La Sindone di Torino non è menzionata prima del XIV secolo

Creato il 18 maggio 2010 da Andream
Post #1 di una serie.
Aggiornato al 7 giugno con l'aggiunta di ulteriori testimonianze.
Aggiornato al 1 giugno con l'aggiunta del Codice Pray.
Aggiornato al 28 maggio con l'aggiunta della Vita di santa Nino.

Anche i sindonologisti più fondamentalisti devono ammettere che non ci sono prove storiche decisive dell'esistenza della Sindone di Torino prima della metà del XIV secolo, quando comparve a Lirey, in Francia.
Cionondimeno, coloro che sostengono l'autenticità della Sindone hanno tentato di trovare indizi della sua esistenza nei tredici secoli precedenti, dato che questo lungo silenzio delle fonti sulla più importante reliquia della cristianità non può che metterli in imbarazzo.
Quello che segue è un riepilogo delle argomentazioni presentate, affiancate dalle relative contro-argomentazioni. Le fonti secondarie di queste notizie sono le pagine «Sindone di Torino» e «Storia della Sindone», da Wikipedia edizione italiana (*), «History of the Shroud of Turin», da Wikipedia edizione inglese (#), la pagina «I principali avvenimenti» dal sito Collegamento pro Sindone (@), e il sito The Definitive Shroud of Turin FAQ ($); dove possibile, sono state riportate anche le fonti primarie.
Fonti cristiane dei primi secoli
In questa sezione sono presentate le testimonianze relative ai primi secoli di storia cristiana che sono portate da alcuni sindonologi a testimonianza dell'esistenza della Sindone di Torino in epoca antica. L'identificazione tra Sindone di Torino e Mandylion, e dunque la storia della reliquia di Edessa, non è trattata qui.
Conservazione della sindone
«I sindonologi autenticisti ipotizzano che dopo la risurrezione di Gesù il lenzuolo sia stato conservato e venerato dalla primitiva comunità cristiana di Gerusalemme [Vedi ad esempio E. Marinelli, Sindone, un'immagine "impossibile", cit., p. 75.].»(*)
A questo riguardo non credo che ci sia molto da dire oltre a quello che ha scritto Mauro Pesce, professore ordinario di Storia del Cristianesimo all'Università di Bologna, nel suo articolo «I vangeli e la Sindone», pubblicato nel numero monografico di MicroMega di aprile, L'inganno della Sindone. Di questo articolo ho parlato nel post «Sindone: perché non credere (II)», ma, riassumendo in due parole, l'analisi dei testi cristiani del primo cristianesimo mostra come i discepoli di Gesù non fossero interessati a conservare reliquie o altre testimonianze della vita terrena di Gesù, in quanto le consideravano inutili all'interno della loro concezione della fede.
Vangelo degli Ebrei
Nel II secolo il Vangelo degli Ebrei, uno scritto apocrifo diffuso tra i giudeo-cristiani in Palestina e andato perduto, accenna fugacemente alla sindone: «Il Signore, dopo aver dato la sindone al servo del sacerdote, apparve a Giacomo» (citato da Girolamo, Uomini illustri cap. 2 lat.). L'anonimo "servo del sacerdote" potrebbe essere identificato con l'evangelista Giovanni,[Sulla base di un'interpretazione un po' stiracchiata di Gv 18, 15, così Gino Zaninotto in Il grande libro della Sindone, 2000, p. 35.] oppure Malco,[Il "servo del sommo sacerdote" è citato in occasione dell'arresto di Gesù Gv 18, 10 e paralleli. Ipotesi riportata con prudenza da Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 450.], oppure Pietro ipotizzando una corruzione del testo latino[Così Charles Harold Dodd che ipotizza la corruzione del prototermine latino petro (Pietro) in puero (ragazzo, servo), corruzione presente anche nel Codex Bobbiensis in Mc 16, 7. Un successivo copista avrebbe poi modificato puero in servo sacerdotiis (P. Baima Bollone e P.P. Benedetto, Alla ricerca dell'Uomo della Sindone, cit.).].(*)
Il testo del Vangelo degli Ebrei riferisce del gesto di Gesù risorto, che consegna il sudario al servo del sacerdote (Dominus autem cum dedisset sindonem servo Sacerdotiis, ivit ad Jacobum, et apparuit ei). Il passo riportato da Girolamo non menziona alcuna immagine impressa sul telo, né fa intendere che esso fosse destinato alla comunità cristiana o oggetto di particolare devozione; Girolamo stesso, che pure riporta il brano, non mostra di conoscere la sindone di cui starebbe parlando.
