L’anno scorso, in questo stesso periodo, La Grande Bellezza di Sorrentino, quasi ignorato in patria nei mesi della sua distribuzione, intraprendeva l’ultima volata verso i futuri successi ai Golden Globe del 12 gennaio e agli Academy Awards di 2 mesi dopo.
Alle soglie del 2015 l’Italia ci riprova, questa volta con Paolo Virzì e il suo Capitale Umano dell’ “Avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto”.
In questi giorni il regista toscano, che si trova nella Grande Mela, gongola per la sua candidatura ai premi Oscar 2015 come miglior film straniero. La sfida sarà resistere alla scrematura fra gli 82 paesi in gara.
“Non siamo più un Paese spensierato, bensì un Paese moderno, proprio come voi americani” ha dichiarato il regista, che poi rifiuta l’etichetta alla sua opera di “anti Dolce Vita”: “Questo film in realtà percorre più classi sociali, non è solo sull’alta borghesia, ma anche sulla classe media e sul “sottoproletariato” dove si proiettano le stesse dinamiche di oppressione dei più giovani. Ma mi rifiuto di considerarlo un anti Dolce Vita anche se senza dubbio racconta un lato sinistro che è nascosto dietro un certo benessere”.
Virzì torna a New York dopo 7 mesi, quando nell’aprile scorso il film venne presentato al Tribeca film festival, evento cinematografico inaugurato dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Festival “giovane” dunque, ma di notevole prestigio, ottima vetrina all’interno del mercato americano.
“Il Capitale Umano” – tratto dal romanzo omonimo di Stephen Amidon – piace, e non poco, in giro per il mondo: il 16 gennaio comincerà l’avventura nelle sale degli Stati Uniti, distribuito dalla Film Movement.
“Sono a New York – continua Virzì – per fare promozione sia per gli Academy Awards che per la Film Movement. Il film è in sala in 45 paesi e l’India vuole persino acquistare i diritti per un remake”.
Senza cadere in dannati spoiler – per chi ancora non lo avesse visto – la visione è altamente consigliata e i motivi sono molteplici.
La suddivisione della storia in capitoli fonde magistralmente uno sfumato thriller con una buona dose di sarcasmo, rappresentazione e critica sociale. Il tutto viene poi condito con la buona e una ricorrente drammaticità che i critici hanno definito “virziniana”.
In secondo luogo, l’interpretazione degli attori è notevole: da Fabrizio Bentivoglio, nei panni dell’ambiguo e stereotipato imprenditore immobiliare brianzolo, a Fabrizio Gifuni, “er romano de Roma”, tramutato in uno squalo della finanza della Milano bene; fra le donne, spiccano Valeria Golino, eroina e psicologa del proletariato, e sopratutto la commovente Valeria Bruni Tedeschi, sorella di Carla e ottima nel rendere unico un personaggio, di per sè stereotipato, quale la moglie depressa, in cerca distimoli, attrice fallita, con un rapporto conflittuale con sia il marito che il figlio. Ruolo di sostanza anche per Luigi Lo Cascio nei panni dell’intellettuale idealista, eterno sognatore, che interpreta benissimo. Infine lei, Matilde Gioli: 25 anni, una spiazzante bellezza, osannata dalla critica e vincitrice di diversi premi per l’esordiente interpretazione nei panni della ribelle, anticonformista e crocerossina figlia di Bentivoglio. Di lei potremo sentire parlare in futuro.
La regia di Paolo Virzì appare ottima, intelligente e ricercata, ma allo stesso tempo furba e sagace.
“Il segreto del successo de Il Capitale Umano? Tocca temi universali che riguardano il cosiddetto mondo privilegiato, l’infelicità che si nasconde sotto il benessere, ma non si fanno lezioni di moralismo, il messaggio arriva al pubblico attraverso la trama di un thriller”.
Queste le parole di Virzì mentre risponde a chi cerca di far luce su questo inatteso succeso.
Interessante il fatto che il Il Capitale Umano, pur con le dovute differenze, abbia molti punti in comune con La Grande Bellezza, diretto da Paolo Sorrentino e vincitore della statuetta come miglior film straniero all’ultima edizione degli Oscar: “Siamo più fratelli di quanto possa sembrare”. Ha concluso Virzì.
Le similitudine fra i due film va ricercata più nella forma che nella sostanza. Senza scavare troppo a fondo, la critica – a tratti comica – della Capitale da una parte e Milano dall’altra è evidente. Ma per entrambi i casi, il degrado delle due classi sociali prese in considerazione, quella intellettuale-borghese di Sorrentino e quella imprenditoriale-finanziaria di Virzì, fanno solo da sfondo al nucleo decadente che le due pellicole vogliono portare in scena.
L’anima della Gran Bellezza, il suo esoscheletro, il filo conduttore fra i fotogrammi che la compongono è senza dubbio l’amore, nelle sue più svariate manifestazioni. Dal canto suo “Il Capitale Umano” sfrutta il suo contesto, accompagnando l’attenzione dello spettatore verso i difetti etici e sociali di una non perfetta e sbeffeggiata Brianza, per andare più a fondo, analizzando le dinamiche ambivalenti e ambigue di diversi prototipi di nuclei familiari, tema prediletto da Virzì. Ci piace inoltre, ma è un’opinione, accostare Romano (di nome e di fatto), il personaggio incarnato da Carlo Verdone nel Film di Sorrentino all’intellettuale e drammaturgo Donato (Luigi Lo Cascio) del Capitale Umano. Entrambi romantici, affetti da una forte sindrome di Peter Pan, astratti e innamorati della cultura alta, fino al punto della catastrofica catarsi personale.
