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La scuola conformista

Creato il 27 novembre 2013 da Faustodesiderio

Con i primi freddi arrivano anche le stagionali occupazioni delle scuole. Da Napoli a Caserta passando per gli istituti dei paesi delle province, gli alunni e le alunne si organizzano, si passano la voce e occupano aule e corridoi. Sono cinquant’anni che questa abitudine, in varie forme, si ripete. E mezzo secolo è un tempo lungo, molto lungo sia per una democrazia sia per un sistema scolastico. In cinquant’anni, ossia il tempo di almeno tre generazioni, tante cose possono cambiare e sono cambiate. Ma la scuola, pur con tutte le teorie e gli slogan delle riforme possibili e impossibili, non cambia mai e ripete in modo sempre più stanco lo stucchevole rito conformista delle occupazioni che sono diventate il senso stesso della scuola: infatti, più la scuola è occupata e più è disoccupata, più è piena e più è vuota, più è statale e più è privata. Guardiamo in faccia la realtà.

I ragazzi occupano le scuole perché così si è sempre fatto. L’occupazione è una vacanza anticipata delle vacanze di Natale. I motivi per cui si occupa sono tradizionali: no alla scuola privata, sì alla scuola pubblica, niente tagli. Idee, come si vede, molto generiche che vanno bene per ogni generazione che senza studiare vuole difendere il diritto allo studio. Gli insegnanti sono disorientati e non sanno che pesci prendere perché le cose che ripetono gli studenti sono le stesse che ripetono loro in assemblee sindacali e in cortei su viale Trastevere a Roma. Eppure, basterebbe anche solo soffermarsi sulla cronaca per intuire che, ad esempio, dire “no ai tagli” mentre il debito pubblico è ben oltre il 120 per cento del Pil è un controsenso. Inoltre, non è per nulla vero che in Europa si investe nella scuola e in Italia no: è vero, invece, che da noi, per quello che è il sistema scolastico, si spende di più ma male. Quanto poi al trito e ritrito dibattito sulla scuola “privata” e “pubblica” nessun insegnante è in grado di pronunciare parole vere ai propri studenti e dire che la scuola è pubblica per definizione e, soprattutto, che il problema italiano non è quello di statalizzare il privato ma quello di liberalizzare il sistema scolastico con investimenti dei privati, delle famiglie, della società che si organizza, degli enti locali per sostenere un diritto allo studio che invece la sola gestione statale della scuola non è più capace di garantire.

Ieri mattina, alle ore 8, avevo di questi pensieri in testa mentre, seduto alla cattedra leggevo un brano di Giovanni Gentile sulla scuola e i ragazzi con la loro bella e sfacciata gioventù gridando e cantando  – ci mancava solo che cantassero Giovinezza o Bella ciao -  si appropriavano del liceo Manzoni di Caserta. Alcune ragazze sono entrate in classe per la lezione, ma la maggioranza è rimasta nei corridoi per la “autogestione”. Ho chiesto: “Quali sono i motivi dell’occupazione?”. Un’alunna mi ha risposto: “Boh, non lo sanno neanche loro. Dicono i tagli, la scuola pubblica e la Terra dei fuochi. La verità è che così non fanno niente”. Proprio come l’anno scorso, come dieci, venti anni fa, come l’anno che verrà.

tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 27 novembre 2013



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