Vangelo di Nicodemo
Il Vangelo di Nicodemo, datato al II secolo, nelle varie redazioni pervenute, accenna alla sindone e al sudario che sono dette presenti nel sepolcro dopo la risurrezione[Recensione greca A, 15,6-7 tr. it.; papiro copto di Torino 12,3;6-7 tr. it.; recensione latina 15,7-8 tr. it.]. Non viene aggiunto nulla di nuovo rispetto al resoconto dei vangeli sulla sindone evangelica e non si accenna ad un'immagine impressa.(*)
Qui è lo stesso autore dell'articolo che conferma come la testimonianza del Vangelo di Nicodemo riprenda le informazioni contenute nei vangeli canonici a proposito delle bende usate per avvolgere Gesù; anche qui, non si fa menzione di alcuna immagine impressa sul sudario, cosa difficilmente spiegabile se l'evangelista fosse stato a conoscenza dell'immagine sindonica.
Inno della Perla
L'Inno della Perla è un poema epico in lingua siriaca, risalente probabilmente alla seconda metà del II secondo secolo, che fu incluso attorno al III secolo negli Atti di Tommaso, un'opera gnostica che descrive il viaggio e il martirio dell'apostolo Tommaso in India. Alcuni sostenitori dell'autenticità della Sindone di Torino affermano che il seguente brano sia un riferimento al telo sindonico conservato in Piemonte:
Improvvisamente, vidi la mia immagine sulla mia veste come in uno specchio
Me stesso e me stesso attraverso me stesso [oppure me stesso guardando all'infuori e all'interno]
Come diviso, eppure una sola sembianza
Due immagini: ma una sola sembianza del Re [dei Re, in alcune traduzioni] ($)
Secondo alcuni sindonologi,
Se osservate una fotografia della sindone vedrete due immagini complete di un uomo, una in cui l'immagine guarda in fuori e una in dentro. In termini più moderni le chiamiamo immagine anteriore e immagine posteriore, o ventrale e frontale. Esse sono, in effetti, come in uno specchio in quanto sono complete e apparentemente perpendicolari alla superficie. Quelle parole, «come diviso, eppure una sola sembianza», risuonano con le due immagini separate che si incontrano alla sommità della testa. ($)
Il problema di questa interpretazione è che è basata su di una traduzione ambigua, che lascia intendere ciò che non sta scritto nel testo.
Anzitutto, l'Inno della Perla narra di un principe, inviato in Egitto da suoi regali genitori a rubare una perla ad un drago; giunto a destinazione, il principe dimentica il suo compito e la sua identità, e solo dopo aver ricevuto una lettera dai genitori egli ruba la perla e torna a casa (Bart D. Ehrman, Lost scriptures: books that did not make it into the New Testament, Oxford University Press US, 2003, ISBN 0195141822, p. 324). Colui che parla, dunque, non è Gesù, ma il principe, ed egli fa riferimento alla propria veste di seta, non ad un sudario funebre. Ogni relazione tra Sindone e Inno della Perla è dunque solo nella mente di chi legge.
Una traduzione accademica del testo rende più chiara la distanza tra Inno della Perla e Sindone (Ehrman, op. cit., p. 326); si sta parlando della veste di seta del principe, che ha dimenticato il suo rango:
76 Ma, quando vidi improvvisamente la mia veste riflessa come in uno specchio
77 Vi percepii anche tutto me stesso
E attraverso di essa conobbi e vidi me stesso
78 Poiché sebbene avemmo origine dall'uno e medesimo eravamo parzialmente divisi
Eppure nuovamente eravamo uno, con un'unica forma.
Vita di santa Nino
La Vita di santa Nino è un'opera del IV secolo che racconta la vita di Nino, missionaria cristiana in Georgia. Nell'opera è contenuto un brano che narra:
E trovarono il lino, all'ingresso della tomba di Cristo, dove Pilato e sua moglie vennero. E quando lo trovarono, la moglie di Pilato chiese il lino, e se ne andò velocemente a casa sua nel Ponto e divenne un credente in Cristo.
