La solitudine del tennista

Creato il 28 aprile 2011 da Libereditor

Il mio odio per il tennis si concentra sul drago, una macchina lanciapalle modificata dal mio vulcanico papà. Nero come la pece, montato su grosse ruote di gomma e con la parola prince dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la base, il drago assomiglia a una qualunque macchina lanciapalle di un qualsivoglia circolo sportivo americano. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei miei fumetti. Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero – e una voce terrificante. Risucchiando un’altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi. (…) Quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all’ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta. Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. (…)

Andre Kirk Agassi scrive che il gioco per lui era diventato una prigione da cui per trent’anni ha cercato di scappare… Nonostante il suo rapporto di odio/amore per il tennis, Andre ha giocato in modo non comune e sorprendente fin da quando è diventato professionista all’età di sedici anni.
Open non è solo un libro di memorie sportive, ma un autentico romanzo di formazione, una storia molto ben raccontata scritta in modo oscuro, divertente, ma anche sofferto, toccante. La maggior parte del libro racconta vividamente l’infanzia perduta, una adolescenza dickensiana e una lotta caotica in età adulta per cercare con forza un’identità difficile da conquistare.
Quello che mi ha colpito è come Agassi descrive la solitudine di uno sport che mette due giocatori di fronte anche per cinque ore di fila senza compagni di squadra o allenatori. E’ la solitudine, spiega Agassi, che conduce i giocatori di tennis a parlare costantemente da soli, spesso ad alta voce. Una solitudine fatta di rimpianto e nostalgie feroci, di vuoto, di dolore, di mancanza.


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