Jean-Paul Sartre è stato uno degli ultimi intellettuali laici di rilievo, dopo di lui (con l’eccezione di Bobbio e Cioran) solo personaggi di poco spessore e abbastanza superficialità (spesso volgarità), come Singer, Ayer, Onfray Scalfari e A.C. Grayling. Neanche lontanamente paragonabili alla profondità di pensiero del filosofo francese.
Sartre è stato colui che forse più di tutti ha cercato di scorgere i fondamenti di una morale laica (o senza Dio). Ma essa non era affatto trionfante, gloriosa e orgogliosa, come invece cercano di sostengono che sia i suoi promulgatori moderni (si veda in Italia, ad esempio, Umberto Veronesi). Il suo ateismo portava realisticamente all’angoscia, all’insicurezza, perché -diceva- la ragione umana è essenzialmente teologica, cioè funziona come se l’orizzonte umano fosse l’orizzonte divino.
«L’ateismo è la persuasione che l’uomo è un creatore, e che è abbandonato, solo, sul mondo. L’ateismo non è quindi un allegro ottimismo, ma, nel suo senso più profondo, una disperazione», disse nel 1946 durante la famosa intervista per “Il Politecnico” di Elio Vittorini. “L’Être et le Néant” (1943) è il manifesto del suo ateismo filosofico, che comunque, scriverà lui stesso quattro anni dopo in “Cahiers pour une morale”, rimane un atto di fede: «La decisiva assenza di fede è una fede incrollabile».
Proprio in quel periodo, nei primi anni ’50, quando la guerra fredda era al suo picco, si accorse di “vivere una nevrosi”: nonostante la sua fosse una filosofia di azione, finora era stato un semplice scrittore borghese, come Flaubert. Si risvegliò dunque il suo interesse per il marxismo schierandosi con il Partito Comunista. Eppure, come ha spiegato il filosofo americano Jim Holt, in quegli anni i crimini di Stalin iniziavano ad essere platealmente documentati, tanto che altri intellettuali stavano abbandonando il partito. «L’ex filosofo della libertà si trasformò nel Sartre totalitario». Raymond Rosenthal ha parlato di lui come «un solido stalinista».
Inizia qui, infatti, il passato vergognoso del più alto sostenitore e teorizzatore della morale laica. La rottura con Camus avvenne proprio in quanto quest’ultimo decise di denunciare il totalitarismo, mentre Sartre rimase rimase in silenzio verso i gulag francesi (“non era nostro dovere scrivere sui campi di lavoro sovietici”, si giustificò in seguito). Scusò le purghe di Stalin e quelle di Mao, descrisse il disertore Victor Kravchenko, che per primo portò alla luce dall’interno gli orrori dello stalinismo, come una creazione della CIA. Abbracciò il pacifismo e, in opposizione alla guerra in Vietnam, esortò l’Unione Sovietica a combattere gli americani, anche a rischio di una guerra nucleare e nel difendere l’indipendenza algerina, nella prefazione ad un libro di Franz Fanon (“The Wretched of the Earth”) scrisse che per un africano «sparare ad un europeo è come prendere due piccioni con una fava, è distruggere un oppressore e l’uomo che opprime allo stesso tempo». Nel 1977, in occasione dell’arresto di tre uomini per pedofilia, Sartre (assieme a Simone de Beauvoir, Michel Foucaul e tanti altri) firmò una «petizione» per chiedere la liberalizzazione sessuale degli adolescenti.
Eppure, anche per il più alto riferimento laico del ’900, Dio rimase un interesse costante per tutta la sua vita, come orizzonte, come illusione trascendentale, come errore inconsapevole ma ineliminabile. Non ebbe remore nel dichiarare la permanenza dei residui di quella fede in Dio che è stato il bersaglio forte e qualificante del suo programma intellettuale. In particolare qualcosa cambiò drasticamente gli ultimi anni di vita.
Nel 1980, pochi mesi prima di morire, nel pieno delle sue forze intellettuali (anche se non fisiche) intervistato dal suo amico ex-maoista Pierre Victor (aka Benny Levy), raccontò la sua conversione attraverso un’affermazione scandalosa, per molti una ritrattazione di tutta la sua opera filosofica (lui stesso confermò l’autenticità delle interviste a Levy): «Non sento di essere il prodotto del caso, un granello di polvere nell’universo, ma qualcuno che era aspettato, preparato, prefigurato. In breve, un essere che solo un Creatore potrebbe mettere qui. E questa idea di una mano creatrice si riferisce a Dio» (da “Nouvel Observateur”, 1980). La sua fu una graduale conversione al “giudaismo messianico”.
Tra le altre cose, Sartre respinse anche i suoi amici più intimi, compresa la sua amante femminista Simone de Beauvoir. La quale rimase ancora più scioccata e inorridita da questa vergognosa, per lei, conversione: «Come si potrebbe spiegare questo senile atto di un voltagabbana? Tutti i miei amici, tutte le “Sartreans”, e la redazione di “Les Temps Modernes” mi hanno sostenuto nella mia costernazione» (“National Review”, 11/06/1982, pag. 677).