Secondo alcuni sindonologi, questa sarebbe una testimonianza della conservazione della sindone nel IV secolo. I problemi di questa affermazione sono:
  1. che il telo citato non reca alcuna immagine impressa, dunque non può essere la Sindone;
  2. che la storia è tarda, come indicato dalla raffigurazione di Pilato e di sua moglie come sostenitori dei cristiani, e persino cristiani essi stessi, almeno per quanto riguarda la moglie di Pilato;
  3. che secondo questa fonte la Sindone sarebbe stata nel Ponto, cioè nella Turchia settentrionale, e dunque sarebbe uno sviluppo legato alla predicazione georgiana di Nino;
  4. questo brano della Vita di santa Nino è presente in solo uno dei manoscritti dell'opera, datato al IX o X secolo, ed è dunque un'aggiunta tarda (Margery Wardrop, Life of Saint Nino, Gorgias Press LLC, 2006, ISBN 1593334710, p. 3).
Vangelo di Gamaliele
Il Vangelo di Gamaliele riporta gli eventi della risurrezione nominando 16 volte le "bende" di Gesù. È difficile ricostruire storia e datazione del testo: si è conservato indirettamente tramite un manoscritto etiope del V-VI secolo contenente l'omelia Lamentazione di Maria di un certo Heryaqos, vescovo di Al-Bahnasa (alto Egitto), la quale riporta ampie citazioni dell'apocrifo.[Luigi Maraldi, Tutti gli Apocrifi del Nuovo Testamento - Vangeli, 1994, p. 777.] Nel testo Pilato si recò al sepolcro dopo la risurrezione, "prese le bende mortuarie, le abbracciò e, per la grande gioia, scoppiò in lacrime quasi che avvolgessero Gesù". Grazie alle bende un soldato recupera miracolosamente la vista e il "buon ladrone" viene risuscitato. Divengono oggetto di culto: "tutto il popolo, quelli della regione di Samaria e i pagani volevano vederle". In questo caso, al di là della improbabile storicità dei resoconti dell'apocrifo, il testo è storicamente importante in quanto testimonia l'esistenza di bende funebri di Gesù e il culto ad esse attribuito. Non vi è accenno ad un'immagine impressa sulle bende.(*)
Tralasciando altre considerazioni, si può affermare che, al di là di ogni ragionevole dubbio, il Vangelo di Gamaliele non parli della Sindone di Torino: si parla di «bende», e non di un singolo «telo», né si accenna in alcun modo all'esistenza di una immagine impressa su di esso.
Omelie di Cirillo di Gerusalemme
Riguardo alle omelie di Cirillo, vescovo di Gerusalemme, Wikipedia scrive:
Si fa menzione della Sindone anche in due distinte omelie del IV secolo di Cirillo di Gerusalemme. Nella Catechesi quattordicesima si legge: «Molti sono i testimoni della risurrezione... la roccia del sepolcro... gli angeli di Dio... Pietro, Giovanni e Tommaso, insieme agli altri Apostoli, dei quali alcuni accorsero al sepolcro; i lini della sepoltura, coi quali fu prima avvolto, che giacenti dopo la risurrezione... le fasce sepolcrali e il sudario che lasciò risorgendo... i soldati...» (14, 22). Nella Catechesi ventesima: «Vera la morte di Cristo, vera la separazione della sua anima dal suo corpo, vera anche la sepoltura del suo santo corpo avvolto in un candido lenzuolo». (20, 7). Le catechesi si riferiscono quindi alla sindone evangelica e non forniscono criteri utili circa la storicità della Sindone di Torino. Neanche qui vi è accenno ad un'immagine impressa sui tessuti. (*)
Come scritto, Cirillo, vescovo di Gerusalemme dal 347 al 387, non parla di immagini impresse sui lini né sul lenzuolo, e non sembra a conoscenza della conservazione di una tale reliquia.
Epifanio di Salamina
Cercando tra la mole di prove indiziarie a favore dell'esistenza della Sindone di Torino prima del XIV secolo, si possono trovare perle come pure fondi di bottiglia. Alla seconda categoria appartiene questa citazione:
Ad Anablatha, vicino Gerusalemme, sulla via verso Bethel, Epifanio di Salamina strappa un "velo" della dimensione adatta per uso funebre, sul quale si vede, dai contorni incerti, un'immagine umana intera. (@)
Purtroppo, questa citazione è ampiamente fuorviante. La storia vera è la seguente: Epifanio, vescovo di Salamina di Cipro dal 367 al 403, racconta di essere giunto ad Anablatha, dove, in una chiesa, trovò una tenda, colorata e dipinta, raffigurante Cristo o un santo. Poiché questa raffigurazione di un essere umano gli pareva contraria alle Scritture, strappò il telo e lo diede ai custodi, dicendo loro di avvolgervi il cadavere di un povero per seppellirlo. I fedeli del posto gli chiesero di mandare loro un nuovo tendaggio.
