Scritto da Gabriella Gliozzi
<< Astariti non è bravo, è un “primo della classe”. Astariti non c’ha i capelli tagliati alla mohicana, non si veste come il figlio di uno spacciatore, non si mette le scarpe del fratello che puzzano. Astariti è pulito, perfetto. Interrogato, si dispone a lato della cattedra senza libri, senza appunti, senza imbrogli. Ripete la lezione senza pause: tutto quello che mi è uscito di bocca, tutto il fedele rispecchiamento di un anno di lavoro! Alla fine gli metto 8, ma vorrei tagliarmi la gola! Astariti è la dimostrazione vivente che la scuola italiana funziona con chi non ne ha bisogno! >>
(Tratto da La scuola di Daniele Lucchetti)
Di film sulla scuola ce ne sono a bizzeffe, ma su questo argomento scottante potrebbero venir fuori dei trattati infiniti. In tanti avrebbero molto da raccontare, tra insegnanti frustrati e sottopagati, studenti torturati ed agonizzanti e bidelli (OPS, oggi si chiamano Collaboratori scolastici) che sanno tutto di tutti, di sicuro si potrebbe costituire un bell’archivio di opinioni, tanto da far invidia a secoli di storia stampati sui libri scuola.
Ho avuto la (s)fortuna di trovarmi da entrambe le parti della barricata: dal punto di vista di uno studente è decisamente tutto molto emozionante, è lì, infatti, che si ha un primo assaggio di società e si campisce quale identità si potrà assumere nel mondo: la persona affidabile e pacata, quella ribelle (che conserverà tratti di anticonformismo per tutta la vita), quella assolutamente annoiata da tutto e da tutti, quella schiva, quella timida, quella prepotente, ci sarà chi aspirerà ad essere il ‘figo’ di turno (ribattezzato anche capopopolo), chi si limiterà ad osservare la sua ascesa sperando un giorno di essere al posto suo, negando di fronte ad anima viva di averlo anche solo minimamente pensato. Ma soprattutto s’imparerà cosa significa stare sotto i riflettori (quando si raggiunge la cattedra esitanti o sicuri di sé), dimostrando capacità di apprendimento incredibili o disperandosi per aver messo una bella firma sul proprio destino, raggiungendo la gogna con passo felpato.
Il peggior nemico dello studente è il registro, che sia di classe o dell’insegnate cambia ben poco, perché per l’alunno le note e i voti non potranno mai essere motivo di gioia. Ed anche i più astuti, quelli che sgobbano sui libri avranno migliaia di tranelli e di ostacoli da superare: l’insegnante di fisica, o scienze, che spesso è lo stesso anche per la matematica, attenderà che tu ti faccia interrogare per poi richiamarti alla cattedra il giorno seguente e dimostrarti che tu, caro mio, non lo inganni e che i libri ieri a casa avresti dovuto aprirli comunque. Eh si, perché l’insegnante non punta a racimolare voti per poi valutarti assieme al consiglio di classe, vuole invece insegnarti a crescere, vuole trascinarti in quell’astruso mondo di uomini assennati, coscienziosi e con un forte senso del dovere. Ma diciamoci la verità: a chi importa il senso del dovere a 15 anni? E’ già tanto se la mattina entrando a scuola non ci si accorge di aver scordato la cartella a casa. Anche perché sennò dove la metti la testa per nasconderti dallo sguardo dell’insegnante pronto a interrogare?
D’altra parte son stata anche carnefice. L’insegnante è infatti sovente raffigurato, nell’immaginario collettivo della comunità studentesca, come il boia, quello che non solo ti toglierà l’ultima boccata di ossigeno, ma si divertirà a torturarti nel modo più artificioso e sadico che conosca. Io per esempio, memore del terrore subito, non ho mai aperto un libro a caso per poterne sommare i numeri e scegliere così la lettera dell’eletto da trascinare alla gogna.
E’ pur vero che credevo che il lavoro di un’insegnante fosse cosa molto meno complicata. In primis per essere un buon docente bisogna essere dotati di un fortissimo senso di mediazione, bisogna stringere un patto di sangue col dio della pazienza e soprattutto bisogna ricordarsi che strangolare un alunno è un reato perseguibile penalmente.
La mia giovane età non mi ha, tuttavia, aiutato a calarmi nell’età adolescenziale, a capire cosa frulla in testa ai miei giovani mostriciattoli, bavosi, chiassosi, con la vescica già seriamente compromessa e la mandibola slogata per i troppi sbadigli. Credevo davvero che mia madre, un’insegnante tutta d’un pezzo, fosse davvero troppo pretenziosa, in realtà oggi mi rendo conto che con la maggior parte degli elementi che entrano in classe c’è poco da pretendere. Ricordo che i miei genitori non facevano che ripetermi frasi come ‘ai miei tempi…’ e ‘noi imparavamo la Divina Commedia a memoria!’ e inorridivano di fronte alla mia scarsa ammirazione per Dante, Beatrice e tutto il maledettissimo Paradiso. Eppure a scuola non andavo mica tanto male…
Oggi mi rendo conto che il cervello degli studenti è inversamente proporzionale al progresso tecnologico: più andiamo avanti più gli studenti tendono a rincitrullirsi con videogiochi, computer, aspetto fisico e soldi. Se io a 15 anni ero precoce perché lottavo per la mia libertà di locomozione, i giovani del 2011 lottano per poter andare a farsi le lampade nei centri benessere. Se io studiavo almeno due o tre ore al giorno e potevo uscire al massimo il sabato sera, loro il libro lo toccano solo per strappare delle pagine utili in caso di compito in classe a sorpresa. Nessun insegnante riuscirà mai a capire perché Gigi D’Alessio che proclama la forza del singolo individuo e l’amore per le donne, risulti più interessante di Leopardi o Umberto Saba. Però Gigi D’Alessio è un poeta, sia chiaro.
Vogliamo parlare di temi? Fino a pochissimi anni fa l’insegnante che trovava una qualsiasi citazione era entusiasta e nel corso della valutazione teneva conto di quello sprazzo di luce, oggi bisogna incrociare le dita e pregare in tutte le lingue del mondo di non trovare testi di canzoni al posto della cara e genuina ‘farina del proprio sacco’.
E l’allievo più illuminato sapete qual è? Quello che conosce un testo più impegnato, come quello di Fabrizio Moro, che parla di uomini che si sono opporti ai soprusi e che sono morti per difendere i propri ideali, peccato che se poi chiedi allo stesso alunno se conosce Peppino Impastato, la sua risposta è: Impasticcato chi?
Qui non si tratta di scuola che non funziona, non soltanto, qui si tratta anche di noi, dei NON-valori che trasmettiamo come società, del fatto che abbiamo perso di vista quello che nella vita realmente conta.