Senza dubbio (e sviolinate a parte), Il Capitale Umano è da considerare fra i lavori migliori del regista Paolo Virzì, paragonabile ad altre alcune delle sue precedenti ottime pellicole quali Caterina va in città, Tutta la vita davanti, My names is Tanino e Ovosodo.
Impossibile non parlare del romanzo che si è fatto fonte di questo fortunato caso di eccellenza del cinema italiano. Nel 2004 lo scrittore e critico cinematografico Stephen Amidon, classe ’59, pubblicò Human Capital e fin da subito il romanzo piacque assai alla critica; il Washington Post lo classificò come uno dei 5 migliori di quell’anno. Quattro anni dopo, Mondadori starà con entusiasmo distribuendo “Capitale Umano” in Italia.
La fitta collaborazione fra Virzì e Amidon nelle fasi di preparazioni del film è nota. L’autore infatti conosceva il regista toscano dai tempi di Caterina in the big city (Caterina va in città), e rimase alquanto entusiasta quando fu contattato per adattare la sua opera al grande schermo.
Amidon lesse più volte le sceneggiature del Capitale Umano, scritte a 6 mani dallo stesso Virzì, Francesco Bruni e Francesco Piccolo. A lavoro ultimato, quando cioè i sobborghi del Connecticut mutarono ufficialmente nella nebbiosa Brianza, a detta di Virzì “Amidon vide il montaggio, e apparve sinceramente e positivamente turbato”.
Negli States l’opera di Amidon ebbe notevole eco per la sua potenza narrativa, che tramite l’esposizione di tre storie unite da un macabro evento era in grado di illustrare le peculiarità di una società americana, frastornata e capitalista in maniera tragicamente impeccabile.
Stephen Amidon ha saputo fotografare in 375 pagine un chiaro e letterato ritratto del suo tempo, reso – grazie a una rara alchimia – carico di suspense.
Così spiegò The Guardian a riguardo: “il realistico ritratto dell’America suburbana e contemporanea di Human Capital, ha nella sua forza l’occhio preciso e psicologico del suo creatore Amidon. I suoi personaggi, dai teenager in preda a depressioni maniacali, alle madri frustrati dai propri uomini dediti solo al lavoro, sono del tutto convincenti, grazie anche ad uno scaltro umorismo. Amidon trionfa nella capacità rendere ottimo il romanzo, evitando un gonfiore estremo di dettagli.”
Circa la trama, siamo nella primavera del 2001 e Drew Hagel, il protagonista, ha trascorso gli ultimi dieci anni a guardare scivolare via la sua vita, fatta da un primo matrimonio andato male e la sua intermediazione immobiliare. La sua amata figlia Shannon oramai è cresciuta e considera il padre solo un povero uomo in piena crisi di mezz’età.
Drew si trova in un momento di crisi economica, che mette in pericolo il suo posto sociale nel ricco quartiere borghese che suo padre un tempo governava. Un giorno però, giunge – grazie a una partita di tennis – un’amicizia inaspettata con Quint Manning, gestore di un hedge-fund segreta, che apre nuove prospettive di ricchezza all’imprenditore immobiliare.
L’uomo non sa che Manning sta attraversando a sua volta un momento fatto di problemi finanziari e familiari: la sua abilità di trasformare in oro il nulla sembra solo un ricordo, ha un figlio superficiale e forte bevitore e una moglie sulla soglia della depressione. I destini dei due uomini si uniranno in maniera viscerale quando i loro due figli, compagni di scuola, si renderanno protagonisti di un incidente stradale che ucciderà un uomo.
Mentre le sorti delle due famiglie diventano pericolosamente intrecciate, il tragico evento darà a Drew un ulteriore possibilità di lucro. Ma la sua decisione di speculare con delle vite umane invece che col denaro avrà conseguenze impreviste e devastanti.
Sul Blog di Stephen Amidon, lo scrittore racconta le fasi pre-durante-post produzione del Capitale Umano di Virzì.
QUI potete trovare il link al blog dell’autore di Human Capital.
eccone un piccolo estratto tradotto:
“Nel 2013, con mia grande sorpresa, gioia e terrore, capii che le riprese del film “Il Capitale Umano” avrebbero avuto luogo nella regione Brianza, a nord di Milano. I miei unici collegamenti a quello che stava succedendo in Italia erano le fotografie che mi giungevano dal set. Quello che cominciai a notare era sia profondamente familiare che infinitamente strano. Era come se i personaggi del romanzo, dopo tutto quella sofferenze e lo sforzo nella periferia del Connecticut, fossero andati in gita per una vacanza rigenerante…”.
Di seguito il trailer del film.
Tags:capitale umano,cinema,human capital,oscar 2015,Paolo Virzì,stephen amidon Next post