La piena unanimità di giudizio è cosa più unica che rara in campo artistico, ma sulla statua di Giovanni Paolo II alla Stazione Termini di Roma, pur nella varietà di accenti, si è raggiunta: anche se c’è chi ha eufemisticamente zufolato che peccasse di una “scarsa riconoscibilità” (Sandro Barbagallo, per L’Osservatore Romano), chi ha ellitticamente rilevato che “il bozzetto era molto diverso” (il cardinal Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura), e perfino chi all’ellissi ha preferito la spirale, limitandosi a dire che “le Autorità Vaticane e il Ministero dei Beni Culturali hanno seguito questa cosa passo passo e c’era un consenso obiettivo” (Gianni Alemanno, sindaco di Roma), tutti hanno espresso, più o meno esplicitamente, lo stesso parere: una schifezza.Ora, a quattro mesi dall’inaugurazione, apprendiamo da Avvenire che proprio quanti sono a vario titolo responsabili della schifezza fanno fatica a prenderne atto:
Nessuno si aspettava che Oliviero Rainaldi si impiccasse per la vergogna, ma chi si aspettava che si offrisse per il rifacimento di un’opera già firmata ed esposta? Nessuno si aspettava che il Comune decidesse di rimuovere la statua sostituendola con un’altra, ma chi si aspettava che avesse tanta faccia tosta di annunciarne il rifacimento come “completamento”? Nessuno si aspettava che le gerarchie ecclesiastiche facessero pubblica richiesta di una riparazione a quello sfregio, ma chi si aspettava che dopo averne avuto garanzia facessero sfoggio di sufficienza dichiarando che la schifezza è addirittura meta di pellegrinaggi? Manca solo il tocco finale. Una targa recante la parafrasi: “Se mi sbagliate, mi rifacerete”.