Come si vede, si trattava di un tendaggio, colorato e dipinto, che fu distrutto da Epifanio, e che i fedeli del luogo non tenevano in particolare considerazione. Nessun collegamento con la Sindone di Torino, allora perché citarlo?
Rito mozarabico
Nel rito mozarabico, in un passo che si ritiene risalire al VI secolo, si afferma che Pietro e Giovanni videro le "impronte" del Risorto sui lini[Daniel R. Porter, The Mozarabic Rite, a Clue to the Shroud of Turin? (2004)]. (*)
Il testo del rito mozarabico è fatto risalire alla illatio (l'equivalente della Praefatio nel rito romano) di un giorno del tempo di Pasqua.
Mi ci è voluto un po', ma ho trovato il testo: si tratta della inlatio del sabato dopo Pasqua. Il testo recita (Missale mixtum secundum regulam Beati Isidori dictum Mozarabes, Volume 1, Alexander Lesley, Sumptibus V. Monaldini, 1755 p. 216, 91—94):
Ad monumentum Petrus cum Johanne concurrit : recentiaque in linteaminibus defuncti : & resurgentis vestigia cernit.
che può essere tradotto come:
Pietro corre con Giovanni alla tomba, e vede nelle pezze di lino le vestigia recenti del morto e risorto.
Il fulcro della questione è la traduzione di vestigia (la parola latina, non quella italiana), che vuol dire «impronta, orma, vestigio, passo, pianta del piede», ma anche, in senso lato, «segno di una presenza, traccia, ricordo». Ma quale di queste due traduzioni è quella opportuna? È utile ricordare che la illatio non è un'omelia, ma un riassunto di brani dei vangeli, e cercare di risalire al brano cui fa riferimento questa illatio.
Nel Vangelo secondo Giovanni (20:3-8), Pietro e un apostolo anonimo identificato tradizionalmente con Giovanni corrono alla tomba di Gesù; Pietro entra e vede le bende a terra e i sudario piegato in un angolo; "Giovanni" entra, «e vide, e credette».
Se questo è il brano cui l'illatio fa riferimento, e non ce ne sono altri che parlino di Pietro e Giovanni che corrono alla tomba, la traduzione della parola latina vestigia è proprio l'italiano "vestigia", che significa «segno indicatore, indizio, traccia».
Stefano II
Papa Stefano II (752-757) scrive che la figura del volto e dell'intero corpo di Gesù è stata "divinamente trasferita" sul lenzuolo[Richard B. Sorensen, Summary of Challenges to the Authenticity of the Shroud of Turin (2007)]. (*)
Questa fonte è fatta risalire ad una scoperta dello scrittore Ian Wilson, pubblicata nel suo libro del 1991 Holy Faces, Secret Places: An Amazing Quest for the Face of Jesus (p. 152). Non sono riuscito a trovare alcuna citazione di questo documento, ma c'è una interessante coincidenza che mi causa un dubbio su questa citazione.
Nel 752 fu eletto Papa un certo Stefano, che però morì prima di essere consacrato. Questo Papa eletto ma non consacrato scombina la numerazione dei Papi di nome Stefano, in quanto talvolta è considerato come Stefano II e talaltra no. Lo stesso giorno della sua morte fu eletto Papa Stefano (Orsini), che regnò fino al 757, e che è quindi noto come Papa Stefano II o III. Stefano III o IV regnò invece dal 768 al 772.
Wilson attribuisce a Stefano II/III l'affermazione che l'immagine di Gesù si sarebbe trasferita al suo sudario. Ma Stefano III/IV è famoso per aver fatto riferimento, durante il Sinodo laterano del 769, al telo inviato, secondo la leggenda, da Gesù al re edesseno Abgar, sul quale era presente l'immagine del volto di Gesù stesso (Daniel C. Scavone, "Acheiropoietos Jesus Images in Constantinople: the Documentary Evidence***"). Sembra improbabile che Stefano II/III conoscesse il telo della Sindone di Torino e il suo successore no. Possibile che Wilson si sia confuso?
