In principio fu Jupp Heinckes.
Santone del calcio tedesco (un Mondiale e un Europeo al suo attivo con la nazionale, oltre a svariati titoli in patria), ma non solo (Coppa Campioni col Real nel 1998).
Capitano di lunghissimo corso (classe 1945) ma capace di adeguarsi benissimo al calcio dei tempi odierni e a suo agio tra i campioni messi a disposizione dalla società. Una stagione, quella scorsa, straordinaria e forse irripetibile per l’undici di Monaco, culminata nel fantastico triplete. Difficile, quasi impossibile, far meglio.
A torneo 2013 ancora in corso, dietro volontà di Heinckes di ritirarsi in pensione, la dirigenza bavarese si era guardata intorno, alla ricerca di un adeguato sostituto. E aveva affidato la panchina ai gloriosi lombi del profeta del calcio totale, quel Pep Guardiola reduce da incredibili successi (14 trofei in 4 anni) col Barcellona, trascinato sul tetto del mondo a colpi di tiki taka e meraviglie di Messi.
Un nuovo inizio che il giovane tecnico catalano, reduce da un anno sabbatico, si augurava dolce e graduale si è così trasformata nella spasmodica attesa del predestinato nel club più vincente del 2013. La pressione mediatica si è manifestata sin dall’avvio stagione e ai primi inevitabili, e sempre possibili, rovesci il confronto col predecessore si è fatto subito impietoso.
Guardiola ha inoltre attraversato un paio di conferenze stampa puntualizzando e smarcandosi nervosamente da certe polemiche nate nell’ambiente blaugrana, che hanno portato sotto i riflettori la successione con Tito Villanova e i rapporti non proprio idilliaci con la dirigenza. Un’estate molto calda, quindi, per il mister da Santpedor. Che però ha tutte le qualità, e soprattutto i mezzi, per non far rimpiangere chi l’ha preceduto.
Pep è praticamente nato con la bacchetta in mano sin da quando quando calcava, come regista, il campo di gioco. E si è via via affinato nell’arte di allenare, prima agli esordi nel Barcellona B, e poi con una prima squadra che annoverava tra gli altri nomi del calibro di Iniesta, Mascherano, Xavi, Villa, Eto’o, oltre al suddetto Messi.
Quasi una sola camiseta per lui, vero uomo bandiera blaugrana (17 anni da giocatore, tra giovanili e prima squadra, e 5 da allenatore), prima di vivere gli ultimi bagliori di classe alle nostre latitudini (Roma e Brescia). Sempre con la saggezza e il fosforo che lo hanno contraddistinto nel corso della sua lunga carriera.
La stessa saggezza che dovrà accompagnarlo ora, alle prese con uomini dal talento fenomenale ma dall’altrettanto pronunciato ego, quali Ribery, Robben, Muller, Schweinsteiger e compagnia cantante. Non è dato sapere se anche all’Allianz Arena verrà trapiantata in toto l’esperienza del tiki taka.
Dalle prime esibizioni s’intravede la ricerca del possesso palla di sempre, contemperata con le caratteristiche degli interpreti , autori di un calcio leggermente diverso da quello praticato in Catalogna (si pensi alla propensione dei centrali bavaresi, finanche i difensori, al tiro da fuori, gesto quasi sconosciuto dalle parti del Camp Nou). Certo sarebbero in molti a voler vivere i grattacapi di Guardiola, scorrendo la lista di fuoriclasse presenti in biancorosso, ma come si sa non sempre nel calcio a grandezza degli interpreti corrisponde altrettanto elevato risultato.
La strada appare certamente più semplice in Bundesliga (anche se il livello del campionato tedesco si è molto innalzato negli ultimi anni, e il secondo incomodo, il Borussia Dortmund, ha già giocato un tremendo scherzetto in Supercoppa a Lahm e soci). In Champions League le insidie si moltiplicano, tra le espressioni migliori di Liga e Premier League, e ogni passo falso si paga doppio.
Anche avere alle spalle una dirigenza molto competente (quasi tutti ex calciatori, da Hoeness a Beckembauer, passando per Rummenigge) è spesso un arma a doppio taglio: copertura assicurata nelle difficoltà ma anche attività sezionata al microscopio, a partire dagli allenamenti.
Una sfida nuova quindi, per Josep Guardiola, uomo controcorrente e mai banale. Per l’eventuale lieto fine appuntamento a maggio 2014…