fari, ma era una calma apparente, che non lo convinceva. Se il padre fosse già passato, ci sarebbe stato ancora nell’aria la nube di polvere. Fiocco di Neve stava carponi dall’altra parte della strada immobile, doveva essere ferita ad una zampa perché se la leccava di continuo. Gli venne voglia di prenderla per il collo e scaraventarla giù dalla scarpata che aveva appena scalato per raggiungerla, ma era troppo buono per fare del male a qualcuno, e troppo stanco e ferito per provare rabbia.
La luna sparì dietro il fitto della boscaglia, oscurando di colpo la notte. Improvvisamente, da dietro una curva uscì la furgonetta, che Jacob riconobbe a malapena per la velocità. Erano a meno di cinque metri uno dall’altro. Fiocco di Neve urlò a Jacob di togliersi da mezzo alla strada ma ormai era troppo tardi per tuffarsi da un lato, troppo ferito per chiedere ai piedi un altro sforzo. Fu allora che Oznah si rese conto e mise a fuoco che quel gomitolo che stava immobile davanti a lui, in mezzo alla strada, oltre i fari, era suo figlio Jacob. Perchè si era messo in quel posto, dietro a quella curva così pericolosa? Poi vide Fiocco di Neve sul ciglio, e capì tutto, ma era troppo tardi. Diede un piccolo colpo di sterzo, ma l’alta velocità e lo sterrato lo tramutarono in un testa coda irrecuperabile. L’auto rosso-geranio sfondò la balaustra e precipitò nel vuoto, in silenzio. Un fragoroso rumore di lamiere contorte ne sancirono l’arrivo cento metri più sotto.
Jacob si pisciò addosso e zoppicando si sedette sul bordo del precipizio, e iniziò a piangere, mentre la furgonetta capovolta e accartocciata prendeva lentamente fuoco. La macchina scura che arrivò qualche minuto dopo, si fermò. Degli uomini vestiti di nero rimasero a guardare il falò dall’alto senza dire una parola.
Jacob era già nella boscaglia.