Arculfo
Nell'opera De locis sanctis, scritta dal monaco Adamnano nel 698, è descritto il pellegrinaggio del monaco e vescovo Arculfo compiuto a Gerusalemme attorno al 670. Il pellegrino descrive il ritrovamento del sudario di Cristo ("quello che era stato posto sul suo capo nel sepolcro") e il culto ad esso attribuito (1, 10). Secondo il racconto di Arculfo, il sudario era stato prelevato dal sepolcro di Gesù da un anonimo giudeo ed era stato tramandato come patrimonio di famiglia. Tre anni prima (circa 667) era sorta una disputa sul possesso del sudario. Il re dei saraceni Navias (cioè Mu'awiya ibn Abi Sufyan) aveva chiamato i due gruppi di contendenti e buttato il lino in un fuoco, ma questo era rimasto sospeso sulle fiamme volando poi di fronte a un pretendente. Il lino era custodito in uno scrigno e venerato dal popolo, Arculfo stesso l'aveva baciato. Misurava "quasi otto piedi in lunghezza", cioè circa 2,3 metri. Arculfo non accenna a un'immagine impressa.[J. Francez, Un pseudo linceul du Christ, Paris 1935] (*)
Il sudario venerato da Arculfo non è la Sindone di Torino: oltre a sbagliarsi nella dimensione del telo, Arculfo, che pure aveva baciato la reliquia, non menziona l'esistenza di un'immagine impressa.
Braulione
Nel VII secolo Braulione, vescovo di Saragozza, nella lettera 42 all'abate Tajo, cita i lini e il sudario evangelico, ipotizzando che questo sia stato conservato dagli apostoli[PL vol. 80, col. 0689A-B: Sed et illo tempore notuerunt fieri multa quae non habentur conscripta, sicut de linteaminibus, et sudario quo corpus Domini est involutum, legitur quia fuerit repertum, et non legitur quia fuerit conservatum: nam non puto neglectum esse ut futuris temporibus inde reliquiae ab apostolis non reservarentur, et caetera talia. Traduzione italiana: "Ma in quel tempo accaddero molte cose le quali non sono state scritte (nei vangeli), come i lini e il sudario nel quale fu avvolto il corpo del Signore, del quale si legge che è stato trovato ma non si legge che fu conservato: non penso che sia stato trascurato, in modo tale che gli apostoli non lo abbiano conservato per i tempi futuri, e altre cose simili."]. (*)
Anche in questo caso, la fonte non accenna ad una immagine impressa. Inoltre Braulione afferma di pensare che il sudario non possa essere stato conservato dagli apostoli, ma non sembra sapere che il sudario sia giunto ai suoi tempi.
Codice Pray
Si osservi l'immagine a destra. Nella scena superiore è raffigurato il lavaggio del cadavere di Gesù, deposto su di un piano coperto da un telo. Nel registro inferiore è raffigurata la scena delle tre donne che si recano al sepolcro e trovano un angelo che svela la tomba vuota e indica il sudario. Prima di continuare a leggere, descrivete il sudario come è rappresentato nelle due scene, quanto è lungo, se contiene immagini o disegni o altri segni, se possiede frange o cuciture evidenti, eccetera.
L'immagine è una miniatura del Codice Pray, datato tra il 1192 e il 1195 e conservato alla Biblioteca Nazionale di Budapest. Si tratta del più antico manoscritto in lingua ungherese conservatosi. Ma come è collegato alla Sindone di Torino?
Secondo i sindonologi,[Wilson, Ian, The Evidence of the Shroud, Guild Publishing: London, 1986, p. 114] si tratterebbe di una raffigurazione della Sindone di Torino: vi sarebbero raffigurati segni di bruciatura a forma di 'L' vicino ad un lato e la trama a spina di pesce, caratteristiche del telo sindonico torinese. A parte l'assenza del tratto più clamoroso della Sindone di Torino, l'immagine di Gesù morto, e l'incompatibilità della lunghezza del telo con la possibilità di contenere l'immagine fronte-retro di un essere umano, ci vuole uno sforzo notevole di fantasia per vedere i questa immagine tutto ciò che i sindonologi vorrebbero metterci.
