-Di Hamza Roberto Piccardo
In una tradizione profetica risalente al VII secolo d.C. e giunta fino a noi, il Profeta Muhammad (pbsl) ci ha dato il senso di fondo dell’unità e dell’interdipendenza della società umana dicendo che:
“Gli uomini sono soci in tre cose: la terra, l’acqua e il fuoco”. Una straordinaria dichiarazione che ci interpella, oggi molto più che allora, sul tentativo che gli imperialismi (oggi ce n’è rimasto uno solo) di accaparrarsi quanta più terra, più acqua e più energia possibile e usarle a suo piacimento, o rivenderle a caro prezzo.
The clash of civilizations è tutto lì, l’inevitabile scontro tra le civilizzazioni teorizzato da Samuel Huntington si basa sulla necessità, per alcuni, di impadronirsi in qualche modo, finanziario o militare, delle principali ricchezze del pianeta, in una fase della nostra storia in cui essendo l’elemento umano “sovrabbondante” e scarse le risorse minerali, il primo è considerato facilmente sacrificabile senza che ciò determini squilibri incontrollabili.
Questa banalizzazione della risorsa umana è la vera tragedia, il sistema mangia i suoi figli più deboli e più poveri: 600 milioni di bambini del mondo vivono in condizioni estrema povertà, 150 milioni soffrono di malnutrizione, 11 milioni di loro ogni anno non ce la fanno e muoiono prima dei cinque anni di fame o malattie facilmente curabili.
Comunque non avrebbero avuto modo di diventare buoni consumatori e il “mercato” non spende per salvarli neppure una piccolissima parte di quello che investe ogni anno per la spesa militare , che dal canto suo assorbe oltre il 50% delle risorse mondiali.
Una tragedia la cui notorietà ci interroga inderogabilmente sul nostro ruolo di credenti, in generale, e su quello di una Umma ( la comunità islamica nel suo insieme) che, dal Marocco all’Indonesia dispone (teoricamente) della maggior parte dei giacimenti di petrolio e gas naturale.
Quella società umana cui facevamo accenno più sopra comporterebbe, nella fattispecie, un uso solidale di queste risorse, di modo che non si approfondisca il divario tra coloro che hanno quasi tutto e quelli che invece non hanno quasi niente.
Ma in che modo i musulmani sfuggendo da una parte alla chimera integralista che favoleggia di un’età dell’oro da ristabilire con l’applicazione piena e letterale di quella che viene comunemente ritenuta la “legge islamica”, e dall’altra all’appiattimento ai valori di riferimento del “dio mercato”, in che modo a partire dalle loro specificità spirituali e culturali e utilizzando convenientemente le loro risorse, possono contribuire affinché domani il mondo sia un luogo un po’ meno pericoloso per viverci e per farvi crescere i figli?
La questione è importante perché investe idealmente almeno un miliardo e mezzo di uomini e donne, massivamente concentrati in Africa e in Asia ma presenti con importanti minoranze anche in Europa (30 milioni di cui la metà in UE ) e nelle Americhe (12 milioni almeno).
E’ evidente che tra un malese musulmano e un berbero dell’Atlas marocchino l’unico elemento accomunante è l’islam inteso come un complesso cultuale e morale e all’interno del quale serpeggia la spinta unitaria e l’imperativo etico che ci ha lasciato il Profeta Muhammad: “ Comandate il bene e riprovate il male… fatelo con l’azione, la parola o almeno l’intenzione… se non farete questo sarete governati dai peggiori tra di voi e a nulla vi servirà chiedere perdono a Dio”.
Un richiamo forte all’impegno civile diremmo oggi, a non lasciarsi andare all’indifferenza e ad essere soggetti attivi nella propria vita e in quella delle comunità in cui si è inseriti e fino al macrocosmo.
Ma quali sono condizioni sociali e politiche in cui agiscono questi attori? Molti di loro subiscono alcune delle peggiori dittature che il panorama internazionale ci offre, altri vivono sotto occupazione militare, per altri ancora è la miseria e la quasi assoluta mancanza di prospettive.
A quelli più ricchi e tecnologicamente più sviluppati e che, talvolta, tentano di implentare la dialettica democratica all’interno delle loro società, si agita lo spauracchio di pesanti sanzioni e li si minaccia di guerra se non ricondurranno le loro politiche all’interno delle strette compatibilità che l’unilateralismo dominante vorrebbe imporre a tutti quanti.
In questo quadro per molti aspetti desolante non è fuori luogo pensare che alcuni di questi musulmani possano essere conquistati dalla logica che sia meglio “una fine spaventosa che uno spavento senza fine” e si lascino andare alle irrazionalità che li condurrebbe ad accettare lo scontro o addirittura accelerarlo coltivando sogni impossibili di “vittoria o martirio”.
Ma quale vittoria? Quale testimonianza?
L’unica vittoria possibile è quella che preserva la vita, la dignità e i beni delle creature.
L’unica testimonianza accettabile è quella che si estrinseca nello sforzo coerente e coeso per superare il particolarismo e l’indifferenza, per dar vita ad una società civile islamica colta e solidale che forte dei suoi valori spirituali e morali possa utilmente sfidare le oligarchie espressione della “borghesia compradora” collusa e asservita al neocolonialismo.
Da parte nostra, quella dei musulmani d’Occidente, non quinta colonna, ma nemmeno ostaggio in territorio nemico, la necessità di stabilire con le forze del progresso e della solidarietà che esistono in ogni paese, una vera alleanza e lo sforzo dell’azione politica affinché cessi l’appoggio delle “democrazie” europee ai peggiori regimi che opprimono e impediscono ai musulmani del mondo di essere protagonisti positivi oggi della resistenza alla globalizzazione capitalista e domani, inch’Allah, della costruzioni di un nuovo equilibrio mondiale, equo, solidale e sostenibile.