Obama arma le milizie, il sarin fornito ai ribelli, le dichiarazioni di Kissinger e Brzezinski, il Ginevra2 rimandato – quello che si dovrebbe/potrebbe fare – e non si vuole – per far cessare il conflitto …
La Siria è entrata nel terzo anno di conflitto, ma l’azione internazionale è sintonizzata sulla priorità di Obama: l’immagine da consegnare alla storia al termine di quest’ ultimo mandato. Warmonger? Inerte? Così così?
L’annuncio che gli Stati Uniti forniranno all’opposizione siriana assistenza militare è una mossa a effetto psicologico ed è l’unica che gli era consentita per non apparire debole e inerte di fronte al bagno di sangue del conflitto, ma senza avviare azioni militari dirette che insanguinassero ulteriormente l’America.
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Dopo aver lanciato a Bashar Assad l’ultimatum sull’uso delle armi chimiche, la famosa “red line”, dopo aver affermato di possedere le prove che essa era stata oltrepassata (a differenza dell’Onu che in questi giorni dà nuova conferma della mancanza di dati certi per accusare il governo siriano di aver usato armi chimiche sui civili) era necessario per Obama prendere una posizione.
Allora niente di meno impegnativo nell’immediato che affermare a chiare lettere quanto già avveniva in pratica.
—–La fornitura di armi convenzionali alle milizie anti- Assad è avvenuta sia tramite paesi del Golfo sia attraverso la destabilizzazione della Libia. Fin dalla caduta di Tripoli, dagli arsenali libici saccheggiati dai ribelli partivano armi per la Siria; dopo la sua uccisione l’11 settembre 2012, si è saputo che anche l’ex-ambasciatore Christopher Stevens si occupava direttamente di spedizioni di armi.
—– Le armi chimiche sono effettivamente presenti in Siria poichè da gennaio 2013 il Qatar, con il beneplacito dei paesi “amici della Siria”, fornisce il gas Sarin ai ribelli con l’espressa intenzione di imputare la responsabilità del loro uso al governo Assad. La conferma si è avuta con le rivelazioni del caso Snowden, come si vede dal fermo immagine del video
Di recente la guerra in Siria volge in negativo per il fronte degli insorti sia per il diretto intervento a fianco dell’esercito dei libanesi Hezbollah (che ha permesso di chiudere la battaglia di Qusayr ) sia per i sempre più palesi collegamenti delle milizie antigovernative con il terrorismo internazionale, in particolare del fronte Al Nusra con i terroristi di Al Qaeda in Iraq.
Nonostante questo, la maggioranza degli americani rimane poco interessata alle vicende siriane; nei sondaggi risulta contraria all’intervento militare diretto e, secondo l’ultimo sondaggio Gallup seguito all’annuncio di Obama, il 54% disapprova perfino la fornitura di armi.
L’opzione militare diretta è avversata anche dal Pentagono per i sicuri costi dell’operazione in uno scenario completamente sfavorevole, pertanto intraprendere un’azione di tipo muscolare appariva sconsigliabile per l’immagine di Obama.
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Così stando le cose, non è chiaro se le recenti dichiarazioni di Zbigniew Brzezinski, certamente non un pacifista e in passato grande supporter dell’intervento in Libia, siano realmente un monito o una sottile excusatio non petita davanti a quella parte di opinione pubblica, interna ed estera, vogliosa di un invio di truppe.
“Risolvere il conflitto siriano con la forza sarebbe controproducente, prematuro e destabilizzante” ha dichiarato. Provocherebbe la destabilizzazione dell’intera area e gli Stati Uniti verrebbero a trovarsi coinvolti come maggiori responsabili. Critica perfino l’intero discorso della “red line” come insensato e rischioso, aggiungendo che gli Usa dovrebbero eventualmente assecondare un intervento della Turchia e dell’Arabia Saudita con l’approvazione dell’insieme dei paesi arabi.
Anche l’ex Segretario di Stato Henry Kissinger nel corso di un discorso all’Università del Michigan sorprendetemente s’impegna a dipingere in modo diverso la situazione siriana. “Nella stampa americana il conflitto siriano è descritto come scontro tra la democrazia e una dittatura, con il dittatore che sta uccidendo la sua propria gente e, quindi, lo dobbiamo punire. Ma non è quello che sta succedendo. Ormai è in atto una guerra civile tra gruppi settari“. Anche Kissinger ha un personale auspicio per il futuro della Siria: la spaccatura del paese in tante regioni autonome.
Un auspicio che echeggia il “Piano Yinon”, dal nome del funzionario degli Affari esteri d’Israele, del 1982, che delineava lo smembramento del mondo arabo su basi etniche, tribali o confessionali e per la Siria proponeva il ritorno alle federazioni dei tempi del mandato francese.
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Da un’ inutile riunione a Doha, gli “amici della Siria” sono usciti rimandando nel tempo la convocazione di Ginevra2, Conferenza che dovrebbe mettere di fronte “il regime e l’opposizione”.
Non ci si aspetti una convocazione a tempi brevi, affermano le cancellerie, non prima del mese di settembre.
Ma potrà mai avvenire se le dimissioni di Bashar Assad fossero mantenute come precondizione? Quale opposizione al tavolo? Quella frammentata e riconosciuta internazionalmente se davvero sta per eleggere il suo nuovo “governo”, darsi una leadership e scegliere quale sarà la sua componente militare? Si potranno escludere le milizie ora legittimate da una palese fornitura di armi?
L’Occidente si considera patria della democrazia rappresentativa edificata sui risultati delle consultazioni elettorali. Volendo rappresentare Bashar Assad come il dittatore che fa uso di armi proibite, preclude ai siriani la soluzione che sarebbe, invece, già a portata di mano.
Il 26 febbraio 2012 un referendum popolare convocato dal governo di Assad confermava la bozza della Nuova Costituzione: Syria – Draft of the New Constitution la cui parte qualificante è l’eliminazione dal testo del 1973 dell’articolo 8 «il partito Baath dirige lo Stato e la società” sostituito da ”Il sistema politico dello Stato si basa sul principio del pluralismo politico ed esercita il potere democraticamente attraverso il voto”
Con l’avvenuto passaggio dal totalitarismo alla pluralità degli orientamenti politici, indire elezioni sotto controllo internazionale e constatare i risultati della volontà popolare consentirebbe di far nascere un governo rappresentativo delle componenti più vaste della società. Un governo da sostenere internazionalmente nelle necessarie azioni per debellare i gruppi jihadisti, accertare i crimini , celebrare i processi e far tornare in patria i profughi.
Al di fuori di questo iter non vi può essere pace in Siria e nell’intero Medio Oriente; il conflitto già minaccia il Libano, com’era facile previsione da tempo, mentre in Giordania e in Turchia l’emergenza profughi raggiunge livelli di una inenarrabile drammaticità.
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