Altre testimonianze
Vi sono altre testimonianze che sono collegate dai sindonologi al telo sindonico di Torino; quelle di seguito sono tratte da «Acheiropoietos Jesus Images in Constantinople: the Documentary Evidence***», di Daniel C. Scavone.
Nel 958, l'imperatore Costantino VII scrive una lettera in cui elenca le reliquie della Passione: tra queste cita «i sacri lini» (σπάργαvα) e la «sindon che Dio indossò». Non si parla di immagini miracolose poste su quest'ultima.
Risale al 1095 una lettera in cui l'imperatore Alessio I Comneno scrive al conte Roberto delle Fiandre, dicendo che preferirebbe che Costantinopoli fosse conquistata dagli occidentali piuttosto che dai musulmani. La ragione per questo strano invito sarebbe l'elevato numero di reliquie presenti nella città, incluse le bende di lino trovate nel sepolcro dopo la risurrezione di Gesù. Non si parla di immagini sul telo, inoltre l'autenticità della lettera è dubbia.
Nel 1150 un pellegrino inglese a Costantinopoli parla di un contenitore in oro che contiene un telo sul quale è impressa l'immagine del volto di Gesù (il Mandylion) e un sudario, «posto sulla sua testa». Non si tratta quindi della Sindone di Torino.
Sette anni dopo, il pellegrino islandese Nicholas Soemundarson parla delle reliquie della Passione conservate nel palazzo imperiale di Costantinopoli; tra esse vi sono «fasciae con sudarium e sangue di Cristo». Nessuna immagine, dunque. Ancora una testimonianza sul tesoro di reliquie costantinopolitane: questa volta è datata al 1171, quando l'arcivescovo Gugliemo di Tiro vede la sindone di Gesù, senza alcuna immagine; nel 1200, Antonio di Novgorod parla di un «linteum raffigurante il volto di Cristo», dunque non una figura intera.
Nel 1201 Nicola Mesarite, guardiano dei tesori della Cappella del Faro nel Palazzo del Bucoleone testimonia dell'esistenza delle «le sindones funebri di Cristo: esse sono di lino. Sono di materiale economico e facile da trovare, e resistono alla distruzione in quanto avvolsero il corpo incircoscritto, fragrante di mirra e nudo dopo la Passione». Anche in questo caso, non si parla di immagini, anzi, si menzionano più teli avvolti.
Nel 1203 o 1204, uno dei crociati che conquistarono Costantinopoli nella Quarta crociata, Roberto di Clary, riporta questa testimonianza:
Esiste un'altra delle chiese, che chiamano Mia Signora Santa Maria di Blachernae, dove era conservata la sydoines in cui Nostro Signore fu avvolto, che era sollevata ogni venerdì, in modo che le fattezze di Nostro Signore fossero in piena vista.
Questa è la migliore freccia nell'arco dei sindonologi. Anche se bisogna sottolineare che Roberto non afferma di aver visto la sindone, né che essa portasse impressa l'immagine del corpo di Gesù.
Al 1205 risalirebbe, se i dubbi sulla sua autenticità fossero infondati, una lettera di Teodoro Angelo, nipote dell'imperatore Isacco II Angelo, indirizzata a papa Innocenzo III. Teodoro lamenta del furto del «lino in cui Nostro Signore Gesù Cristo fu avvolto dopo la sua morte e prima della risurrezione» da parte dei cavalieri Franchi. Anche in questo caso non si fa menzione di immagini.
Nel 1207, Nichola di Otranto, abate del monastero di Casole, testimonia l'esistenza a Palazzo della spargana di Gesù; normalmente con spargana si intende la fascia con la quale in passato si avvolgevano stretti i bambini, ma anche se qui Nicola stesse parlando della Sindone, cosa non indiscutibile, sarebbe strano il fatto che non menzioni il portento dell'immagine di Gesù.
Nel 1241 l'ultimo sovrano dell'Impero latino, Baldovino II, inviò a re Luigi IX di Francia alcune reliquie in pegno per un prestito. Secondo la Bolla promulgata da Baldovino nel 1247, tra queste reliquie vi erano il Mandylion e «una parte del sudarium (pars sudarii) in cui fu avvolto il corpo di Cristo nella tomba». Oltre a non menzionare alcuna immagine sul sudario, fatto ormai ricorrente nelle fonti, qui si afferma anche che al sudario fu asportata una porzione.
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