
Si sa che il presidente del consiglio è imbattibile nella capacità di conformarsi all’interlocutore che ha di fronte. È di pochi giorni fa – discorso tenuto nell’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola ufficiali – la sortita sul sogno giovanile di diventare carabiniere. D’altronde, in materia di rapidità nel cambio degli abiti di scena, l’Italia ha una storica tradizione, dal mitico Leopoldo Fregoli ad Arturo Brachetti, “l’uomo dai mille volti”. Ma questa volta Berlusconi è andato addirittura oltre la semplice strizzata d’occhio al Vaticano, dettata dall’esigenza di dare una lustratina all’immagine appannata e ammaccata dalle rivelazioni sulle sue poco morigerate abitudini. È arrivato così l’affondo contro la scuola pubblica, accusata di inculcare “idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie”. Una sorta di spot per le scuole private (in gran parte cattoliche), ma anche un insulto gratuito nei confronti dei tanti che lavorano in condizioni rese oggettivamente più complicate dai tagli della Gelmini. Persino il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, deve avere trovato eccessivo il discorso del premier, se ha sentito il bisogno di esprimere la fiducia della Chiesa nella scuola pubblica italiana.
Il problema della scuola non è l’ipoteca ideologica che su di essa eserciterebbe una parte politica. La scuola pubblica non ha niente a che fare con le Frattocchie, tanto per essere chiari. Il dramma sono quegli insegnanti a proprio agio con la grammatica e la sintassi quanto un pastore tibetano con le immersioni subacquee. Laureati che scrivono “qual è” con l’apostrofo, “accelerare” con due elle, “ce ne sono” con un profluvio di apostrofi e accenti, e via strafalcionando. Esiste un problema di preparazione del personale docente, dovuto alle scellerate politiche governative che negli ultimi decenni hanno praticamente concesso a chiunque la possibilità di insegnare. E c’è la questione, per responsabilità non tutte imputabili alla scuola intesa come istituzione, dello scarso riconoscimento (status, autorevolezza, ruolo) attribuito agli insegnanti. Ma le affermazioni irresponsabili non sciolgono i nodi, sono utili soltanto per completare e giustificare lo smantellamento dell’intero sistema scolastico pubblico.