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La sintonia coi lettori

Da Marcofre

C’è da sempre un interrogativo che interpella chi scrive. Come si fa a entrare in sintonia con i lettori, senza tradire la propria passione?
Basta dare un’occhiata a quello che il Web propone per capire che la questione è aperta. Un po’ ovunque si legge di come rendere il proprio libro un successo colossale. Si citano quelli che ce l’hanno fatta (di solito statunitensi). Si svelano “segreti” per piegare ai propri voleri Google, Twitter e Facebook.

Immagino che il singolo debba trovare i modi per farlo, e ciascuno avrà un suo modo. La prima domanda che ci si deve porre è: ma il libro è un bene o un prodotto?

Troppo semplice rispondere: “Entrambi”. Questi è un espediente per rimandare la soluzione del dilemma a mai più, forse. E non vale nemmeno replicare che in fondo se si vende tanto che male c’è? Dickens non vendeva a carrettate?
La realtà, come sanno coloro che hanno un minimo di dimestichezza con la letteratura, è diversa.

Perciò la domanda resta lì: bene o prodotto?
Nel primo caso (quello che a me interessa), sarà necessario utilizzare alcune “astuzie”, ma si tratta di applicare la lezione dei grandi. Che cos’è “Delitto e Castigo”? Un giallo anomalo! Dostoevskij costruisce una storia fatta di povertà (siamo sensibili alla povertà), rabbia (siamo sempre un po’ arrabbiati, vero?), su questo innesta la figura di un omicida…

Tolstoj vuole dimostrare (semplifico) che l’amore porta alla rovina: ecco che nasce la Sonata a Kreutzer.
Qui però interviene anche un altro aspetto che non viene affondato in maniera adeguata. Mi riferisco al “caso” che propone all’autore un’immagine particolare, capace di evocare in lui la scintilla della storia. Scintilla che può spegnersi dopo poco tempo.

Può essere un articolo di giornale; o una conversazione casuale ascoltata in giro. Oppure ci si sveglia al mattino e appare vivida la figura di una donna che si specchia nel bagno.
A questo punto c’è qualcosa, un abbozzo e nient’altro, nemmeno esiste il finale, ma non è questo l’ostacolo più grande.

Perché noi abbiamo detto che il libro è un bene, e deve avere un mercato ma non deve inseguirlo, blandirlo. A quel mercato vogliamo proporre qualcosa che abbia a che fare con l’arte. Perché? Perché siamo pazzi.

Mentre si inizia a pestare qualcosa sulla tastiera del computer inizia a girare, quasi in sottofondo, un motorino. Questo aggeggio discreto desidera costruire una storia che sia comunque efficace, e magari pure di valore: nel senso che tra 50 anni dovrebbe conservare intatta la freschezza.

Quindi “spinge” perché le parole siano le migliori possibili e cerca di fondere quella certa immagine su un argomento di cui si parla. Oppure non se ne parla affatto ma se affrontato nel giusto modo potrebbe raccogliere attorno a sé interesse.

L’argomento può essere la crisi, la povertà, ma quello rappresenta solo un “gancio” perché non si vuole proporre affatto una denuncia di questi duri tempi. La denuncia rischia infatti di restare relegata a un determinato periodo storico; mentre noi abbiamo ambizioni più elevate, giusto? Siamo pazzi e tra 50 anni vogliamo che si parli di noi.

E poi? Come dice Kit Carson in un celebre fumetto: “Fine della traccia Tex! Da qui in avanti dovremo affidarci alla fortuna”. Basta sostituire “fortuna” con “talento” e la faccenda si complica sempre di più, giusto?
A mio parere, l’essenziale è tracciare la linea e decidere da quale parte stare, dove operare. Senza aspettarsi nulla, contando sulle proprie capacità (se ci sono certo!). Evitando di demonizzare il successo e sapendo che di solito non premia i peggiori, ma neppure i migliori.


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