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La serbia verso il nuovo governo

Creato il 27 marzo 2014 da Pasudest
Commemorato il 15° anniversario dell'inizio dei bombardamenti della Nato
LA SERBIA VERSO IL NUOVO GOVERNODi Marina Szikora
Secondo i media serbi, in particolare il quotidiano di Belgrado “Danas” il lavoro relativo all’insediamento del nuovo Parlamento e alla formazione del nuovo esecutivo serbo dovrebbe essere completato gia’ entro la prima meta’ di aprile. Si ipotizzano due date: quella del 7 aprile che potrebbe essere la data della prima sessione del Parlamento per confermare l'elezione dei parlamentari ed eleggere il presidente ed i vicepresidenti. Poi, entro il 20 aprile dovrebbe essere formato il nuovo governo che il Partito serbo del progresso (Sns), vincitore della consultazione anticipata del 16 marzo, sara’ “funzionale ed efficace”. Aleksandar Vučić, leader del Sns, annuncia a tal proposito, visto che il futuro premier e l'attuale capo dello stato provengono dalle fila dello stesso partito, che il Sns è pronto ad offrire la presidenza del parlamento a qualcuno dei futuri partner della coalizione di maggioranza. Vučić afferma che i colloqui si terranno con tutti i partiti entrati in parlamento. Sempre secondo le fonti del Partito serbo del progresso, e’ in corso la preparazione del piano e del programma del futuro governo che verra’ presentato ai partner di coalizione. Questo programma includerebbe le indispensabili riforme in tutti i settori della società a partire dall'educazione alla sanità, fino a quello più importante, l’economia. Al momento, sempre secondo le informazioni mediatiche, il Sns anche se ha i numeri per formare il governo da solo, sarebbe intenzionato a far entrare nel governo i socialisti di Ivica Dačić e il Nuovo partito democratico dell'ex presidente Boris Tadić (uscito dal Partito democratico dopo la sconfitta elettorale del 2012) se “possono contribuire con il loro lavoro al benessere della Serbia” e ovviamente se accettano il programma che verrà loro proposto.
E in attesa dell'insediamento del nuovo Parlamento e della formazione del nuovo governo, lunedì 24 marzo, la Serbia si è fermata per commemorare i 15 anni dall'inizio dei bombardamenti della Nato. A tal proposito, il capo dello stato, Tomislav Nikolić, ha detto che nessuno deve aspettarsi che “lui dimentichi quello che è accaduto durante l’aggressione contro la Serbia, 78 giorni e notti, dal 24 marzo al 9 giugno 1999”. Nikolic ha aggiunto che la maggior parte dei serbi non ha dimenticato, né perdonato, poiché “non vi è stata nessuna sincera espressione di scuse”. “E’ nostro dovere di non dimenticare mai l’ingiustizia che ha interrotto la vita di tutti gli innocenti che sono morti sul territorio della Serbia e che è impossibile correggere per l’eternità”, ha detto Nikolić. Come si ricorderà, dopo il fallimento di tutti i tentativi diplomatici, il 24 marzo 1999 la Nato, senza un mandato Onu, iniziò i 78 giorni di bombardamenti per fermare la pulizia etnica del regime di Slobodan Milošević contro la popolazione albanese in Kosovo. Siamo a quindici anni di distanza da quegli eventi, e 5 anni dopo l’autoproclamazione dell'indipendenza di Priština che Belgrado continua a non riconoscere. Un grande passo avanti e’ stato compiuto dai due premier, Ivica Dačić e Hashim Thaci, lo scorso aprile a Bruxelles, quando e’ stato raggiunto l’accordo sulla normalizzazione delle relazioni tra i due governi.
Quindici anni fa la Serbia, colpita dai raid della Nato, subì la distruzione di obiettivi sia militari che civili, caserme ma anche case, scuole, ospedali, edifici pubblici e centri culturali e il numero esatto delle vittime e’ ancora sconosciuto, ma si stimano tra 1200 e 2500 morti e oltre 12 mila i feriti. I bombardamenti terminarono nel giugno 1999 con la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Milošević accetto’ di ritirare le sue truppe dal Kosovo dove entrarono le forze della Kfor, ancora oggi presenti con 5 mila militari provenienti da 36 paesi. Da allora, secondo i dati dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, 230 mila serbi e rom lasciarono il Kosovo in cui ritornarono invece circa 800 mila profughi albanesi. Come detto, la data e la memoria suscitano tuttora condanne pesanti in Serbia mentre invece gli albanesi kosovari evocano con grande riconoscenza l’intervento militare che rese possibile l’interruzione della pulizia etnica nei confronti di questa popolazione.
Il testo è tratto dalla corrispondenza per la puntata di Passaggio a Sud Est andata in onda oggi a Radio Radicale

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