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La solitudine, stanca.

Da Pdc @pezzodicuore
La solitudine, stanca.Se hai qualche persona, ma che dico? anche solo una, con cui puoi essere debole, miserabile e contratta e che non ti farà del male per questo, allora sei ricca. Puoi aspettarti indulgenza solo da una persona che ti ami, mai dagli altri e soprattutto mai da te stessa(Milena Jesenska - giornalista, amica di Franz Kakfa)Era un pezzo che lo dicevo che non ce la facevo più.Ho provato a dirlo, a parlarne, a scriverne. Senza fortuna.Che io non ce la faccio pare sia un concetto difficile da assimilare e ad essere onesta quasi sicuramente è soprattutto colpa mia.Ma tant'è, la scorsa settimana sono arrivata al capolinea.Conoscete quello stato mentale per cui un interruttore sulla scala non funziona più e l'idea di un'ennesima cosa da fare (o far fare) ti getta nello sconforto. E ti vien da piangere. E ti metti a piangere.Ovviamente l'interruttore, come far la cena, stender la lavatrice, la scuola che ricomincia son tutte cazzate prese da sole. Facilmente affrontabili e fino a poco tempo fa per me, appunto, banali incombenze. Ma è da un pezzo che mi sento come una bomba inesplosa e pronta per esplodere.Poi ovviamente uno dice "perché?". Hai trovato lavoro e la (sensibile) riduzione di reddito è compensata da un'assai migliore qualità della vita. Ciccio è un adolescente gestibile né più né meno degli altri. Stai bene, a febbraio son 10 anni e torni al rischio di ammalarti dei "normali". I tuoi 46 anni te li porti anche bene ed oggi ad esempio non ti fa male niente, non la mandibola, o la sciatica o L3/L4.
Ma avevo bisogno di crollare, perché non reggevo più.Mi serviva una condizione essenziale, ma di questo parleremo dopo.
Perché, crollare? Gli ultimi anni, come si sarà capito non son stati noiosi. Ma hanno sempre avuto una costante: La gravidanza, solitaria. Il cancro, solitario. La maternità, solitaria. Veder morire mio padre e tornare a casa, da sola. La disoccupazione, solitaria. Ce n'è di che ammazzare un cavallo anche cogliendo fior da fiore senza fare necessariamente l'en plein (ed a voler ben guardare non ho nemmeno elencato tutto).
Probabilmente, un po' come la cefalea da weekend, quel momento della vita in cui (Dio voglia) niente sembra andar male, è il momento giusto perché ti piombi tutto addosso.Sono felice, molto più di tanti momenti in vita mia senza per forza scomodare tutte le solitudini di cui sopra. Che ho superato, apparentemente indenne, ma ogni volta un po' più forte ed un po' più fragile.
Poi appunto ci provi a dirlo, che non ce la fai più. Che ci son giorni che ti fa fatica tutto e l'unica cosa che ti fa alzare volentieri è sapere che prima o poi tornerai a dormire. Che dormi come un sasso ma sei sempre stanca. Che le cose che prima ti portavano avanti e che non volevi perdere ora non bastano più per tener duro. Hai paura anche tu di dirlo, ecco perché quando magari fai una telefonata e magari dopo il primo come va di circostanza tu non riesci a dirlo e gli altri non se ne rendono conto e magari ti inondano di altri problemi e tu fai una fatica boia ad ascoltare, ti sembra che tutti siano un po' come i dissennatori di Harry Potter e resti senza forze.
Perché l'unica cosa che vuoi è non esser più sola. Una condizione che prescinde dalle presenze fisiche che ti circondano se poi quando dici che hai paura ti dicono "stai tranquilla" e tu allora vai ad aver paura da qualche parte dove nessuno ti vede.
Perché proprio ora? Perché magari lo dici, che non ce la fai più, e magari la reazione è quella solita "no, non sei depressa, sei solo stanca". Vero, verissimo, che son stanca. O depressa. O finita. Ma le definizioni che differenza fanno?Poi però invece il giorno dopo ti senti dire che effettivamente, hai diritto di esser giù, depressa, stanca. Te lo senti dire da qualcuno che tiene davvero a te.Che ti dice che se hai bisogno di aiuto, ti accompagna.
Quello mi serviva, avere il diritto anch'io di non farcela. Avere indulgenza, solo per essere indulgente con me stessa. 

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