Dopo Solo tra ragazze (Piemme, 2007), sempre per la stessa casa editrice nel 2008 Diana Lama pubblica La sirena sotto le alghe che non solo conferma, ma addirittura ne esalta il genio creativo. L’azione si sposta dalla campagna toscana al litorale del Cilento, a Pioppica, dove la pace di una calda e sonnacchiosa estate, fatta di bagni nel mare blu cobalto e di passeggiate nella vecchia città alta, viene bruscamente squarciata da un atroce delitto. In spiaggia, sotto un cumulo di alghe, viene infatti scoperto il corpo mutilato ed in avanzato stato di decomposizione di una giovane donna. Tocca al maresciallo Simone Santomauro e al suo gruppo di Carabinieri condurre le indagini che, per effetto delle pressioni che vengono dall’alto e per la evidente complessità del caso, diventano ogni giorno più ingarbugliate e senza costrutto. L’autrice ci introduce nel mondo dorato della borghesia napoletana che del Cilento ha fatto la sua seconda residenza, tra ville da sogno, abiti firmati, auto di lusso e tavoli da bridge, dove professionisti, vedove, arrampicatrici sociali e mogli annoiate trascorrono la loro estate tra feste e pettegolezzi. Quando l’architetto Pippo Mazzoleni riconosce il cadavere come quello di sua moglie Elena, il maresciallo Santomauro sarà fagocitato in un mondo che, interrogatorio dopo interrogatorio, si rivelerà essere una vera e propria fiera delle vanità, in cui tutto è il contrario di ciò che sembra. Come già in Solo tra ragazze la Lama viviseziona, senza falsi pudori e con graffiante lucidità, una pletora di personaggi ammantati della rispettabilità che gli deriva dal danaro e dalla posizione sociale, mettendone a nudo tutte le debolezze e meschinità. I sorrisi e le moine dei rendez-vous quotidiani, diventano stilettate e maldicenze dietro le spalle, restituendoci la fotografia d’insieme d’un mondo patinato dove dominano ipocrisia e arrivismo, e abbondano bugie e mezze verità. Per Santomauro, che ricorda un po’ fisicamente e negli atteggiamenti il più famoso Commissario Montalbano, muoversi in questo contesto, dove realtà e finzione si confondono, risulta sempre più difficile; ognuno ha la sua verità, quasi tutti, in qualche modo, potrebbero essere i potenziali assassini, ma nessuno ha un movente reale, tangibile. Sotto la lente di ingrandimento dell’autrice passano così i vari protagonisti: Pippo Mazzoleni, il parvenu, Regina Bosco, la nobile decaduta, De Collis, il patologo con qualche scheletro nell’armadio, De Giorgio, il pedofilo, Bebè Polignani, la bionda di umili origini, Olimpia, la benintenzionata beghina, Lillo, affascinante gesuita, i D’Onofrio, famiglia con tanti segreti, Titta Sangiacomo, il giornalista “bastardo”, Mebazi, il vu cumprà, Gerry Buonocore, il collezionista di mogli esotiche.
Attraverso le loro confessioni ed i loro racconti, un pezzo alla volta, come in un puzzle, viene ricostruita la figura di Elena, donna bizzosa, sempre in cerca d’amore, tradita e traditrice, poco interessata al danaro, ma con una lingua tagliente, indifferente, cattiva dentro, ma affascinante e temuta. Le pagine del romanzo si susseguono sempre più intense, sempre più avvincenti, guidandoci passo passo nella dissertazione delle teorie di Santomauro e dei fidi Gnarra, Manfredi e Cozzone. L’impressione è quella di sprofondare sempre più in un rompicapo apparentemente senza soluzione, quando, al primo omicidio, se ne aggiungono altri due, quello di Samir, un vu cumprà – gigolò, con il sogno del cinema nel cassetto, e quello della bella e curiosa Bebè. Ma la figura che emerge a metà del racconto e che, pian piano, finirà per incombere sugli eventi e sui personaggi, e in primis proprio su Santomauro che ne verrà quasi ossessionato, è quello della elusiva, inafferrabile, Valentina, donna affascinante e indipendente, che tutti amano (gli uomini) ed invidiano (le donne), ma che si materializzerà soltanto nella sorprendente e sconvolgente conclusione. Ancora una volta dunque Diana Lama coglie nel segno costruendo un thriller al femminile, dal deciso sapore estivo, ma con una robusta spruzzata di gotico, soprattutto nel finale dove riaffiorano le brumose atmosfere british di tanti racconti noir d’oltremanica. Il linguaggio, asciutto e scorrevole, fa da giusto corollario alle equilibrate ricostruzioni d’ambiente, e, ancor più, alle approfondite caratterizzazioni psicologiche dei personaggi. Davvero azzeccatissima risulta la figura del protagonista, lo svagato maresciallo Santomauro che, trascinato suo malgrado in un mondo che non gli è proprio, riuscirà alla fine, non senza difficoltà, a far emergere dalle acque più torbide e profonde, una verità del tutto inattesa, anche grazie all’aiuto del coniglio Gustavo! Confesso che, nonostante gli indizi vengano sapientemente disseminati lungo le oltre trecento pagine del romanzo, il colpo di scena finale è ben lungi dalla mia immaginazione, troppe sono difatti le piste abbozzate, battute e poi scartate che si intersecano, facendo perdere la visione d’insieme. Troppo facile è infatti perdersi nei mille particolari che, sommati, portano alla soluzione, ma che fatalmente distraggono, allontanandoci dalla verità, e questo va ascritto ad ulteriore merito dell’autrice che è riuscita a rendere difficilmente intellegibile la soluzione del mistero fino a che non decide di svelarla in tutta la sua abnorme portata.