Lasciate le Ebridi e la quiete delle isolate spiagge atlantiche, Lucia affronta il suo personale “inferno” lungo la strada che la porta via da Plockton. E per la raccolta “Scotland, my love” racconta come dopo una rocambolesca avventura, che l’ha lasciata con il fiato sospeso, abbia trovato il modo di rilassarsi in un ameno villaggio prima di raggiungere Lochcarron.
***************
Non mi è concesso ripetere il linguaggio non proprio oxfordiano che ho mantenuto per tutta la durata del viaggio, poichè rovinerei la poesia del luogo, ma lo si può ben intuire. Perchè mi sono abbandonata a “rifiniture linguistiche” di ogni colore? Perchè la strada (asfaltata) che abbiamo percorso da Plockton a… (località sconosciuta) è stata un’avventura, molto da fiato sospeso!
Era una strada strettissima, praticamente una single track road, ma lì non veniva adottata nessuna delle regole di precedenza o di limite di velocità, che contraddistinguono le cugine stradine di campagna. Comincio col dire che la strada era stata costruita in mezzo ai versanti di un bosco, tra le sue curve e le sue pareti di terra. Era piena di curve, spesso a gomito e non si vedeva assolutamente niente davanti a noi, a ridosso della curva, a causa anche del foltissimo sottobosco, le cui frasche, i cui cespugli e le cui erbe crescevano sin sul bordo della strada, formando una barriera verde che rendeva ancora più difficoltosa la già difficile visuale. Le fronde degli alberi si abbracciavano in alto, sopra la strada, formando una galleria verde, molto apprezzata in termini ecologici e pittoreschi, ma per niente da un punto di vista di viabilità e visibilità: era quasi buio! Tra il tempo nuvoloso e il buio del bosco, la strada angusta e piena di curve, diventava un passaggio dantesco.
I dannati dal nostro sommo poeta (noi) erano destinati a passare dall’altra parte del fiume per mano di Caronte; il nostro Caronte ci stava conducendo dall’altra parte del Loch Carron, attraverso quella strada infernale. Ancora di più lo era perchè le macchine viaggiavano a velocità inaudite e ce le ritrovavamo frontalmente, nelle curve, in mezzo alla strada. Ho urlato tanto per il terrore, e non solo! Ho urlato, o meglio, inveito contro le altre macchine soprattutto, ma anche contro Paolo che guidava. Gl’intimavo di rallentare… a modo mio… ahimè; chiudevo gli occhi e mi batteva forte il cuore dalla paura. Più di una volta, per scansare le auto che non si degnavano di stare dalla loro parte e di rispettare i limiti, siamo finiti fuori strada. Temevo veramente uno scontro!
Forse per fortuna o forse perchè sono stata troppo esagerata sui reali rischi di pericolo, abbiamo raggiunto l’altra parte del lago e ci siamo trovati in un luogo davvero fuori dal tempo e dallo spazio, perchè la stradaccia di prima mi ha fatto perdere ogni orientamento, tanto era stata lunga e tortuosa e mi sembrava durata delle ore, anzichè un’oretta scarsa! Fuori dal tempo anche perchè il paesaggio era straordinariamente rigoglioso e pittoresco!

L’unica spiegazione possibile era che stesse aspettando il treno!!! Era vero! C’era davvero una stazione ferroviaria, anzi, lì c’era solo la fermata del treno! Come ci sarà finito lì quel ragazzo? Che ci faceva? Incredibile come questi scozzesi si siano adattati all’ambiente! Mi sono lasciata stupire da quel posto così remoto, ma in cui c’era anche la stazione ferroviaria e, sicuramente fino a poco tempo fa, anche il battello per andare dall’altra parte del lago. Sulla mia guida, acquistata meno di due anni fa, era segnalato infatti. Deve essere stato dismesso da poco.



Continua…
Photo Credits: Lucia Tysserand
Leggi: La Scozia di Lucia: la pacata bellezza di Plockton






