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La selva incantata e il mondo di fuori

Creato il 05 gennaio 2012 da Unarosaverde

Intorno a Xpujil e’ tutto un pullulare di rovine maya. La selva inghiottisce le pietre antiche, alberi enormi innestano radici profonde scalando le sommita’ delle piramidi, ficus selvatici ricoprono le scalinate. Dove si intravedono piccole colline, e’ probabile che non sia terra ma un edificio avvolto dalla vegetazione.

Alcuni dei 180 siti archeologici messicani sono famosissimi e inclusi nei tour turistici: Chichen-itza’, Tulum, Palenque, Tikal. Altri, fuori dalle rotte, sono altrettanto magici, ben curati e deserti. Scattiamo fotografie in cui nelle inquadrature siamo gli unici esseri umani. Sbuchiamo da corridoi ombrosi formati dai rami davanti a strutture grigie, immense, che ci levano il fiato e fanno correre l’immaginazione.

M. si arrampica ovunque, fotografa il mondo da 30 metri di altezza. Io lo fotografo da sotto, piccolo piccolo e colorato. Chilometri di selva si estendono davanti a lui; a tratti si aprono piccole polle d’acqua abitate da ninfee. Uccelli colorati, picchi, scimmie, termiti che hanno fatto il nido tra i rami degli aberi protesi sull’acqua, farfalle, ruspanti, felini abitano questo luogo. A tratti alcuni li vediamo anche noi. La fitta vegetazione circonda campi di mais, frutteti, orti difesi a forza dal rigoglio della natura.

Quando scende, occupa di nuovo il suo posto accanto al tassista: e’ il comunicatore del gruppo. In pochi minuti stabilisce connessioni, racconta e si fa raccontare. Ha 26 anni questo, una moglie, tre figli. Ha un diploma da infermiere ma ha trascorso un anno negli Stati Uniti a fare un po’ di tutto: con quello che ha guadagnato ha comprato due auto, la licenza e ha sistemato casa. Il valore degli oggetti cambia con latitudini e longitudini. In due giorni abbiamo esteso le nostre conoscenze di abitudini culinarie, botanica e zoologia locali.

Passiamo attraverso piccoli pueblos immersi nella biosfera: le uniche costruzioni in muratura spesso sono la scuola e il centro sanitario in cui, ogni tanto, arriva il medico. Le case sono capanne di assi di legno, due stanze, che lasciano intravvedere l’interno dagli interstizi, con un tetto di palma. A volte sono colorate, a volte grezze, il
pavimento e’ terra battuta, fuori alberi fioriti procurano ombra. Sono le stesse che ho visto a Cuba, in Guatemala, nel nord della Thailandia: si appoggiano instabili, talvolta sollevate da un basamento di cemento; si rannicchia loro addosso una struttura analoga, piu’ piccola e piu’ sbilenca, che ospita gli animali. Polli e tacchini zampettano davanti alla porta d’ingresso, razzolano sotto i vestiti stesi al sole; cani gialli e bambini con gli occhi scuri sono i padroni delle stradine e controllano il traffico della strada centrale, a volte asfaltata. I rumori qui sono quelli degli animali e delle piante: sibili e fruscii misteriosi. Questa e’ la terra dei duendes, dei folletti. Alcuni sono cattivi, altri buoni. Appaiono di notte, scuri, gli occhi di fuoco. Il tassista li ha visti due volte, a casa sua, e ha passato poi la notte insonne. Ci racconta che con gli amici, ogni tanto, trascorrono le notti nella foresta, vicino alle rovine ma restano svegli: non ci si puo’ fidare delle creature che la popolano, siano esse vere o fatte di spirito. E attenti quando si va al monte: ci sono le streghe che rapiscono uomini e bambini, gettando incantesimi, impediscono loro di ritrovare la strada di casa. Perdidos, nella selva.

Ascoltiamo, affascinati, un po’ increduli e poi torniamo in paese a mangiare in piccoli locali improvvisati e miseri: due tavoli di plastica, qualche sedia, la carne buonissima che sfrigola sulle piastre e le tortillas che fumano.

Con la luce del giorno le creature di sogno sono innocue: bisogna combattere solo con le cose di ogni giorno, quelle che rendono le persone uguali in ogni angolo della terra. Anche se in questi luoghi le battaglie sono molto piu’ complicate.

Per M. che fa la spunta dei 180 siti: Dzibanche, Kohunlich, Xpujil, Hormiguero, Chicanna, Bekann, Calakmul, Balamku.


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